Le opere di Biancoshock fanno sorridere ed allo stesso tempo riflettere sulla vita quotidiana e sulla società. Conosciute in tutto il mondo, sono approdate all’Outdoor Festival di Roma.
Dalla Spagna alla Malesia passando per l’Ungheria, la Croazia e Singapore, le opere di Biancoshock sono conosciute in tutto il mondo e da ultimo sono approdate anche all’Outdoor Festival di Roma. I lavori dello street artist di origini milanesi fanno sorridere e allo stesso tempo riflettere sulla vita quotidiana e su problematiche della società attuale come il degrado urbano, lo stress moderno, la povertà.
Per molti anni non si è considerato un artista finché, un giorno, ha deciso di capire realmente chi fosse e che cosa stesse facendo. Osservando il suo percorso è evidente che non vi sia una “categoria” che possa contenere sia la sua attitudine urban, tipica dell’ Urban Art, che la modalità espressiva, appartenente all’arte più performativa ed attivista; per questo decide di dare vita a EPHEMERALISM. Ephemeralism si prefigge lo scopo di produrre opere d’arte che esistano in maniera limitata nello spazio, ma che persistano in maniera infinita nel tempo attraverso la documentazione fotografica e video. Ha realizzato più di 900 interventi per le strade di Italia, Albania, Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Germania, Inghilterra, Ungheria, Lituania, Malesia, Malta, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Singapore, Slovacchia, Slovenia e Spagna.
1) Come hai maturato il tuo stile e quali sono le caratteristiche che lo rendono unico?
È una conseguenza naturale di una prima esperienza maturata nel mondo dei graffiti che mi ha permesso di iniziare a vedere la città sotto altri punti di vista. Dalla cultura dei Graffiti ho appreso molto ed ancora oggi, per un motivo diverso, la vivo quotidianamente. L’azione, l’effetto sorpresa, l’impatto visivo, la contestualizzazione sono tutti elementi che eredito da questo percorso. Poi ho iniziato a sentire la necessità di comunicare contenuti e questo è ciò che mi ha fatto prendere una strada nuova, del tutto sconosciuta. Volevo farlo in un modo non convenzionale, creando azioni, installazioni, interazioni sempre una diverse una dall’altra. Per questo motivo molto spesso i miei lavori non vengono riconosciuti come ‘figli miei’, perché sono molto diversi tra loro, non approfondisco mai a pieno una tecnica, preferisco imparare ogni volta qualcosa di nuovo. Sicuramente in campo artistico questo può esser visto come un limite, ma mi annoiano le ripetizioni. Non credo sia uno stile unico, ci sono parecchi artisti che si sono mossi e/o si stanno muovendo in questa direzione. Diciamo che il mio progetto artistico ha sicuramente dei lineamenti riconoscibili: indipendenza, azione, interazione, messaggio, reazione.
2) Raccontaci la tua esperienza ad Outdoor: in che sezione hai partecipato e quali opere hai esposto?
Ad Outdoor ho esposto nella sezione ‘Disobedience’ insieme a Paolo Buggiani, Mathieu Tremblin ed i Berlin Kidz. Il mio intervento si intitola “B.Toy” ed è la riproduzione di una scatola giocattolo a misura d’uomo, o meglio, di street artist. La confezione è uno starter pack con tutto l’armamentario necessario per fare Street Art, sempre e ovunque. È un lavoro all’apparenza ludico che parla della mercificazione della street art che ha portato gli artisti ad essere impacchettati e spediti da una parte all’altra senza un adeguato riconoscimento. Ho partecipato a diverse manifestazioni in cui ho avuto la sensazione (e non solo) che la mia opera fosse l’ultimo dei pensieri del curatore. La mia sensazione è che stiamo assistendo ad una gara a tempo in cui accappararsi quattro briciole. È fastidioso dirlo, ma non deve essere semplice sopravvivere in un sistema in cui per fare una meravigliosa opera murale di 6 piani ci si fa pagare 1/6 di quello che si fa pagare un’impresa per tinteggiarlo. E allora tocca correre da un festival all’altro, da una commissione all’altra, urgono limited edition e mostre tirate in piedi in una settimana per far sì che si possa mercificare un quadro, una stampa. Diciamolo, non è detto che se si è bravi a dipingere su grandi pareti allora si può essere altrettanto abili su una tela, son due cose diverse e non tutti sanno fare entrambi. I pochi veri collezionisti che conosco (quelli che arrivano dal mondo dell’arte) sono molto scettici nei confronti del possibile mercato di queste opere. Per questo motivo si sta cercando di creare una nuova forma di collezionismo, che renda tutto questo appetibile a collezionisti amanti del ‘low-cost’. Questo funziona fino a quando la Street Art sarà al picco del suo Hype. Ma poi? Che fine farà il B.Toy? Come tutti i giocattoli anche il B.Toy passerà di moda, non appena i bambini si stancheranno di giocarci. Ma nessuna tragedia: alla fine costava poco.
3) Che consiglio daresti ai più giovani che vogliono intraprendere la strada della street art?
Non saprei. Non per fare il negativo ma credo che questo tormentone della Street Art stia scappando un pò di mano. Street Art, Social Networks, Hype e Brands sono ingredienti che, se mescolati insieme, possono creare un piatto alquanto indigesto. Come nei Graffiti anche la Street Art sta diventando un Internet-Show: molti lavori strappa-like, spesso decontestualizzati, messaggi scarni o del tutto assenti. Non voglio esser troppo critico o polemico perchè vedo anche altissima qualità e ricerca in alcuni artisti, ma diciamo che è una nicchia, silenziosa ma assai attiva. Mi sento solo di suggerire a chi volesse avvicinarsi a questo mondo di studiare. Studiare nel senso di fare esperienza, di sollecitare il pensiero, di fare ricerca. Di non fermarsi al primo livello: faccio arte di/in strada, quindi basta fare un disegno/stencil/poster. Fare arte pubblica significa essenzialmente comunicare attraverso un’azione artistica, poco importa quale sia il mezzo, se sia effimera o permanente. Ultimamente il mitico Paolo Buggiani ha detto che l’arte deve avere un messaggio, un mistero e deve sorprendere, altrimenti nasce già consumata, ed è solo un gioco: è un concetto in cui credo da quando ho iniziato. Ultimo consiglio è quello di dimenticarsi, almeno per un secondo, di voler fare arte per vivere necessariamente di arte. L’arte non ha regole, non ha padroni e non ha limiti. E allora perché mai dovrebbe avere delle certezze di tipo economico? Se non si vive l’arte come un’essenza che va oltre il risultato economico o il riconoscimento ci si fermerà al primo ostacolo. L’arte, in quanto amore puro, comporta anche sacrificio.
4) Cosa farai dopo Outdoor? Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sicuramente concludere un paio di progetti che ho in ballo da tempo, di cui uno a cui tengo molto che è una collaborazione con due pietre miliari del writing italiano. Per il resto sono già un po’ di mesi che sto dedicando più tempo alla ricerca e alla sperimentazione, più ore in studio per provare nuovi percorsi.
5) Come descriveresti Outdoor con un aggettivo?
Camaleontico