Come diventare artisti (o almeno essere creativi). È uscito in Italia l’ultimo libro di Jerry Saltz

Potrebbe sembrarvi paradossale che il premio Pulitzer autore del racconto “My Life As a Failed Artist” abbia scritto un manuale tascabile su come diventare artisti, con tanto di esercizi e consigli pratici. Finalmente è arrivato in Italia Come diventare un artista di Jerry Saltz.

Finalmente arriva in Italia Come diventare un artista il libro di Jerry Saltz, critico d’arte del New York magazine, pubblicato dalla casa editrice Johan & Levi e di cui possiamo anticiparvi un estratto dall’introduzione. All’inizio potrebbe sembrarvi paradossale che l’autore, proprio dopo aver vinto il premio Pulitzer nel 2018 nella sezione critica, per il suo personale racconto di artista fallito “My Life As a Failed Artist”, abbia deciso di mettersi addirittura a scrivere un manuale tascabile su come diventare artisti, con tanto di esercizi e consigli pratici. Le contraddizioni sono ovunque, viene da scrivere citando l’opera di Francesco Matarrese, figuriamoci nell’arte. Eppure spesso siamo portati a pensare come Flaubert che un uomo diventa un critico quando non può essere un artista. Ma la storia personale di Jerry Saltz e i suoi consigli non possono essere liquidati così. Tutta la sua vita è l’esito di una battaglia quotidiana per non accettare passivamente quello che succede e per mettere tutto in discussione. Lavorando, lavorando, lavorando. Ecco come ha fatto un ex camionista, ferito come tanti dalla vita, senza aver frequentato master o costosi corsi, artista fallito a diventare uno scrittore dalla penna curiosa, mai banale, non accademica, con una sua visione e capace di coinvolgere sempre il lettore. La scrittura e l’arte sono intimamente legate e Jerry Saltz è l’emblema di questo connubio. Questo libro è da consigliare soprattutto a chi non ha nessuna intenzione di diventare artista. Perché è un libro pieno di suggerimenti, raccomandazioni, idee per rinnovare quotidianamente la propria vita, per renderla più creativa, per cambiare approcci, per cambiare prospettiva o annullarla definitivamente. Questo è un libro in cui in pochissime pagine si parla davvero di arte, e quando c’è non si arriva all’arte. È un libro in cui le arti sono il pretesto per parlare della vita. Dopotutto infatti, non importa se artisti o aspiranti tali, creativi o non, chiuso il libro passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita. Ma con un approccio diverso, ispirato da un libro. Perché no?

JERRY SALTZ – COME DIVENTARE ARTISTI

Lo trovi a questo link

Come diventare artisti, Jerry Saltz

(Estratto dall’introduzione del libro)

“L’arte è per tutti. E chi può dirlo meglio di me, un artista mancato che si è fatto venire un esaurimento nervoso? È una cosa che so e che sento nel profondo. Ne ho scritto di recente, e da allora vengo assillato di domande. A ogni conferenza che tengo, in ogni galleria che visito, qualcuno mi chiede consigli. Ma in realtà quello che quasi tutti mi domandano è: “Come posso diventare un artista?”. In un’epoca in cui artisti, musei e gallerie sembrano essersi moltiplicati, in cui l’arte balza sempre agli onori della cronaca, in cui piattaforme come Instagram ci spingono a pensare visivamente e a trovare stimoli estetici nella vita di tutti i giorni – a lasciare che anche “le piccole cose ci emozionino all’improvviso”, come diceva Andy Warhol – gli interrogativi sulla creatività aleggiano nell’aria. Ma come si fa a passare dai dubbi e dai timori al creare vera arte, addirittura grande arte? Posso essere un artista anche se non sono andato a scuola? Se lavoro a tempo pieno? Se ho dei figli? Se sono atterrito alla sola idea? Certo che puoi. Non esiste una sola via per la gloria. Ciascuno prende una strada diversa. Eppure, negli anni, mi sono ritrovato a tornare più e più volte su alcune idee di fondo. Quasi tutte sono scaturite dal semplice atto di guardare l’arte, e di guardarne sempre un po’ di più, e dai ricordi motori dei miei anni da artista in erba. Altre sono venute fuori ascoltando gli artisti parlare del loro lavoro e delle loro battaglie. Ne ho anche rubata qualcuna a mia moglie. Di recente, ho raccolto tutte queste piccole dritte e consigli in un pezzo per il New York Magazine, una sorta di summa pensata dalla rivista per trasformare il lettore «da imbranato dilettante in talento generazionale», o almeno per aiutarlo a vivere in modo un po’ più creativo la vita di tutti i giorni.

L’articolo sembrava aver toccato le corde giuste, ma mi ha anche fatto riflettere. Appena il tempo di far asciugare l’inchiostro, e mi sono messo a comporre nuove regole, oltre alle trentatré da cui avevo iniziato. Montagne di domande, riflessioni e consigli da amico, come: “Crea arte per oggi, non per domani”. Oppure: “Non preoccuparti di farlo bene: fallo e basta”. O ancora: “Sii gentile, generoso e disponibile con gli altri, e prenditi cura del tuo sorriso”. Tutte frasi concepite per aiutare le persone a scoprire quello che possiedono già dentro di loro, nel profondo, e a trasformarlo in arte. Oltre a ciò, però, ho cominciato a considerare alcuni dei quesiti fondamentali sotto una nuova luce. L’arte, in tutte le sue forme, solleva molti problemi ricorrenti, questioni strane o che addirittura ci spaventano: lancia sfide che rischiano di intimidire artisti e osservatori, di renderli cinici, timorosi di cominciare o di proseguire. E vale persino per i devoti alla causa come me. Alcune delle paure che ci bloccano non riguardano direttamente l’arte: E se non ho fatto nessuna scuola per diventare artista? (Io non l’ho fatta.) Se sono timido che peggio non si può? (Eccomi.) Se ho la sindrome dell’impostore? (Quasi tutti ce l’hanno; è il prezzo da pagare per essere ammesso al Castello della Creatività.) E se non ho un soldo? (Benvenuto in uno dei club meno esclusivi al mondo.) Altre domande invece vertono su concetti fondamentali: La psicologia dell’opera corrisponde alla psicologia dell’artista? (Non proprio. Ma deve pur esserci un po’ di Jane Austen in ogni personaggio di Ragione e sentimento, no? Così come deve esserci un po’ di Goya in ognuna delle sue figure mostruose. Non vi sembra?) Come fai a sapere se la tua arte funziona? (Mi viene in mente quello che ha detto la pittrice Bridget Riley: «Se ti sembra che qualcosa non va, vuol dire che non va proprio».)E poi la più profonda di tutte: in fondo che cos’è l’arte? Uno strumento di cui si serve l’universo per prendere coscienza di se stesso? È, come ha detto il pittore Carroll Dunham, «uno strumento artigianale per lo studio della coscienza»? Io dico sì, l’arte è tutto questo e di più. E il talento è come un animale selvatico che va nutrito. Con tutte queste domande irrisolte nell’aria, come può un aspirante artista fare il salto, quell’atto di fede che gli consenta di elevarsi al di sopra del caos di messaggi esterni e intime paure, e fare del suo meglio? Se vuoi fare dell’arte che sia grande, ti sarà d’aiuto domandare a te stesso che cos’è l’arte. Un modo di rispondere è pensare che l’arte è un linguaggio visivo – generalmente non verbale, verosimilmente preverbale – che ha il potere di dirci, in un battito di ciglia (Augenblick, in tedesco), più di quello che possiamo imparare in ore passate a leggere o ad ascoltare. È un mezzo di espressione capace di trasmettere emozioni primarie come la solitudine, il silenzio, il dolore, l’intero spettro delle sensazioni umane. Esiste uno scrittore che sia mai riuscito a trovare le parole giuste per esprimere la sofferenza interiore e lo strazio esteriore della Deposizione dalla Croce del 1435 di Rogier van der Weyden? L’arte è anche una strategia di sopravvivenza. Per molti artisti lavorare è tanto importante, a livello spirituale, quanto respirare o mangiare. Nella vita di un artista, ogni giorno porta con sé nuove idee e vecchie convinzioni, progressioni e interruzioni repentine, imperitura bellezza e declino. Nuove rivelazioni si manifestano, ma poi sfuggono subito via. Almeno ogni tanto, tutti gli artisti devono sentirsi come la Penelope dell’Odissea: lì a tessere tele giorno dopo giorno dal loro bagaglio di storie, miti, paure, congetture, timori e verità personali, per poi svegliarsi la mattina dopo e disfarle tutte, modificando, aggiustando, migliorando, deliberatamente sfasciando. L’artista percorre un sentiero in costante evoluzione, accumulando esperienza lungo la via, ma ricominciando sempre da capo. Fare l’artista significa accettare tutto questo come parte del processo. Significa anche sposare il paradosso: il fatto che più di una cosa sia vera allo stesso tempo. L’arte è aperta; risiede in quegli spazi tra l’interpretazione e l’opera stessa. Ogni opera d’arte segue la sua propria logica strutturale. Il che può riempire di dubbi tanto gli artisti quanto gli spettatori. Ma il dubbio è un segno di fede: ti mette alla prova e ti rende umile, lascia spazio al nuovo nella tua vita. Ma soprattutto il dubbio scaccia la sensazione soffocante della certezza. La certezza uccide la curiosità e il cambiamento.”

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