Una coinvolgente retrospettiva dell’artista in occasione della 59esima Biennale
Divisa tra le sedi delle Gallerie dell’Accademia e di Palazzo Manfrin, nuovo headquarter dell’artista, la mostra di Anish Kapoor a Venezia è uno degli appuntamenti imperdibili della stagione di questa neo inaugurata Biennale.
Sessanta opere che attraversano una lunga e fortunata carriera (progetti degli anni 80 fino ai più recenti del 2022), costituendo un percorso esperienziale esplosivo e impattante, sono esposte tra le mura dell’antica architettura veneziana: capolavori figli della contemporaneità, quasi spirituali e senza forma, si incastrano perfettamente in una cornice dal sapore classico.
Sky Mirror (2018) è il primo scorcio che accoglie i visitatori nel cortile interno delle storiche Gallerie dell’Accademia, per proseguire con le sale dedicate ai suoi rinomati capolavori e alle ultime opere realizzate con nuovi materiali. Tra questi ultimi spicca Shooting Into the Corner (2008-2009), un potente cannone che fa esplodere contro il muro bianco della galleria proiettili di cera: l’immagine violenta e i toni cromatici simili a sangue scuotono il visitatore in modo brutale, provocando inevitabilmente un momento di riflessione.
Un messaggio di tormento dell’essere umano che attraversa un’epoca di enormi sofferenze, evocato anche dalle sculture e dai quadri alle pareti che riprendono sempre quel rosso vivo nelle sue sfumature fino al nero, buchi e rigonfiamenti che sembrano ferite. Si passa poi alla recentissima Pregnant White Within Me (2022), un’indefinita bolla bianca che spunta dalla parete e cambia sembianze a seconda della prospettiva da cui la si osserva, fino al corpus di opere realizzate con il celebre kapoor black, una speciale tinta di nero che utilizza la nanotecnologia del carbonio per assorbire più del 99,9% della luce.
La seconda parte della mostra, in zona Cannaregio, accoglie con impatto non meno forte.
Mount Moriah at the Gate of the Ghetto (2022) e Turning Water Into Mirror, Blood Into Sky (2003) prendono posto nel cortile interno, preludio al piano superiore dove si susseguono molti dei nuovi lavori sulla materia, in cera e silicone, ma anche gli storici specchi distorcenti. Superfici che da lontano appaiono semplicemente specchiate, ma catturano il visitatore che avvicinandosi viene trasportato in una nuova dimensione, in un totale capovolgimento di sé stesso.
Kapoor cerca lo straniamento, la cancellazione dei riferimenti ordinari per scardinare ciò che siamo abituati a vedere e inquadrarlo da tutt’altra prospettiva; da sempre l’artista indiano fa grande uso della componente di illusione ottica e di geometria nel suo linguaggio espressivo. In conclusione al percorso ci si ritrova nello spazio dedicato a Symphony for a Beloved Sun (2013): un gigantesco sole rosso che sorge e tramonta allo stesso tempo, tra le macerie e i soffitti affrescati, come un segno di rinascita o di fine epocale che si apre all’interpretazione dell’osservatore accompagnandolo anche dopo aver varcato la soglia.
Curata dallo storico dell’arte Taco Dibbits, direttore del Rijksmuseum di Amsterdam, la mostra di Anish Kapoor è in programma fino al 9 ottobre.
Cover photo:Palazzo Manfrin, Anish Kapoor ©Martina Bonetti