Se mai vi capitasse di trascorrere del tempo a Creta, tra un bagno a Elafonissi “dalle rosee dita” e uno nelle cristalline acque della laguna di Balos, vi consiglio di prendere la macchina e di percorrere la strada che, partendo da Hiraklion, sale verso il villaggio di Archanes, costeggiando le pendici del monte Iouchtas, tomba di Zeus.
Ad un certo punto, più o meno all’altezza di un ampio tornante a destra, dovreste trovare uno spettacolare punto panoramico, dal quale si gode di una meravigliosa vista su tutto il golfo di Hiraklion. Ne vale davvero la pena, fidatevi. Scattate qualche foto e poi, mentre tornate alla macchina, voltando le spalle al mare, magari alzate lo sguardo: dovreste riuscire a scorgere in alto sulla destra una vecchia recinzione un po’arrugginita, e un cartello marrone con su scritta una sola parola: Anemospilia, “le Grotte del Vento”.
Ecco, lì giacciono i resti abbandonati e in parte dimenticati di uno degli edifici più enigmatici di tutta la lunga storia dell’archeologia cretese. Una grande scoperta fu quella fatta dai coniugi Sakellarakis nell’ormai lontano 1979. Un edificio di tre stanze, una accanto all’altra, messe in comunicazione da un corridoio, il tutto collocato all’interno di una sorta di recinzione, un temenos come si dice in contesto greco, un recinto che marca uno spazio consacrato alle divinità. Al suo interno resti di cultura materiale, che ci riportano indietro fino alla Media Età del Bronzo, circa 3700 anni fa, momento di massimo splendore dell’isola e della civiltà che l’ha resa celebre nel mondo, quella cosiddetta minoica.
Oltre a ciò, evidenti segni di distruzione violenta, bruciature, crolli e, al di sotto di essi, corpi di sventurat*, forse prove di un evento sismico. Fin qui, dunque, nulla di troppo mirabolante o peculiare, neanche le evidenze di distruzioni da cataclisma sono una rarità in quest’area (Thera/Santorini vi dice qualcosa?)
Eppure – oltre a ciò – Anemospilia racconta un’altra storia. Una storia dai contorni ancora oscuri e incerti, una storia che gravita attorno a un altare per sacrifici e a una potenziale vittima al di sopra di esso: non un capro, né un toro…ma un giovane uomo accucciato, forse dissanguato.
E allora tutto il contesto assume dei connotati decisamente sinistri. Forse gli occupanti di quel luogo si accorsero che qualcosa di sconvolgente stava per arrivare e tentarono di porvi disperato rimedio. Sfortunatamente senza successo. E allora al boato e alla scossa del terremoto seguì solo silenzio.
Per secoli e secoli. Si trattò davvero di sacrificio umano? E cos’altro nascondono le dimenticate stanze dell’edificio alle Grotte del Vento?
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