Nel tempo dell’eccesso narrativo, abitare resta uno degli ultimi atti autentici di costruzione identitaria. Non come gesto funzionale, ma come tensione estetica, come ansia formale, come desiderio organizzato. In questa traiettoria si colloca La casa del silenzio imperfetto, mostra ideata da HoperAperta, piattaforma ibrida che da anni muove tra arte, design e architettura con progetti mai ovvi, qui in collaborazione con Confindustria Salerno e ospitata dal 21 maggio al 31 agosto 2025 negli spazi della Pinacoteca Provinciale di Palazzo Pinto, cuore nobile del centro storico cittadino.
Non è una mostra sulla casa. È una casa fatta mostra. Un dispositivo installativo dove l’intimità viene esposta, la domesticità smembrata, l’abitare restituito alla sua dimensione ambigua: accogliente e disturbante, piena e mancante, ordinata e implosa. A guidare il progetto curatoriale, Maurizio Barberis e Patrizia Catalano, che elaborano un percorso privo di gerarchie, disseminato di episodi visivi e testuali, in cui la figura del collezionista – flâneur ossessivo, archivista dell’invisibile – diventa l’anima inquieta dello spazio espositivo.
Il collezionista, qui, non possiede: compone. Non seleziona: stratifica. La mostra è il suo specchio distorto, una topografia del desiderio, fatta di accumulo e imperfezione, dove il design non è complemento d’arredo ma scrittura abitata, dove l’oggetto perde la funzione per farsi racconto.
Il titolo, La casa del silenzio imperfetto, è dichiarazione programmatica: il silenzio non è quiete, è sospensione. L’imperfezione non è difetto, è respiro. Il progetto si articola in sezioni evocative – La Maison que j’habite, Sei stanze per una casa dal silenzio imperfetto, Dal Giardino delle Delizie di Bosch, Sette pezzi facili – che non offrono rassicurazioni, ma varchi. Ogni stanza è una possibilità, ogni oggetto un’interferenza. Si attraversano funzioni (abitare, sostare, osservare), ma anche materie, stati d’animo, ore del giorno: tutto contribuisce a disegnare un interno psichico, mai neutro, sempre mobile.
In mostra, le opere di Mark Anderson, Alfonso Femia, Francesca Grassi, Duccio Grassi, Ugo Marano, Claudia Regge, Giulio Rigoni, Federico Spagnulo, Dorian X, Carmelo Zappulla, tra gli altri, restituiscono un panorama visivo frastagliato e vitale. Nessuna linearità, nessun racconto a tesi: solo frammenti, materiali, citazioni, affioramenti. A sorreggere questa architettura sfuggente, l’intervento decisivo delle aziende del Gruppo Design di Confindustria Salerno, vere co-autrici dell’allestimento. Le materie – legno, marmo, vetro, metallo, luce – sono trattate come linguaggi, articolate in forma di racconto, grazie al lavoro congiunto di realtà come AR.CE.A, Hebanon, Fornace De Martino, Lamberti Design, MT Plex, Grassi Pietre, Q Lighting, e altre, tutte impegnate in un design che non è celebrazione dell’eleganza, ma pratica critica del fare.
Questo lavoro collettivo, inserito nel palinsesto ufficiale della Salerno Design Week 2025 – diretto da Giovanna Basile e Stefania Rinaldi, con il supporto scientifico della Prof.ssa Vittoria Marino – segna una traiettoria diversa nel modo di intendere l’allestimento: non più contenitore ordinato, ma campo aperto di frizioni, abitare come frattura e invenzione.
La casa del silenzio imperfetto si muove così ai margini della definizione, come ogni spazio abitato che non vuole essere solo vissuto ma interrogato. È un gesto curatoriale colto e irregolare, che non ricerca la coerenza, ma l’intensità. Una mostra che non consola, non chiarisce, ma accende – un riflesso obliquo di quella tensione umana che chiamiamo “casa”.