AERE, l’enciclopedia dell’aria firmata da 25 artisti, da Manzoni a De Dominicis a Erlich. In un libro che è più di un catalogo

by Laura Catini

“AERE. Donna che con ambe le mani tenga l’Iride, overo arco celeste, & habbia in capo una calandra con l’ali distese, e col becco & aperto, e sia vestita detta figura di turchino assai illuminato”. Cesare Ripa, storico dell’arte e scrittore rinascimentale, padre della famosa ‘Iconologia’, immaginava, con tali sembianze, l’aere. Elemento elencato tra i primi, insieme al fuoco, all’acqua e alla terra, per simboleggiare le figure supreme del suo repertorio iconologico. E se Perugia gli ha donato i natali, il letterato ha inscritto, nel suo fervido repertorio di allegorie, i quattro elementi, attorno a cui sono strutturate le mostre del Festival “ISOLA PROSSIMA” di Arpa Umbria, giunto alla quarta edizione. La prima mostra è stata dedicata all’acqua, presso l’isola Polvese nel 2022, seguita dalla terra per l’esposizione di Montefalco, per dipoi giungere all’elemento incorporeo dell’edizione di quest’anno, l’aria. Ci sono mostre che affidano il proprio portato critico e visuale eminentemente alle opere esposte; altre che si interpretano come “corredo” plastico, su cui dar origine a studi e ad approfondimenti teorici, destinati a restare “guida” per un determinato campo di studi.

“AERE”, curata da Massimo Mattioli, presso il Museo Civico Palazzo della Penna, a Perugia, ha generato una terza via. Conclusasi l’esposizione, è infatti il suo catalogo a documentare l’approccio scelto, con i testi dello stesso curatore e di Sara Taglialagamba, studiosa del Rinascimento, con specifica specializzazione su Leonardo da Vinci, e che contestualizza l’elemento “aria”, rimarcandone una centralità, perseguita fino al Novecento. Un volume che ha il merito di tracciare una ricerca originale, in grado di ordinare le suggestioni dell’elemento atmosferico, attraverso le opere di un gruppo di artisti intergenerazionale. Corredando il ricco apparato iconografico con pregnanti schede critiche.

Perugino Autoritratto affresco Perugia Nobile Collegio del Cambio Sala dellUdienza

Da una lettura attenta del catalogo si evince idealmente l’altra figura, tra i celebri perugini, pietra portante di introduzione all’esposizione, il divin pittore, il Perugino, il cui autoritratto si colloca nella sala dell’Udienza nel Nobile Collegio del Cambio, con l’epigramma “Pietro Perugino pittore egregio. Se l’arte del dipingere era andata perduta, questi l’ha ritrovata; se da nessuna parte fu inventata, fino a tal punto lui stesso l’ha prodotta”.

Nella volta della medesima sala sono collocati, all’interno delle vele, le figure allegoriche dei sette pianeti, associate ai rispettivi segni zodiacali. Nella losanga centrale si ammira Apollo trainato da una quadriglia che avanza elegantemente su una coltre di nuvole.

Ed è proprio il Perugino, infatti, a ricondurci dal Corso Pietro Vannucci, fino al luogo che ha ospitato la mostra AERE, curata da Massimo Mattioli che ha scelto il termine “aere” piuttosto che “aria”, al fine di convogliare nel significato di aria non solo l’accezione fisica ma anche la sua declinazione di clima e di atmosfera. Mattioli, all’interno del catalogo della mostra, inventa un dialogo di presentazione del progetto curatoriale, affidando alle parole di Filippo, un ragazzo appassionato di filosofia, l’introduzione della figura di Diogene di Apollonia che associava l’intelletto all’aria. Questa, “come soffio e anima, pervade ogni cosa, generando la vita, il movimento e il pensiero…”. In risposta, l’amica Giulia ribadisce che “In realtà già Anassimene di Mileto, che era stato il suo maestro, aveva dedicato grande attenzione all’aria”. “Già lui la riconosceva come origine di tutte le cose, principio di vita, energia per tutti gli esseri. L’arché teorizzato da Anassimandro, in pratica”.

Ma ancor prima – come scrive Sara Taglialagamba, nel suo testo critico – “… essa è stata rappresentata a partire dalle prime civiltà ricorrendo a personificazioni divine.” … “La mitologia greca si dotò della personificazione dell’aria con Etere …”. Era il 1821, quando “nell’assai vasto e magnifico palazzo” – così definito da Serafino Siepi – il barone Fabrizio della Penna Crispolti, proseguendo l’iniziativa seicentesca di Ascanio della Penna, introdusse, nella raccolta, l’acquisto della Madonna col bambino tra i Santi Girolamo e Francesco, “opera eccellente di Pietro Perugino stimata 5000 scudi regi”.

Oggi, il Palazzo vede la sede del Museo civico di Palazzo della Penna, ove dalla scala elicoidale dell’architetto Franco Minissi si accede, passando tra i resti archeologici dell’anfiteatro romano, alla sezione dedicata a Dottori e ai Futuristi Umbri, e si procede fino al secondo piano, dedicato a Joseph Beuys con la sua Opera Unica, sei lavagne realizzate durante la sua permanenza a Perugia nel 1980, pupille della performance, promossa dal critico d’arte Italo Tomassoni. Certo è che, nelle suddette sezioni, possiamo rintracciare immediatamente la vocazione del Museo ad accogliere una mostra che, dalle opere aeropittoriche di Dottori, come Primavera umbra (1923), apre al tema dell’aria, attraverso la storia del Novecento fino ai giorni nostri.

Gerardo Dottori Primavera umbra

Tuttavia, come ricorda il Presidente dell’Associazione ART MONSTERS, Fabio Amici, è fin dal Rinascimento che “l’elemento dell’aria ha avuto un ruolo centrale nell’immaginario artistico per la sua versatilità. Dai famosi studi di Leonardo da Vinci, passando per il Giove e Io del Correggio, fino ai paesaggi tempestosi di William Turner, l’aria ha ispirato artisti di ogni epoca. Nel XX secolo, i lavori di Piero Manzoni e Gino De Dominicis … hanno reso l’aria un tema di grande suggestione e attualità”.

Antonio Allegri detto il Correggio Giove e Io

L’evocazione dell’elemento aria si rende direttamente palpabile dalle parole, derivate dagli studi di ottica di Leonardo “Adunque tu, pittore, quando fai le montagne, fa’ che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze, e quanto vòi fare più lontana l’una dall’altra, fa’ le bassezze più chiare; e quanto più si leverà in alto, più mostrerà la verità della forma e del colore” (dal Trattato della pittura). Ordunque, la quintessenza, l’Etere, quel quinto elemento introdotto da Aristotele, pervade, in tutte le sfumature materiche e di senso, il pensiero del lettore che si trovi a sfogliare il bel catalogo di questa mostra.

Ecco ad esempio il lavoro di Donato Piccolo che, nelle nuvole, riflette il pensiero shakespeariano: “Ho sempre disegnato nuvole. Le nuvole hanno una forma antropomorfica, anamorfica, cioè, possono diventare quello che vuoi, e questo è interessante perché è la persona che decide quello che sta vedendo”.

Donato Piccolo

Nelle due teche che campeggiavano nella mostra perugina, in un sottile confine tra tecnologia, scienza, arte e filosofia, l’artista concretizza il pensiero, dettato da Leonardo e che prevede una densità maggiore dell’aria, “una aria grossa più che le altre“, in quel passaggio di condensazione e di materia umida, già associata all’elemento invisibile da Empedocle. Instable Reversible simula il fenomeno di un turbinio danzante, in cui l’aria assume le sembianze di uragano, grazie al sistema di ventilazione impresso ingegnosamente dal meccanismo ideato dal nostro. Poeticamente si ricrea, successivamente alla caduta della sostanza in stato liquido, il ciclo ex novo, mentre nelle due teche laterali – Invisibile II e Il sogno di Turner che dichiarano una propria luminosità interna – si vive quella sensazione melanconica del procedere incalzante del tempo, attraverso l’osservazione di piccole gocce che, fissandosi sul perimetro vitreo, rimembrano le giornate uggiose al ciglio. I colori impiegati per le due teche sembrano riportare direttamente alle osservazioni compiute da Turner nel 1816, quando si verificarono diverse eruzioni che trasformarono la neve bianca in rossa, con fiocchi di neve intrisi di polvere vulcanica, mentre il cielo di Inghilterra era colmo di quel colore inconsueto, di quel rosso denso, cui l’azzurro aveva lasciato il posto.

Elvio Chiricozzi

Quelle stesse minute particelle di vapore acqueo delle teche, galleggianti nello spazio sospeso del cielo, germinano idrometeore bianche e che riflettono la misteriosa porzione dello spettro elettromagnetico a noi visibile. Ed ecco che ci ritroviamo dinanzi all’incantesimo che origina il trittico, a matita su tela, costituito dalle opere Nuvole sole, Si aprì e poi si chiuse, Ritroverai le nubi di Elvio Chiricozzi. Le visioni si caricano di quel sinistro Sublime, in grado di coinvolgere subitaneamente i sensi dell’osservatore, per rivelarne la fragilità dinanzi all’operato della natura. E, se il ricordo di Alfred Stieglitz sorge genneo innanzi alle immagini celestiali di Chiricozzi, è l’opera di John Constable, con le sue innumerevoli nuvole che attraversavano il cielo inglese, ad avvicinarci alla verità del vedere propria dell’opera di Giacinto Gigante, tra i più importanti paesaggisti italiani del diciannovesimo seolo e figura centrale della scuola di Posillipo. L’acquerello su carta Studio di nuvola si inserisce, precipuamente, nell’affermazione del pittore inglese, secondo cui “non si vede veramente qualcosa, se non lo si capisce”. Ed è quel gran sentimento che rigonfia le nubi in delicate variazioni tonali, unitamente al calore della luce che ammette l’essenza dell’affermazione.  

Olga Lepri

Sono nuvole umane, sospinte dal vento, gli uomini all’interno dell’opera La rosa dei venti di Olga Lepri. Lo spirito muove le energie secondo le direzioni dello spazio della rosa, l’aria in movimento e il rapporto con gli elementi terra, fuoco, acqua e l’aria-etere. Nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XXXI), la rosa è simbolo della Vergine che riconosce la Gerarchia dei Maestri, senza cui le comunicazioni tra il Cielo e gli Uomini sono impossibili. La vista dall’alto verso il basso del paesaggio, impressa dalla nostra, ricorda l’impostazione compositiva delle opere di Aeropittura di Dottori. In un groviglio leonardesco e con il loro tessuto epidermico di colore lirico, i corpi descrivono la massa di dannati che, aleggiano verso nuove altre direzioni, così come in Tentativo di volo II, III, Gesto e Tuffo.

In un paesaggio di nuvole, sono le stesse nubi a personificarsi nella salita verso l’oltre e ad esser trafitte da una piuma che porge la sua spina nell’inchiostro della scrittura. È un narrato tutto surreale, quello del pittore Giuliano Giuggioli, con le sue opere Nuvole passeggere, e Il Poeta.

Leandro Erlich

Ed è sempre la nuvola ad essere protagonista nell’opera di Leandro Erlich che, nella sua vetrina, trattiene l’utopia effimera della bellezza intangibile, di una fragilità trasmutevole nel suo volume e nella sua forma. Il tentativo è quello di conservare e archiviare l’immateriale, contro le probabili condizioni della fisica. Lateralmente, la vetrina è lavorata, in modo tale da frammentare la vista della nuvola in molteplici fotogrammi oculari, in un gioco di percezione che rivela l’illusione prospettica.

“La nuvola è una grande metafora e può cambiare il suo contesto e la sua interpretazione in ogni spazio. Poiché le nuvole non sono durevoli e si dissolvono in breve tempo, l’opera fotografica funge da documento di qualcosa che è accaduto in un luogo specifico e che ora non c’è più”. Sono le parole impiegate da Berndnaut Smilde e che ci invitano ad entrare a passo lento, prima nella spazialità degli ambienti designati, e in un secondo momento a tangere mentalmente l’area, dialogante con il luogo, e afferente al corpo inconsistente della nuvola. L’oggetto fisico appare decontestualizzato dal fuori comunicante con la parete a vetro e installata nella sua dimora post-autoctona.

Corrado Bonomi Castelli in aria

Non in ultimo, vi è il visionarismo di Corrado Bonomi che si dipana tra Franz Kafka e Jonathan Swift. Il suo è, infatti, un concettualismo ironico “fra il Pop e l’ingaggio socio-filosofico” che, con una lente kitsch, ricorda anche il parossismo amaro della realtà, da cui evadere con scenari onirici come Castelli in aria che gravitano nell’aria, al di sopra di piccole nuvole, come navicelle di mondi ideali.

A sovvertire la forza di gravità sono similmente le persone che abitano le opere di Virginia Zanetti che come esplicita l’artista “…ribaltano la postura naturale con un atto di volontà”. “I just want to know who I am”, e le tre opere I pilastri della terra sopprimono le implicazioni dell’eliocentrismo per varcare oltre la naturale propensione dei corpi nel muoversi verso il basso, il centro dell’universo che si denota con la Terra, per ammettere l’opposto della gravità, il fuoco che permea gli organismi tendenti verso l’alto, sedotti dalla levità, qualità individuata già da Aristotele come propria dei fenomeni celesti.

Virginia Zanetti I pilastri della terra

Singolare, forse non troppo, è assimilare l’uomo a pilastro della Terra, immerso in un paesaggio desertico tra macro e micro-visioni dello stesso. Mentre nell’opera del 2021, di spinta socratica, una donna, in un tuffo quasi perfetto verso il nulla, indaga profondamente la propria interiorità, rendendo quella spinta verso l’indefinito un’area in cui sostare metafisicamente.

L’opera della Zanetti, in tale accezione, è il lavoro che meglio definisce gli intenti alla base di Isola Prossima come apertura alla coscienza collettiva, nel riflettere sulla nostra responsabilità verso il pianeta e le generazioni future. Un intento assimilabile, indirettamente, al capolavoro Tentativo di volo di Gino De Dominicis (foto in copertina, ndr) che, nella sua esplorazione incommensurabile tra l’io, il tangibile e l’intangibile, scopre infiniti interrogativi dell’umano, in relazione al mondo e ai suoi limiti gravitazionali.

Una seconda performance che è stata presente in mostra, tanto politica quanto antropologica, è quella, anch’essa ben documentata in catalogo, di Giovanni Gaggia che – con dieci strisce di colore per ciascuna delle due bandiere, fermate dalla fotografia di Michele Alberto Sereni e tratte dalle due nazioni in guerra, la Russia e l’Ucraina – sfrutta l’elemento atmosferico dell’aria, per una danza di iniziazione delle nuove due bandiere, e che, in ricaduta, trasmutano in un neo vessillo, dotato di una storia rinnovata. Non a caso, il titolo scelto dall’artista per l’opera è Find the way.

In 5 minuti di vento il movimento dell’aria diviene protagonista anche nell’opera di Maria Teresa Sartori, artista sensibile al rilevamento e alla traduzione del rilevato in un codice scientifico-poetico, quello caratterizzato dall’azione dell’anemometro che, formando un cerchio, rimembra, nella trascrizione di “movimenti incerti e contraddittori con cambi di direzione” della brezza dell’Adda, il perno della rosa dei venti. L’azione viene moltiplicata, visivamente, in un archivio dell’intensità del segno del vento su foglio di carta cotone, ricoperto da fusaggine d’argento in polvere, come in (In)visible fields. Space as energy.

Arcangelo Sassolino IUBP

L’instabilità dell’essere, nella velocità frenetica del movimento quotidiano, è narrata dall’opera I.U.B.P. di Arcangelo Sassolino. L’artista, infatti, ammette “… che siamo tutti vittime di un costante fallimento”. Così, Sassolino narra la condizione attuale, ponendo in mostra un’installazione scultorea che sollecita il pensiero sul presente, fotografando, nella materia, la fenomenologia della predestinazione della natura. L’aria, contenuta nello pneumatico, viene compressa in una metafora visiva di contrasto e di paura nell’odierno.

Piero Manzoni Fiato dartista 1960 palloncino base di legno cm 28×18×18 Courtesy Fondazione Piero Manzoni Milano

Se finora abbiamo introdotto i concetti di effimero e di velocità, è ora necessario riferire il nome di un maestro fondamentale per gli aspetti innovativi del Novecento, Piero Manzoni. Il suo Fiato d’artista ritrae l’opera iconica dell’esposizione, con ragione, collocata all’inizio del percorso espositivo. L’incedere del tempo ha dato luogo alla mutazione della materia del palloncino che, tuttora, conserva idealmente la parte più evocativa dell’opera, l’aria proveniente dal corpo di Manzoni. L’idea era già insita in altre sue opere degli anni precedenti, come Corpo d’aria n. 44, facente parte della serie Corpi d’aria, “cassettine di legno nelle quali erano contenuti un palloncino, un tubicino e le istruzioni, e accanto un treppiedi sul quale fissare il pallone gonfiato direttamente dall’acquirente”.

Paolo Manazza Slipping in the sky particolare 2018 Olio smalto e acrilico su carta cm 400×106

Lo spirto dell’artista non manca certamente anche all’interno dei dipinti dell’artista Paolo Manazza che coniuga “le morbide sinfonie cromatiche del New Dada e del Color Field con una gestualità quasi violenta, con un prevalere del segno sulla materia, senza però che questi annichiliscano quelle”.  L’essenzialità del rosso – che si sovrappone alle tracce segniche, lasciate dal blu sulla tela – conferisce, all’opera Slipping in the sky, un’eccelsa carica spirituale, una sintesi del cielo, ove l’aria del circostante si imprime come memoria al di sopra delle isole verdastre, recando all’opera una spinta di attraversamento emotivo di lettura orizzontale.

L’artista Pablo Candidoro, nelle sue Manzoni galaxies, nove dipinti ad olio su tela, pone lo sguardo oltre l’atmosfera terrestre per abbracciare l’infinito cosmico, attraverso le cromie dei pianeti Venere, Giove, Saturno, Marte e il Sole. È evidente come l’anacronismo delle campiture della pittura di Piero della Francesca possa rinascere nella pittura contemporanea, tramite l’attento studio che l’artista argentino ha posto verso il maestro, durante la sua formazione a San Sepolcro. Allo studio del moderno, l’artista unisce una poetica del tutto contemporanea, con l’associazione del suo lavoro a Manzoni. Ed ecco che il monocromo Manzoni Sun, nella sua sfumatura tonale si addensa di stratificazioni temporali e di senso.

Bruno Ceccobelli

Bruno Ceccobelli pone la leggerezza della piuma all’altezza del petto di una tuta bianca, come depositata dall’artista al termine di un volo estatico tra la Terra e il mondo spirituale. Il maestro Ceccobelli afferma che “L’uomo con la piuma evoca l’Aria come il sanscrito Atma, il ‘Soffio vitale’ da dove tutto appare e tutto ritorna…”. L’uomo con la piuma è, dunque, l’anima individuale, il Sé che, nella natura illimitata del Brahman, dichiara l’anima universale del mondo, quel soffio che dà la vita, trascendente la realtà fisica per generare perpetuamente il Cosmo. Le piume compongono le ali, con cui soverchiamo il limite e ci libriamo alle altezze della visione creativo-spirituale, fino al raggiungimento dell’albedo, della nuova luce. L’opera è deposta in uno scrigno, sulle cui ante sono riportati elementi iconico-simbolici.

Edoardo Cialfi

Questa stessa densità si ritrova nel lavoro di Edoardo Cialfi che, a buon riguardo, afferma “la mia reinterpretazione del paesaggio non è semplicemente un’operazione estetica. Ci sono due ambiti con i quali indago due diversi concetti: le nebbie e le tempeste. Le nebbie sono il mezzo con il quale tento di rappresentare l’isolamento e l’insicurezza che caratterizza l’umano contemporaneo. Le tempeste sono invece il mezzo con il quale cerco di esprimere il concetto di natura come minaccia, come ente autonomo, imparziale, in grado di essere avverso all’esistere umano”. L’etere, nelle tele di Cialfi, si fa materia Sublime, in cui si inseriscono i due lavori Il giorno delle sabbie e Il giorno delle dissolvenze, ove il medium dell’aerosol origina paesaggi evanescenti, in cui la traccia figurata si concentra nella parte inferiore del supporto. Nel suo lavoro, l’aere coinvolge sia il processo pittorico sia la dissolvenza, di cui l’artista si serve per relegare quello sfumato da Vinciano che Giorgio Vasari definì “molto fumeggiante”, per il suo avvolgere le figure in un sottile pulviscolo atmosferico, simile alla nebbia di Ghirri, e che fonde i confini con l’atmosfera.

Di sofisticata distinzione, è la serie di opere lavorate con le reti di Aldo Grazzi. I teleri cesellati ricordano le piante degli edifici sacri, creando un binomio, per cui l’aria – che attraversa i lavori del trittico con polittico Ruota e Rifletti – è la stessa che respiriamo e che ci circonda; è elemento storico, sacro e futuribile.

Ogni tipo di architettura e figurazione si annulla nell’operazione di astrazione di Arturo Casanova che, “attraverso una pratica contemplativa entra nel territorio del trascendente per dare un senso profondo, spirituale alla sua arte”. Eppure, nei nove blocchi di inchiostro su carta intelata di Mystic, si coglie quanto fino a qui espresso, quell’andamento sia verticale, sia orizzontale, sia circolare di una materia che è in grado di esprimere innumerevoli livelli di significazione, mentre, nelle due opere “Flight AC”, si osserva una tensione centrifuga e centripeta, propria della materia ghiacciata.

Casper Faassen

L’opera Soffio Vento Uccelli di Juan Pablo Macìas è un lavoro corale, performance partecipativa, in cui sono stati registrati il soffio del vento e il canto degli uccelli imitati dai cittadini, durante la sua residenza, a cura di Casa Sponge di Pergola, nel 2020. I brani sono stati riportati su un vinile, di cui l’artista ha realizzato sette copie con copertina. Nel lavoro di Macìas, l’aria, dunque, è elemento essenziale e continuativo. Attualmente, infatti, l’artista è curatore, con Alessandra Poggianti, di ON AIR, “progetto collaborativo che funziona come un hub online-offline sull’aria, sull’atmosfera, sull’ambiente, sul respiro”. La comunione e la serenità dell’opera di Macìas si fonde con il paesaggio di Cialfi, per ricondurci all’operato di Casper Faassen che chiarisce “voglio evitare di etichettare le opere come dipinti, fotografie o altre categorie. Se penso che la mia idea si adatti a un altro supporto lo uso”. La quiete del tempo del paesaggio Sea by Day viene interrotta dal trascorrere fuggente dello stesso che trattiene, tra le fessure prodotte con la craquelé, la fotografia dello sguardo.

Mario Consiglio

Lo sguardo si traduce in parola nei lettering painting dell’artista Mario Consiglio, frasi dal forte impatto formale e comunicativo. “Arma il prossimo tuo come te stesso” è un calembour socio-politico che rientra nel pensiero riportato in catalogo: “la poesia è politica quando parla dell’umanità, ma anche quando esprime sentimenti sulla natura, quindi, diventa pensiero politico ecologico …”. Quelli dell’artista di Massimiliano Poggioni “sono luoghi senza persone, sia in natura che nei contesti urbani, in cui domina un silenzio irreale, una stasi che sembra immanente”. Nella pittura l’aria-cielo espande il portato metafisico delle architetture prive di porte e le cui fondamenta si dichiarano impercettibili. Sono edifici in grado di generarsi e, subitaneamente, dissolversi nella mente di chi osserva, come nell’opera “Architettura celeste”. L’architettura sottrae la sua stessa solidità, contemplando quei cambi di stato, afferenti all’aria. Uno svuotamento umano che, nella mostra, si attua dall’architettura al paesaggio.

Opere di Luca Vitone in mostra a Perugia Courtesy Galerie Rolando Anselmi Roma

Il trittico costituito dalle tre opere Villa Adriana (paesaggio visto da ninfeo), Villa Adriana (veduta dalle cento camerelle), Villa Adriana (veduta di camerino presso il canopo) dell’artista Luca Vitone si possono riconoscere come paesaggi per l’azione che l’aria, la pioggia, la polvere e gli altri elementi scolpiscono sulla tela, depositando la loro sostanza materica e, unitamente, la loro pigmentazione. “Sono un paesaggista, uno scultore di paesaggi”, puntualizza Vitone. “Ma in questo caso – precisa l’artista – con le tele atmosferiche faccio un passo indietro e do spazio all’autorappresentazione, all’autoproduzione di un paesaggio figurato da parte del paesaggio stesso”.

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