Per un giornale con il quale collaboro ho scritto recentemente un fondo sull’Intelligenza Artificiale e, il fatto che abbia mosso molte annotazioni da parte di chi ha letto, mi ha fatto pensare. L’assunto del pezzo era che, pur riconoscendo la rilevanza di questa ennesima invenzione delle teste d’uovo mondiali che portano l’informatica ad essere parte fondamentale delle nostre vite, qualche dubbio rimane. Almeno da parte mia. Lo vedo chiaramente che l’Intelligenza Artificiale si sta allargando a macchia d’olio ovunque, con una velocità forse inaspettata; capisco, inoltre, che in certi settori possa rendersi utile e che, in qualche modo, AI è il figlio rivoluzionario del – sin qui imbattibile – algoritmo che ha reso Google il succedaneo costante delle nostre ormai labili memorie, però ci sono momenti in cui è bene fermarsi e riflettere.
Fior di filosofi contemporanei ragionano sulla tecnologia come un tempo i loro antichi predecessori e colleghi facevano sulla religione o sulla morale e dunque – se la rampante tecnocrazia da dà pensare (e mangiare) a chi scrive – una ragione nel dubitare ci sarà. Facciamo il caso del massimo detrattore della contemporaneità informatizzata, il filosofo, coreano di nascita ma di fatto cittadino tedesco, Byung-Chul Han, lui – che evidentemente intende terrorizzarci – scrive: “Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud. Il mondo si fa sempre più inafferrabile, nuvolo e spettrale”. Possiamo dargli completamente torto?

Un altro filosofo, in questo caso svedese, Nick Bostrom, non così catastrofico, apparentemente, come il collega Chul Han, cerca di mettere insieme i pezzi della modernità, seppur con molti dubbi, e scrive: “L’intelligenza artificiale sarà l’ultima invenzione realizzata dall’umanità”. Ora, se questo strale sia o meno un anatema io non lo so, però è chiaro che ci si interroga, ormai da tre decenni, sia su cosa stia succedendo nel mondo virtuale ma, soprattutto, su cosa ne sarà in futuro; quanta parte di vita catturerà. E allora io, non per citarmi, ma per cercare di spiegare a me stesso – in primis – cosa provo davanti alla più recenti delle “trovate”, quest’Intelligenza Artificiale alla quale è stato dato un nome davvero preciso se non perfetto – perché artificiale dice davvero tutto – in quel pezzo di cui parlo all’inizio ho scritto: “Dunque, come i bambini che fanno insistenti domande alle quali non sempre i grandi sanno rispondere, tipo: papà ma davvero gli angeli sanno volare? Ora, con A.I, noi adulti infantilizzati possiamo tornare indietro e, a nostra volta, fare domande, le più disparate, grazie a dei prompt che, se posti con creatività, danno spazio a risposte inaspettate. Le quali, stando agli angeli, tra le tante potrebbero essere: “gli angeli volano, piccolo, ma non li possiamo vedere, per cui bisogna solo crederci”.

Ecco, a volte percepisco che la AI possa prenderci in giro, un po’ come il computerone di bordo HAL, nel capolavoro di Stanley Kubrick 2001 Odissea nello spazio in cui HAL stesso prende il comando della navicella spaziale e si fa gioco degli astronauti nel loro puerile tentativo di riportarlo sotto le loro volontà. Io trovo che ci sia un certo sussiego nel modo di interfacciarsi di ChatGPT, la sigla di AI più nota, con coloro che pongono richieste. Sembra quasi che l’applicazione metta in campo una certa piaggeria per compiacere l’interrogante e andargli incontro, come, appunto – erroneamente – si fa con i bambini per portarli a dire ciò che vorrebbero ma magari non con parole proprie. È questa la parte che mi inquieta anche se capisco benissimo che le funzioni di AI sono molteplici e ancora tutte da scoprire. Però, fermo restando che, almeno per adesso, sono convinto che l’intelligenza umana sia superiore a quella artificiale (peraltro ideata da una mente umana) c’è una parte del “gioco” che solo a distanza capiremo meglio.

Esempio: per utilizzare al meglio la AI bisogna concepire un prompt, in sostanza l’istruzione, scritta o visiva, che l’utente fornisce per ottenere la risposta attesa. È ovvio che l’omologazione, in questo caso, è sempre dietro l’angolo, perché, a fronte di decine di migliaia di prompt tematici inseriti nel sistema, sarà lo stesso (sistema) a digerire le richieste, rielaborarle, e servirle come un bolo sul piatto dell’ignaro “questuante” il quale non sa che la medesima risposta, con piccole varianti, sta arrivando sugli schermi di altre migliaia di utenti a caccia del medesimo “oracolo”. E invece, se io immagino o disegno un abito, e questo schizzo me lo tengo nel cassetto e lo tiro fuori all’occorrenza produttiva, son certo che quello – e solo quello – sarà il capo che io avevo pensato, che avevo, nella mia mente, visto in anteprima. Un’intera sessione di esami universitari è stata annullata perché è stato facile, per i professori, capire che i lavori erano tratti da AI. Ovviamente dei 361 annullamenti qualcuno – incolpevole – ci è andato di mezzo, sicuramente aveva lavorato sodo per quell’esame senza l’aiutino di ChatGpt, però questo è solo un esempio, dei mille che potrei fare, non per dire di stare alla larga dall’Intelligenza Artificiale ma per consigliare di usarla, per dirla con Manzoni, con juicio, si puedes, con giudizio…

Per rimanere in tema… alcune ricerche sulle condizioni della scuola, in Italia e all’estero, fanno notare come la capacità di memoria dei giovani sia inferiore a quella dei loro coetanei di decenni orsono. A scuola, un tempo, si batteva molto sulla memoria (e perché devo imparare Pascoli a memoria? Perché vuole, professoressa, che io le citi a memoria il versetto latino di Orazio?) perché, cari tutti noi, stimolare la memoria aiuta il cervello a espandersi sino a raggiungere le sue massime capacità. Ma da quando c’è Google –diciamocelo – chi prova ad andare a memoria? Basta digitare un nome e sapremo tutto da quella interrogazione; a che pro, dunque, affaticare la mente quando c’è Google che, più o meno, contiene tutto? E il passo avanti è ora questo pronipote del motore di ricerca più noto del mondo (dico pronipote perché nella tecnologia gli anni sono decenni e i decenni, secoli) il quale non si limita a dare risposte ma pretende di fornirle secondo un tuo stile, rispondendo “a tema” in base alla formulazione della domanda. È chiaro – non vorrei sembrare retrogrado – che la AI fornisce anche soluzioni utili sul lavoro.

Un amico regista mi diceva che, per creare lo story board di una sceneggiatura – dunque vedere in anteprima le scene che poi andranno girate dal vivo – non c’è nulla di più comodo dell’Intelligenza Artificiale: inserisci il passaggio del copione che desideri vedere sotto forma di sketch e voilà, il gioco è fatto; velocemente e spesso con risultati notevoli per chi deve preparare il set. Va sempre visto anche il risvolto della medaglia. E poi, chi ci assicura che tutte queste informazioni che “buttiamo” dentro la fornace dell’AI non ci si ritorcano contro, prima o poi? Sempre Chul Han scrive minaccioso: “Siamo apparentemente liberi, ma incapaci di discutere. Immersi nell’infocrazia, nella quale libertà e sorveglianza coincidono, assistiamo al tramonto dell’epoca della verità”.

Ovviamente questo entusiasmo dei primi tempi tenderà a scemare. La AI resterà un rilevante strumento di lavoro per taluni ma – al contempo – io spero che l’assalto alla diligenza prima o poi termini. Un’enorme percentuale degli attuali utenti di AI, oggi come oggi, sono improvvisati, attratti dalla parte giocosa dell’applicazione, quella in cui puoi inserire le cose più disparate, spesso inutili ma che, ahimè, contribuiranno ad ingrassare – magari in maniera distorta – l’assorbente e, ricordiamocelo, artificiale memoria dell’invenzione del secolo. È il linguaggio con il quale si esprime che ci ammalia perché, così come il computerone HAL, nel capolavoro di Kubrick, AI fornisce risposte che puoi anche ascoltare con voce suadente, e queste parole sembrano rivolte solo a te, come se AI fosse un’amica, un conoscente, qualcuno, insomma, che ti conosce e dialoga solo con te. One to one. Alla base del successo del mezzo, io credo, c’è anche questo interloquire come mai nessuna macchina ha fatto con noi e i tentativi precedenti di Google, di dialogare oralmente con l’utente, tipo Alexa, oggi, alla luce di questo avanzamento, appaiono primordiali. Mi piacerebbe confrontarmi su questo argomento. Anzi, ora chiudo e vado su ChatGPT, vediamo cosa dice su di me. Buon futuro a tutti.
(Le immagini di questo articolo sono generate con l’ausilio della AI)