Airbnb regala una notte da “gladiatori” al Colosseo: valorizzazione o spettacolarizzazione fine a sé stessa?

Airbnb, con il suo ultimo progetto legato al Colosseo, ha dato vita a un’iniziativa che appare, a prima vista, audace e visionaria: permettere a 16 eletti di vivere un’esperienza gladiatoria immersiva nell’arena più iconica del mondo, i prossimi 7 e 8 maggio 2025. Tuttavia, questo gesto, che si presenta come un tributo alla grandezza storica di Roma, tradisce un’ambizione pericolosa: piegare il valore simbolico di un monumento millenario a logiche di consumo e intrattenimento.

Il Colosseo, con le sue mura impregnate di storia e leggenda, è un simbolo universale della caducità della gloria umana, un luogo che ha assistito al trionfo e alla crudeltà, al teatro e alla tragedia. Consentire ai turisti di vestire panni da gladiatori per una notte rischia di ridurre questo spazio sacro a una scenografia, svilendo il suo significato più profondo.

In una società che sempre più si nutre di esperienze fugaci, la spettacolarizzazione del patrimonio culturale non è un fenomeno nuovo, ma la proposta di Airbnb segna un passo ulteriore verso quella che si potrebbe definire una “Disneyficazione” del passato. La storia, in questo contesto, non è più qualcosa da contemplare o studiare, ma un prodotto da consumare.

Massimiliano Smeriglio, assessore alla Cultura a Roma, ha colto perfettamente il nocciolo della questione quando ha parlato del rischio di trasformare il Colosseo in un parco a tema. Non si tratta, infatti, di opporsi al turismo o al progresso, ma di interrogarsi su quali siano i confini oltre i quali l’autenticità cede il passo alla spettacolarizzazione.

Il Parco Archeologico del Colosseo, da parte sua, ha difeso l’iniziativa sottolineando che i fondi raccolti saranno destinati alla conservazione del monumento. Questo argomento, per quanto pragmatico, si espone a una critica inevitabile: può davvero la tutela di un patrimonio giustificare la sua mercificazione? L’arte e la storia, per la loro natura, richiedono un rispetto che va al di là della logica economica. La questione non è solo italiana. In tutta Europa, da Barcellona a Venezia, il problema del turismo di massa e della commercializzazione dei beni culturali sta erodendo l’essenza stessa di molte città storiche. Gli edifici, le piazze, i monumenti rischiano di diventare scenografie per un pubblico globale sempre più distaccato dalla loro reale importanza.

Eppure, il Colosseo è qualcosa di più. È una rovina, nel senso più alto del termine: un monito contro il trascorrere del tempo e l’illusione di eternità. Mettere un turista in armatura nell’arena, anche se solo per una notte, è come sovrascrivere quella memoria con una narrazione artificiale, un sogno di cartapesta.

Quello che ci domandiamo è: fino a che punto il valore di un luogo come il Colosseo può essere subordinato al bisogno di raccontarlo in modo “esperienziale”? Non sarebbe forse più potente lasciare che parli da solo, con la sua pietra, le sue ombre, il suo silenzio?

L’arte e la cultura non hanno bisogno di essere addomesticate per attirare attenzione. Piuttosto, devono restare una sfida, una provocazione. Airbnb, con questa iniziativa, sembra dimenticare che i monumenti come il Colosseo non sono solo cornici per storie nuove, ma essi stessi opere insostituibili, profondamente legate al loro contesto e alla loro eredità.

Il Colosseo ha attraversato secoli di storia, guerre, restauri, devastazioni. Ha resistito alla modernità, ai terremoti, alle ingiurie del tempo. Che senso ha ora trasformarlo in uno scenario per un intrattenimento momentaneo, per quanto ben confezionato? In questa tensione tra innovazione e rispetto, sarebbe auspicabile un ritorno a una visione più alta del nostro patrimonio: non come risorsa da sfruttare, ma come eredità da custodire, per noi e per le generazioni future.

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