Alice Neel, la donna che ha ritratto un secolo: alla Pinacoteca Agnelli la sua prima retrospettiva italiana

«Se mai scriverò un’autobiografia la chiamerò “Il secolo sono io”». Lo ha detto Alice Neel (1900-1984), pioniera di una pittura così figurativa da diventare espressione e astrazione al tempo stesso e dotata di uno sguardo sul mondo schietto e sincero, puramente democratico. E Alice Neel I am the century, io sono il secolo, si intitola proprio la mostra che da venerdì al 6 aprile le dedica Pinacoteca Agnelli a Torino (a cura di Sarah Cosulich e Pietro Rigolo). Pare impossibile, ma questa allestita al Lingotto, dove la Pinacoteca ha sede, è la prima retrospettiva in Italia dell’artista che nacque nei pressi di Philadelphia – la mostra inizia proprio con il dipinto della sua casa natale, da cui è scappata presto – e, salvo una parentesi cubana, ha vissuto a New York.  

Diciamo subito che è la mostra assolutamente da non perdere, in questi giorni di Artweek torinese così infarciti di eventi. Prima di tutto – e questo lo dice forte e chiaro Sarah Cosulich, che di Pinacoteca Agnelli è direttrice – perché una retrospettiva di questo genere spariglia le carte di un luogo che presenta, nella sua collezione permanente, capolavori della ritrattistica (Matisse, Modigliani, Renoir solo per citarne alcuni) ma tutti realizzati da uomini: «Attiva in un’epoca in cui le donne nella pittura erano per lo più confinate al ruolo di soggetti passivi all’interno di un quadro, Alice Neel offre invece il suo sguardo femminile sull’universo che la circonda, sulla sua famiglia, i suoi vicini. Uno sguardo direi onesto e democratico. Anche quando, e solo negli ultimi anni, quando ha raggiunto la fama, si trova a ritrarre l’intellighenzia newyorchese, lo fa allo stesso modo in cui ritraeva la “sua gente” dei sobborghi della città, persone povere, immigrate o marginali, spesso queer», ci ha detto Cosulich. 

Installation view Alice Neel. I Am the Century Pinacoteca Agnelli Torino, 2025 Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino © The Estate of Alice Neel Ph. Credit Sebastiano Pellion di Persano

Sviluppata in stretta collaborazione con l’Estate of Alice Neel e in accordo con i suoi due figli, la mostra in Pinacoteca Agnelli propone una sorta di commedia umana come solo il tratto inconfondibile di Neel avrebbe potuto ritrarre. Una modalità di dipingere che non si allontana mai dalla figurazione ma che evolve nel tempo: dalle pitture spesse e dai toni cupi degli inizi, Alice Neel passa a un approccio più sperimentale, con campiture di colore sempre più ampie, linee blu a delineare le figure e spazi vuoti sulla tela, in un non finito fortemente voluto, che in fondo è la sua filosofia di vita.

Impossibile non emozionarsi davanti alle sue opere: a Torino ne sono esposte 60, scandite in un percorso prevalentemente cronologico (a proposito: utile, al piano inferiore, la cronistoria dell’esistenza dell’artista, in rapporto anche con la grande Storia). Se è vero che Alice Neel ha “vissuto” un secolo sulla sua pelle – dalla Grande Depressione alle Guerre Mondiali passando per il boom economico, il movimentismo degli anni Sessanta, il femminismo, le lotte per i diritti, le proteste contro la guerra in Vietnam, l’Aids – anche la sua esistenza è stata punteggiata da tragedie (la morte di una figlia, la rottura con il primo marito cubano che le sottrae anche la seconda figlia, amori tossici, una forte depressione, due tentativi di suicidio, il ricovero in ospedale psichiatrico) e impensabili rinascite

Thanksgiving, 1965 Oil on canvas | Olio su tela, 76.2 x 86.4 cm The Brand Family Collection Photo | Foto courtesy The Estate of Alice Neel and | e David Zwirner © The Estate of Alice Neel

Seguiamo questo suo tempo autobiografico, che si mescola con il tempo storico della sua epoca e con quello dei soggetti che ritrae nelle sei sezioni che compongono la mostra. Si comincia con i lavori degli anni Venti e Trenta, quando Neel, povera e indigente, riesce a lavorare per il WPA (Works Progress Administration) che all’epoca garantiva un sussidio statale agli artisti in cambio di opere su commissione: vediamo esposte a Torino scene urbane dal sapore infernale e ritratti della classe operaia quasi grotteschi. Il tratto si affina: negli anni in cui vive nel quartiere immigrato di Spanish Harlem, a New York, ritrae i figli, i famigliari (anche il padre morto: ritratto dopo il funerale in una tela da brividi). Si entra poi in sale dolorose dove non è possibile tenere fuori la biografia di Alice Neel da quel che vediamo esposto alle pareti: i disegni e dipinti di questo periodo sono esasperati ed esasperanti, i corpi parossistici, volutamente sproporzionati (da notare l’Autoritratto a forma di teschio). E poi eccoci ai nudi, ché Alice Neel è stata pittrice brava a mettere (letteralmente) a nudo i suoi soggetti

Installation view Alice Neel. I Am the Century Pinacoteca Agnelli Torino, 2025 Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino © The Estate of Alice Neel Ph. Credit Sebastiano Pellion di Persano

Chi posava per lei doveva stare alle sue regole: recarsi a casa sua (e lo notiamo perché l’ambientazione, con le sedie, le poltrone, i tavoli, è ricorrente) e spogliarsi. Alice Neel cerca l’anima, “la nuda verità” delle persone e dà il suo meglio nella rappresentazione mai idilliaca della maternità, cui la mostra dedica un’intera sezione, con nudi di donne incinte realizzati tra gli anni Sessanta e Settanta. Questo la rende un’attivista o una femminista? In parte. Alice Neel non ha mai mancato di prendere posizione sui diritti civili, ma ha anche sempre rifiutato etichette. Ha praticato un femminismo militante e inclusivo nel quotidiano e lo vediamo anche nell’ultima sala quando, ormai finalmente riconosciuta e appezzata e con una casa in Upper West Side, cattura lo spirito del tempo della New York radical chic degli anni Ottanta con ritratti dal sapore quasi dissacrate. La grandezza di Alice Neel sta nel suo restare sempre fedele a sé stessa, nel vivere con compassione e profondità ogni legame, soprattutto quello con la pittura. 

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