Quando Jimmy Nelson pubblicò Before They Pass Away (2013), la sua monumentale serie fotografica dedicata alle popolazioni indigene di tutto il mondo, suscitò reazioni contrastanti. Da un lato, immagini di straordinaria bellezza formale che hanno catturato l’immaginazione del pubblico globale; dall’altro, critiche feroci da parte di antropologi e attivisti indigeni che accusavano il fotografo di perpetuare stereotipi coloniali e di estetizzare culture vitali, riducendole a tableau vivant. Questa controversia mette in luce perfettamente la zona di confine in cui si muovono oggi arte e antropologia: territori contigui, con metodologie talvolta sovrapposte, ma spesso con tensioni irrisolte su questioni fondamentali di rappresentazione, autenticità e potere.
Mentre Nelson, che abbiamo potuto ammirare nella mostra “Humanity” al Palazzo Reale a Milano tra in 2023 e 2024, si difendeva sostenendo che il suo lavoro mirava a celebrare e preservare culture a rischio di scomparsa, i suoi critici sottolineavano come l’approccio estetico privilegiasse bellezza e spettacolarità a scapito della complessità culturale dei soggetti rappresentati. Il dibattito rimane aperto: può un’opera d’arte avere anche valore etnografico? Dove si colloca il confine tra documentazione culturale e appropriazione estetica?
Diverso l’approccio di Anthony Luvera che trascorre anni a costruire relazioni significative con persone senza fissa dimora nelle strade di Londra. Non si limita a fotografarle, ma le invita a co-creare, fornendo loro macchine fotografiche e insegnando tecniche di autoritratto. Il risultato è “Assisted Self-Portraits” (2002-2011), una serie dove i confini tra soggetto e autore si dissolvono. Quello che potrebbe sembrare un semplice progetto fotografico rivela, a uno sguardo più attento, un approccio profondamente etnografico: immersione prolungata, costruzione di relazioni, attenzione alle dinamiche di potere e co-produzione di conoscenza. Raul Ortega Ayala, artista messicano, ha trascorso tre anni immergendosi in diversi mondi lavorativi – dal giardinaggio alla ristorazione, dagli uffici ai servizi funebri – adottando quello che chiama esplicitamente “approccio antropologico“. In “Food for Thought” (2009-2010), dopo un’immersione di nove mesi in ristoranti di Londra, ha ricreato fedelmente piatti consumati da figure storiche nei loro ultimi pasti, trasformando una ricerca quasi archeologica in installazione artistica.
Questi artisti non stanno semplicemente “prendendo in prestito” metodologie antropologiche: stanno ridefinendo cosa significa essere artisti nel mondo contemporaneo. Non più creatori isolati nel proprio studio, ma osservatori partecipi che si immergono nel tessuto sociale, producono conoscenza e generano esperienze che sfidano i confini tradizionali dell’arte.

L’arte come spazio etnografico
Cosa rende questi progetti artistici così vicini all’antropologia? Innanzitutto, la dimensione temporale. Come l’etnografo che trascorre mesi o anni sul campo, questi artisti si dedicano a processi lunghi, pazienti, dove il tempo diventa materiale essenziale dell’opera. Suzanne Lacy, ad esempio, con il suo “The Oakland Projects” (1991-2001), ha dedicato un decennio di lavoro con giovani afroamericani e latinoamericani di Oakland affrontando tematiche sociali attraverso l’arte partecipativa.
C’è poi l’attenzione alle relazioni come elemento costitutivo dell’opera. Sophie Calle in “The Address Book” (1983) ha trovato casualmente una rubrica telefonica e ha intervistato tutti i contatti per creare un ritratto indiretto del proprietario. Una indagine etnografica trasformata in esperimento artistico.
Anche il concetto di “campo” viene reinterpretato. L’artista camerunese Barthélémy Toguo in “Transit” (dal 1996) documenta le sue esperienze di attraversamento di frontiere creando passaporti fittizi e timbri giganti che materializzano l’esperienza del migrante, trasformando il controllo di frontiera nel suo “campo etnografico”.
Due tradizioni a confronto: convergenze e divergenze
L’antropologia e l’arte hanno storie e obiettivi apparentemente diversi. La prima nasce come progetto scientifico di comprensione sistematica delle culture umane; la seconda come espressione creativa con finalità estetiche. Eppure, entrambe si sono evolute in direzioni che hanno reso possibile l’incontro odierno.
L’antropologia ha abbandonato l’illusione positivista di una documentazione “oggettiva” dell’alterità, riconoscendo il carattere sempre parziale e situato della conoscenza etnografica. La “crisi della rappresentazione” avviata negli anni ’80 con il volume “Writing Culture” (1986) di James Clifford e George Marcus ha aperto la disciplina a forme più sperimentali, riflessive e dialogiche.
Parallelamente, l’arte contemporanea ha vissuto una “svolta sociale“, allontanandosi dall’oggetto come prodotto finito verso esperienze, relazioni e processi. Nicolas Bourriaud, con il suo influente “Estetica relazionale” (2002), ha teorizzato quest’arte che prende come orizzonte teorico “la sfera delle interazioni umane e il suo contesto sociale, più che l’affermazione di uno spazio simbolico autonomo e privato”. Su artuu.it ne abbiamo parlato qui Dalle Definizioni Classiche all’Intelligenza Artificiale: Verso un’Ontologia Relazionale dell’Arte e qui, Il valore dell’estetica partecipativa per la comunità.
Questa convergenza non è priva di frizioni. Dal mondo dell’arte emergono critiche sulla presunta superficialità con cui alcuni artisti adotterebbero metodologie etnografiche senza la necessaria riflessività. Come ha provocatoriamente domandato l’antropologo George Marcus: “Cosa succede quando gli artisti fanno etnografia?”. La risposta implicita è che spesso manca loro il rigore metodologico e la profondità analitica propri della disciplina antropologica.
Dall’altra parte, l’antropologia può apparire eccessivamente accademica, ingabbiata in convenzioni espressive che limitano la sua capacità di comunicare l’esperienza vissuta. L’artista e antropologa Jennifer Deger ha evidenziato come la scrittura accademica tradizionale fallisca spesso nel trasmettere dimensioni fondamentali della vita sociale: sensorialità, affetti, emozioni, atmosfere.
Un altro nodo problematico riguarda le questioni etiche. Chi può rappresentare chi? Con quale autorità? A chi appartengono le storie raccolte? Mentre l’antropologia ha sviluppato protocolli etici rigorosi (seppur sempre in via di discussione), il mondo dell’arte opera con regole diverse, sollevando interrogativi sulla responsabilità verso le comunità coinvolte.
La commercializzazione del lavoro artistico pone ulteriori dilemmi. Quando l’artista Renzo Martens ha creato in Congo una piantagione di cioccolato come opera d’arte partecipativa (“Institute for Human Activities”, 2012), intendendo redistribuire i profitti del sistema dell’arte contemporanea, ha sollevato sia entusiasmi che accese critiche sulla potenziale strumentalizzazione della povertà.
Nonostante queste tensioni – o forse proprio grazie ad esse – emergono esperienze particolarmente innovative. Il “concettualismo etnografico” proposto dal PhD Nikolai Ssorin-Chaikov rappresenta un tentativo di condurre etnografia come arte concettuale, usando strategie artistiche per generare situazioni sociali che diventano oggetto di indagine.
Un esempio interessante è “Elsewhereness” di Anders Weberg e Robert Willim, che combina arte digitale ed etnografia sperimentale. L’opera si presenta come un’installazione audiovisiva interattiva che esplora la sensazione dell’“altrove” — quella percezione ambigua e sfuggente che emerge di fronte a luoghi sconosciuti o culturalmente altri. Attraverso suoni, immagini e ambienti immersivi, i visitatori sono invitati a riflettere su cosa significhi percepire qualcosa come esotico o familiare, generando così un’esperienza sensoriale che diventa anche strumento di indagine antropologica. O ancora, il “Museum of Non Participation” di Karen Mirza e Brad Butler, un’entità nomade che interroga le forme di resistenza passiva e di non-partecipazione come strategia politica, raccogliendo storie attraverso performance, film e installazioni.
La zona di frontiera
Se l’antropologia offre strumenti analitici e sensibilità etnografica, l’arte contribuisce con la sua capacità di evocare, provocare e coinvolgere sensorialmente.
Come suggerisce l’antropologa Arnd Schneider, l’incontro tra queste discipline può generare spazi di “appropriazione reciproca” dove entrambe escono trasformate. L’antropologia si arricchisce di nuovi linguaggi espressivi e modalità di coinvolgimento pubblico, mentre l’arte acquisisce profondità analitica e consapevolezza delle complesse dinamiche interculturali.
In un mondo della conoscenza sempre più complesso e interconnesso, forse è proprio negli interstizi disciplinari che possiamo trovare gli strumenti più adeguati per interpretare e rispondere alle sfide contemporanee.
Libri e testi teorici
- Bourriaud, N. (2002). Estetica relazionale. Milano: Postmedia Books.
- Clifford, J., & Marcus, G. E. (Eds.). (1986). Writing Culture: The Poetics and Politics of Ethnography. Berkeley: University of California Press.
- Schneider, A., & Wright, C. (Eds.). (2010). Anthropology and Art Practice. London: Bloomsbury Academic.
Progetti e opere artistiche
- Calle, S. (1983). The Address Book. Progetto concettuale.
- Luvera, A. (2002–2011). Assisted Self-Portraits. https://www.luvera.com/project/photographs-and-assisted-self-portraits/
- Lacy, S. (1991–2001). The Oakland Projects. https://www.suzannelacy.com/the-oakland-projects
- Lowe, R. (1993–oggi). Project Row Houses. Houston, TX. https://projectrowhouses.org
- Martens, R. (2012). Institute for Human Activities. Congo. https://renzomartens.com
- Mirza, K., & Butler, B. (s.d.). Museum of Non Participation. http://www.museumofnonparticipation.org
- Nelson, J. (2013). Before They Pass Away. Kempen: teNeues Publishing Group.
- Ortega Ayala, R. (2009–2010). Food for Thought. Installazione. https://www.raulortegaayala.com
- Toguo, B. (1996–oggi). Transit. Installazione e performance. https://www.barthelemytoguo.com
- Weberg, A., & Willim, R. (s.d.). Elsewhereness. http://www.transits.se/elsewhereness/
Articoli e contributi online
- Artuu.it. Dalle definizioni classiche all’intelligenza artificiale: verso un’ontologia relazionale dell’arte.
- Artuu.it. Il valore dell’estetica partecipativa per la comunità.
- Survival International. (2013). Jimmy Nelson: Before They Pass Away – Critiche e risposta