Altro che contorno: le mostre che fanno il piatto forte della Milano Art Week

A Milano l’arte non arriva, dilaga. La Art Week 2025 si apre come un sipario che non smette mai di alzarsi, lasciando scorrere immagini, nomi, visioni che si sovrappongono senza sosta, come un flusso visivo senza punteggiatura. Il calendario? Fitto. L’energia? Rovesciata addosso. In città si muove tutto, dai palazzi istituzionali alle gallerie meno prevedibili, ognuno con la propria voce, ognuno con il proprio urlo. Tra le mostre da non perdere ce ne sono almeno otto, e tutte raccontano un pezzo di questo presente ipersaturo che abbiamo chiamato arte.

Ugo Rondinone con Terrone alla GAM firma un racconto personale e universale insieme: la sua è una migrazione interiore, fatta di memorie e dissonanze, una dichiarazione d’identità che non cerca redenzione ma risonanza. Caroline Corbetta, curatrice della mostra, lo guida in un dialogo potente con Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, come se la storia e l’individuo si riconoscessero in uno specchio incrinato ma ancora nitido. Lì c’è una verità che non ha bisogno di estetica per fare rumore. E il rumore, in effetti, è la vera colonna sonora di questa Art Week.

Robert Rauschenberg, «Able Was I Ere I Saw Elba», 1983 (particolare)
© Robert Rauschenberg Foundation-Ars, New York, 2025. Courtesy of Galerie Thaddeus Ropac, London, Paris, Salzburg, Milan, Seoul. Foto: Ulrich Ghezzi

Rauschenberg al Museo del Novecento, per esempio, non è solo una celebrazione da calendario (1925-2025, cent’anni dalla nascita), ma un cortocircuito tra mondi che non hanno mai smesso di parlare tra loro. Il New Dada incontra l’Italia del secolo breve con la naturalezza di chi sa che il futuro è già nel passato, basta saperlo leggere. Gianfranco Maraniello e Nicola Ricciardi, insieme a Viviana Bertanzetti, orchestrano una mostra che non mette l’artista sul piedistallo, ma lo mescola ai materiali, lo lascia agire nei corridoi del tempo, come un hacker gentile che riscrive la storia dell’arte con il collage e l’ironia.

Poi c’è Nico Vascellari, e lì si cambia vibrazione. Pastorale a Palazzo Reale è un rito oscuro e affascinante, un’esperienza che non si guarda soltanto, ma si subisce. La Sala delle Cariatidi, già di per sé luogo di fantasmi e memorie, diventa un teatro del suono e dell’immagine, dove l’artista, guidato dalla curatela intensa di Sergio Risaliti, fonde sacro e profano, natura e glitch, corpo e spirito. L’output è una foresta artificiale, un bosco digitale dove si entra in punta di piedi e si esce trasformati, un po’ più selvatici e un po’ più lucidi.

BiM_Le luci e gli amanti_a cura di Davide Giannella e allestita da SPECIFIC

BIM, nel cuore di Bicocca, è invece il manifesto concreto di come l’arte possa trasformare anche gli spazi urbani, renderli vivi, porosi, accoglienti. Non una mostra, ma un progetto di rigenerazione, una presa di posizione estetica e sociale. Un luogo che non si visita, ma si abita. Qui l’arte non è appesa, ma inglobata, non è oggetto ma atmosfera.

Pippa Bacca torna con una delicatezza disarmante nelle sale di Palazzo Morando. Innesti è una mostra che non si impone, ma si insinua. Le sue opere si fondono con gli spazi storici, come presenze che si rivelano solo se guardi con attenzione. È una mostra che parla di cuciture, di connessioni invisibili tra il passato e un presente che ha ancora bisogno di bellezza femminile, di coraggio silenzioso. Ogni stanza è un sussurro, un invito a rallentare, a sentire davvero.

Angelo Accardi invece porta Art Crimes nella Veneranda Biblioteca Ambrosiana. Le sue installazioni, tra tele, video e oggetti pop, entrano in dialogo con il cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello. È uno scontro tra classicismo e disturbo contemporaneo, un esperimento di coabitazione tra l’eterno e il provvisorio, dove ogni elemento sembra chiedere: “E se fosse tutto una performance?”. Il risultato è ironico, potente, spiazzante. Milano qui non si limita a ospitare l’arte, la sfida.

E poi c’è una novità, che profuma di futuro: BFF Bank apre la sua BFF Gallery al Portello, inaugurando con Paradiso Perduto di Enrico Baj. Non una semplice operazione di brand culturale, ma un gesto reale di apertura. Baj, maestro del surrealismo e della provocazione, è la scelta perfetta per rompere il ghiaccio: le sue opere accolgono e respingono, ammiccano e pungono. La collezione permanente della banca trova un suo spazio fisico, un luogo dove raccontarsi e soprattutto condividersi.

Tutto questo, ovviamente, si muove in orbita intorno a miart, che torna dal 4 al 6 aprile all’Allianz MiCo con il titolo Among Friends. Il nome è un tributo a Rauschenberg, ma anche una dichiarazione di intenti. Qui si parla di relazioni, di contaminazioni, di dialoghi. Con 179 gallerie da 31 paesi, la fiera è un organismo complesso e affascinante, dove la geografia dell’arte contemporanea si ridisegna ogni anno. Nicola Ricciardi, alla direzione artistica, mantiene il timone con visione e apertura, costruendo una fiera che è sempre meno vetrina e sempre più piattaforma di pensiero.

Milano Art Week 2025 è tutto questo e molto di più. È il momento in cui la città si risveglia con gli occhi pieni di immagini, le orecchie colme di parole nuove, le mani pronte a toccare qualcosa di inaspettato. È il tempo della contaminazione, dell’incontro, del rischio. Un tempo in cui l’arte non si guarda da lontano, ma si attraversa. E quando ne esci, non sei più lo stesso.

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