Non è stato un lunedì come gli altri. Le città si sono svegliate più lente, attraversate da un vuoto insolito: aule scolastiche senza voci, uffici deserti, autobus dimezzati. Al posto della routine, le piazze hanno preso forma di assemblee a cielo aperto, gremite da cortei e sit-in che hanno portato ovunque lo stesso grido: fermare la guerra, dire basta alle armi, chiedere giustizia per Gaza.
Dal nord al sud, più di settantacinque città hanno visto scendere in strada studenti e studentesse, lavoratori, collettivi, associazioni. Una mobilitazione che non ha scelto i margini ma la centralità, trasformando lo sciopero generale indetto da Usb, Cub e Adl in un gesto di rottura capace di fermare il paese per un giorno.
Tra chi ha preso parte alla manifestazione di Roma in Piazza dei Cinquecento c’era anche il fumettista Michele Rech, in arte Zerocalcare. Con la consueta lucidità ha sottolineato come i giovani abbiano compreso la gravità di ciò che accade, “fuori da qualsiasi umanità e diritto internazionale”. Per l’autore, questa mobilitazione dal basso nasce dal bisogno di difendere i diritti di un popolo, colmando il vuoto lasciato dall’inerzia degli Stati.
Accanto alla società civile, anche il mondo dell’arte e della cultura ha preso parola. A Torino hanno aderito la Fondazione Merz e il PAV – Parco Arte Vivente; a Milano la Fondazione Arnaldo Pomodoro, BASE, MARE e Careof; a Catania la Fondazione Oelle; a Roma realtà indipendenti come AlbumArte e il gruppo AWI – Art Workers Italia. Non sono mancate le voci dell’editoria e delle riviste, da Rolling Stone Italia a Inside Art, da Minimum Fax a Hopefulmonster Editore e Postmedia Books.
Dal fronte della comunicazione e della critica, anche il blog Travel on Art ha scelto di partecipare allo sciopero, mentre la direttrice della Fondazione Pomodoro, Carlotta Montebello, ha affidato a Instagram la sua riflessione: «Una manifestazione pacifica partecipata da una marea di gente solidale con il popolo palestinese. Che questa giornata non sia ricordata solo per gli scontri avvenuti in centrale».
E ancora: artisti come Nico Vascellari e Paola Pivi, insieme alla curatrice Maria Chiara Valacchi, hanno fatto sentire la loro voce attraverso i propri canali social, contribuendo ad amplificare il messaggio della piazza.
A chiudere il coro di testimonianze è il commento dell’artista Vanni Cuoghi, che dopo la manifestazione ha raccontato: “È stata una manifestazione davvero sentita e partecipata, in cui ho incontrato tanti amici e colleghi. Chi oggi focalizza l’attenzione solo sui fatti di devastazione, vuol dire che guarda il dito e non la luna (che sta bruciando)”.
Alle sue parole si aggiunge la riflessione del curatore Ivan Quaroni, che legge la giornata dentro una cornice più ampia e critica: “La partecipazione alla manifestazione per la Palestina è un segnale di umanità in un clima di smarrimento di tutti i valori che le società occidentali hanno sbandierato dal secondo dopoguerra ad oggi. L’Europa (esclusa la Spagna) ha perso ogni supposto primato morale. Siamo nella decadenza totale. O meglio lo sono i governi occidentali che mostrano finalmente la loro natura servile, la loro totale assenza di autonomia decisionale. Per me questo è uno dei momenti più bassi della storia civile. La fine di un ciclo vitale”.
Un segnale forte è arrivato anche da Ad Artem, che ha deciso di devolvere a sostegno di Gaza, tramite Caritas Jerusalem, Pro Terra Sancta e Gazzella Onlus, l’intero ricavato delle visite guidate del 22 e 23 settembre.
Qualche episodio di tensione non ha oscurato il senso profondo della giornata: un’onda di partecipazione diffusa e trasversale, con una presenza significativa di giovani e giovanissimi, a conferma di una sensibilità crescente che interroga la politica.
Il 22 settembre ha mostrato che fermare il tempo della quotidianità è possibile, se a guidare è la necessità di farsi ascoltare. Non un semplice sciopero, ma una giornata in cui il paese ha scelto di stare dalla parte di Gaza, trasformando il dissenso in voce collettiva.


