Al di là del titolo eclettico dei panel, delle celebrità, e delle sperimentazioni cross-disciplinari, una cosa era chiara fin dalle prime battute dell’Art+Tech Summit 2025 di Christie’s a New York: la vera star, quella che tutti volevano interrogare, usare o finanziare, era (e non poteva non essere) l’Intelligenza Artificiale.
Se nel 2018 si parlava di blockchain e NFT come prospettive laterali, quasi senza cognizione di causa, il 2025 sembra ripetere la storia con una nuova protagonista: l’AI. Ogni sezione del Summit dallo sport alla finanza, dalla produzione artistica alla regolamentazione pubblica ha finito per convergere su un’unica questione cruciale: chi controllerà gli strumenti cognitivi del futuro? E soprattutto: in che modo l’arte potrà ancora dirsi umana, intenzionale, autonoma? Domande in qualche modo mal poste, che rivelano un pubblico ingenuo, spesso speculativo, quasi mai preparato. Quando manca discernimento, è facile che le reazioni diventino polarizzate: esaltazione acritica da un lato, terrore distopico dall’altro.
In questo scenario di dubbio e di cambiamento, Christie’s ha cercato di assumere un ruolo che va ben oltre quello di casa d’aste: si configura come un broker culturale e geopolitico della trasformazione digitale, orchestrando un evento che è insieme conferenza, educazione, mercato e laboratorio di policy. Un’arena in cui l’estetica si interseca con l’economia dell’attenzione e le infrastrutture cognitive del XXI secolo.
L’evento si è articolato in quattro sezioni, ciascuna dedicata a un ambito della convergenza tra arte e innovazione. Il primo giorno si è aperto con il binomio Sports + Entertainment, dove le leghe sportive americane (NFL, MLS, NHL) hanno discusso le nuove forme di storytelling immersivo, emozionale e personalizzato. Al centro di tutto, l’opera A Goal in Life, presentata durante il Summit dal noto artista Refik Anadol, in collaborazione con il calciatore Lionel Messi per commemorare il più famoso Goal della sua carriera; questo momento iconico è stato reinterpretato da Anadol in un’opera immersiva guidata dall’intelligenza artificiale che fonde dati di gioco, segnali bio-elettrici e memoria emotiva per ridefinire i confini tra arte, tecnologia e intrattenimento. Un segnale di come l’arte stia diventando adattabile, fruibile da un pubblico sempre più variegato e sia pronta a conquistare anche mercati meno elitari.
Nel pomeriggio, l’Age of Innovation Panel ha dato spazio ai grandi protagonisti dell’AI contemporanea, da NVIDIA all’Allen Institute for AI, mettendo in dialogo tecnologia, etica e politica. Si è parlato della necessità di sviluppare modelli cognitivi regolati e comprensibili per evitare bias culturali che queste tecnologie molto spesso incorporano. Come hanno sottolineato vari membri dell’AI Task Force del Congresso USA, la consapevolezza critica di queste dinamiche è essenziale per evitare che le tecnologie rafforzino le disuguaglianze culturali. Regolare l’AI non significa limitarne l’uso ma piuttosto progettare strutture trasparenti, inclusive, auditabili, in grado di restituire pluralità e complessità alla produzione cognitiva automatizzata.

Il secondo giorno è stato dominato dalle trasformazioni del mercato dell’arte e i dati sono stati i grandi protagonisti di questa giornata, dati nell’arte e per l’arte: usati come strumento di creazione, come nuovi colori, come nuovi medium di concetti elaborati digitalmente e anche come supporto all’ottimizzazione dell’operatività. In questo ambito naturalmente la questione dell’autenticità, come sempre, ha fatto capolino, ma in forme nuove: non più legata solamente alla firma e alla competenza degli esperti ma bensì all’intenzionalità della ricerca, al processo scientifico mediato da estrazioni di dati sintetici e alla struttura relazionale dell’opera con sistemi di archiving e database avanzati che possano garantire trasparenza e credibilità alle analisi all’interno di un settore tristemente noto per la sua opacità.
Il pomeriggio conclusivo, dedicato a Funding the Future, ha infine aperto uno sguardo sul ruolo crescente dei venture capital nell’arte. Google Ventures, Andreessen Horowitz, Animoca: tutti concordi nel ritenere che le tecnologie cognitive, più ancora dei prodotti artistici o delle piattaforme creative, rappresentino il vero terreno di investimento strategico. L’arte, in questo senso, si conferma campo d’innovazione simbolica e sperimentazione infrastrutturale, capace di anticipare traiettorie che poi si consolidano nell’economia e nella cultura di massa, come è stato per secoli.
Nel bilancio finale di questo evento, il Christie’s Art+Tech Summit 2025 si è rivelato qualcosa di più di una conferenza. È stato un indicatore potente di come l’arte, la tecnologia e la cultura stiano convergendo in forme nuove e inaspettate, rendendo i confini tra queste industrie molto sfumati. Sembra che il momento di aprire il mercato a nuove possibilità sia finalmente giunto, dal punto di vista creativo ma anche tecnologico. Non si tratta di abbracciare l’AI con entusiasmo cieco, né di rifiutarla con paura reazionaria. La posta in gioco è un’altra: costruire una nuova alfabetizzazione cognitiva, una capacità diffusa di interpretare, selezionare, disinnescare e governare gli strumenti che stanno plasmando la nostra percezione dell’arte. Usare le tecnologie per comprendere la creatività, per distribuirla, ampliarla in nuove declinazioni, catalogarla, preservarla e garantirne la veridicità.
Questo è l’inizio del processo di democratizzazione e trasparenza dell’arte attraverso le scienze.



