Dal 21 maggio al 18 giugno 2025, la Galleria Maiocchi 15 di Milano ospita una suggestiva bi-personale che mette a confronto due linguaggi differenti ma accomunati dalla sensibilità verso il contemporaneo: Paolo Cassarà e Francesco Moscolo Andreotti.
Fin dagli esordi, l’opera di Cassarà si è nutrita di un immaginario quotidiano, dove le figure femminili sono diventate il centro di una ricerca che unisce tradizione e attualità. Attraverso la tecnica antica della terracotta policroma, l’artista siciliano è riuscito a rinnovare codici figurativi e rileggere i riferimenti iconografici della nostra epoca, trasformando soggetti comuni in simboli di una società in perenne oscillazione tra estetica e identità.
“Sospiro di Mezzanotte”, esposta in mostra, ne è un esempio eloquente. Una figura femminile a grandezza naturale, fasciata in un abito dorato dal profondo scollo, dal volto assorto e malinconico, sembra emergere dal buio di un palcoscenico immaginario. È una modella, un’icona di moda, ma anche una donna qualunque catturata in un momento di sospensione, tra l’apparenza imposta e un’intima fragilità.
Per Cassarà, la strada è il luogo privilegiato di osservazione: modelle, attrici, DJ, starlette, viaggiatori e manager popolano il suo universo scultoreo, incarnando i modelli estetici di una cultura visiva massificata. Non vi è però condanna né sarcasmo brutale. L’artista non demolisce il potere comunicativo del fashion system, ma ne evidenzia l’uso improprio da parte del pubblico e l’effetto distorto che produce sulle vite individuali, ridisegnando la scala di valori in favore di disvalori effimeri.
Le sue opere, ironiche e malinconiche, restituiscono così la ricerca di un’identità possibile in un sistema dominato dal conformismo. Ogni scultura diventa una piccola ribellione silenziosa contro la superficialità imposta, un tentativo di restituire umanità a corpi e volti che il consumismo vorrebbe ridurre a icone senza anima.
Cassarà racconta le contraddizioni della società moderna con opere che sono insieme racconto, denuncia e poesia.
Accanto a lui, nella bi-personale milanese, Francesco Moscolo Andreotti propone una pittura materica e profondamente introspettiva, invitando il pubblico a esplorare le profondità più intime dell’animo umano. Ogni opera diventa una lettera mai spedita, un appunto lasciato sotto la porta del tempo, un segno discreto che invita chi osserva a fermarsi, ascoltare e raccogliere.
Come nella canzone di Patrick Watson, da cui trae il titolo la sua ricerca più recente, le parole e i gesti diventano carezze invisibili, messaggi d’amore nascosti nei luoghi più impensati: sotto la porta, nei buchi del divano, tra le pieghe dell’inverno.
La mostra si articola in un percorso avvolgente tra tele di diverse dimensioni, dove il colore si fa voce e protagonista. Le sfumature, le sovrapposizioni e le texture materiche costruiscono un dialogo continuo tra luce e ombra, presenza e assenza. L’artista indaga il tema della memoria e dell’identità, lasciando emergere una sottile malinconia e una struggente bellezza.
Non si tratta di una narrazione lineare, ma di un viaggio emozionale in cui lo spettatore è invitato a completare il significato delle opere con la propria sensibilità, come sottolinea la curatrice Nadia Giani.


