Tradizionalmente, siamo stati abituati a pensare in termini di opposizioni: naturale o artificiale, mente o corpo, reale o irreale. Ma l’evoluzione delle materie scientifiche, filosofiche e artistiche ha mostrato che questi binari sono spesso inadeguati. Pensatori come Nietzsche e Heidegger, primo fra tutti, Jacques Derrida hanno messo in discussione le dualità attraverso il concetto di décostruction, invitandoci a riconoscere come le strutture della realtà siano per natura costruite col tempo e non, invece, intrinseche e determinate: “Non c’è una verità finale o assoluta, ci sono solo interpretazioni che sono soggette a costante decostruzione e reinterpretazione”.
Le sculture dell’artista sudcoreano Choi Xooang, ad esempio, restituiscono questa prospettiva del tutto sovversiva e immersiva del pensiero occidentale. Si è appena conclusa, infatti, dall’11 al 13 aprile, la partecipazione di Choi Xooang alla seconda edizione di Art OnO – for Art One and Only, presso il SETEC di Seoul.
Rappresentato dalla galleria Space On, l’artista ha presentato una serie di opere che hanno offerto al pubblico un’esperienza iperrealista tanto intensa quanto perturbante. Corpi umani, realizzati con argilla e resina, che sembrano essere “veri”, attraverso dettagli e precisione, appaiono paradossalmente “falsi”, deformati, frammentati senza piedi, braccia, naso e occhi. Qui, il confine tra realtà e immaginazione, diventa permeabile, evidenziando che le dimensioni possono coesistere anziché escludersi.

Nato nel 1975 nel sud della Corea, la ricerca artistica di Choi riflette su una condizione profondamente contemporanea: la difficoltà di comunicare, di entrare in relazione, di conformarsi a modelli sociali imposti. Le sue figure sembrano esplorare quella zona grigia in cui il corpo diventa il campo di battaglia tra identità individuale e norme collettive. Ed è proprio in questo contesto che l’artista evoca – come metafora e non come diagnosi – il concetto di Sindrome di Asperger.
Più che un riferimento clinico, si tratta di una lente attraverso cui leggere la distanza, il senso di isolamento, la disconnessione emotiva e sociale che attraversa le sue opere. L’iperrealismo anatomico di Xooang decostruisce visivamente la realtà; proprio come osservava Derrida, catapulta lo spettatore in “un processo di interrogazione costante e destabilizzazione di concetti prestabiliti” e non in un sistema preconfezionato di regole. Da un lato, si mostra come la corporeità sia soggetta a costruzioni culturali, dall’altro sfida i canoni sacri legati all’identità, al genere, alla natura dell’essere umano. Volti cancellati lasciano spazio a verità nascoste, smascherano tabù sociali: tutto contribuisce a evocare una condizione in cui il linguaggio del corpo fallisce, si spezza, e con esso la possibilità di una comunicazione piena.

La mostra di Seoul ha riunito, per la prima volta in un’unica presentazione, le diciassette opere che compongono questa intensa serie, realizzate tra il 2008 e il 2010. Un corpus compatto che sottolinea gli aspetti talvolta più crudi e imperfetti dell’essere umano, totalmente in contrasto con l’idealismo della società contemporanea. I corpi scolpiti da Choi Xooang sembrano suggerire che, se osserviamo la realtà da vicino, oltre la superficie levigata delle apparenze, ci imbattiamo in una verità scomoda, fatta di difetti, traumi e frammentazioni.
In questo senso, il suo lavoro richiama il processo descritto da Michel Houellebecq ne La possibilità di un’isola (2005), in cui la percezione del mondo peggiora man mano che ci si avvicina, fino a rivelare i dettagli più disturbanti e sgradevoli: “Su una carta geografica 1:200.000, in particolare su una carta Michelin, tutto sembra bello; le cose si guastano su una carta in scala più grande, come quella che avevo di Lanzarote: vi si distinguono gli alberghi e le strutture destinate al divertimento. In scala 1:1, ci si ritrova nel mondo normale, il che non ha nulla di divertente; ma, se si ingrandisce ancora, si precipita nell’incubo: si cominciano a vedere gli acari, le micosi, i parassiti che rodono le carni”.