Cosa aspettarsi dall Frieze Week londinese, tra cautela e nuove visioni

Dal 15 al 19 ottobre, Regent’s Park diventa il centro gravitazionale del mondo dell’arte mentre Frieze London e Frieze Masters aprono fianco a fianco, separate da una camminata di venti minuti attraverso l’appena citato parco che, grazie all’iniziativa di Frieze Sculpture, sarà disseminato di statue, espandendo l’esperienza fieristica oltre gli stand. Le due fiere riuniranno circa 280 gallerie da 45 paesi (cresce la presenza di gallerie internazionali provenienti da paesi extraeuropei, tra cui Giappone, Australia, Corea del Sud, Hong Kong, Brasile e Messico). 

Da Art Basel a giugno, il piccolo slancio del mercato dell’arte si è in gran parte dissipato, sostituito da una lieve ansia, palpabile sia all’Armory Show che a Frieze Seoul il mese scorso. Tuttavia, la fiera londinese è il luogo in cui inizia davvero la stagione autunnale, e con Art Basel Paris che aprirà a solo una settimana di distanza, potrebbe essere saggio rimandare una diagnosi completa alla fine di ottobre.

Per alcuni giorni, la città si trasforma in un vasto palcoscenico dove convergeranno collezionisti, curatori, critici e curiosi. Le pratiche contemporanee saranno collocate in dialogo diretto con opere rinascimentali, consentendo ai visitatori di passare dal lavoro di un emergente ad un dipinto rinascimentale. La capitale britannica non ospiterà solo il mondo dell’arte, ma diventerà essa stessa il mondo dell’arte. Le grandi gallerie, nel frattempo, mantengono l’offerta contenuta, privilegiando stand individuali che mettono in risalto la presentazione e la ricerca piuttosto che la varietà. Da Modern Art che porterà 15 nuove sculture in gres di Sanya Kantarovsky, a Lehmann Maupin che invece presenterà le traslucide installazioni architettoniche di Do Ho Suh, per arrivare alla newyorkese Pace che invece offrirà ai collezionisti e al pubblico in generale i mantra pittorici del britannico William Monk. 

George Rouy, courtesy of Hauser & Wirth

George Rouy, astro nascente della scena artistica londinese, sarà il protagonista dello stand di Hauser & Wirth, insieme a Christina Kimeze, Anj Smith e Allison Katz (che devolverà parte delle sue vendite all’interessantissima iniziativa Gallery Climate Coalition). La galleria esporrà anche opere di Henry Taylor, Avery Singer, Takesada Matsutani e Lee Bul. Nonostante le notizie secondo cui i profitti del gigante svizzero nel Regno Unito siano crollati, la galleria ha deciso di portare un roster più che ottimistico di artisti blue-chip.

Lauren Halsey trasformerà lo stand di Gagosian in uno scorcio di Los Angeles, con una scultorea “insegna da piazza”, una vivace carta da parati, collage e incisioni che reinterpretano i monumenti come elogio alla comunità stessa.

C’è inoltre un fil rouge che unisce le presentazioni in fiera con le varie mostre istituzionali attualmente in corso a Londra. Ad esempio, lo stand di Lehmann Maupin dedicato a Do Ho Suh si colloca in concomitanza con la grande mostra dedicata alla ricerca dell’artista sudcoreano alla Tate Modern, mentre lo stand di White Cube, con la sua attenzione rivolta alle donne, richiama gli sforzi sempre della Tate per inserire le artiste nel canone espositivo contemporaneo.

Tra i suoi punti salienti della settimana ci sarà la mostra di Christopher Wool da Gagosian Grosvenor Hill. L’esposizione, che inaugura lunedì, è stata presentata come uno dei progetti più ambiziosi mai realizzati dall’artista di Chicago in suolo britannico. Hauser & Wirth inaugurerà oggi Cloto, mostra dedicata ai lavori di Nicolas Party, e una grandiosa mostra di Kerry James Marshall è già in corso alla Royal Academy. Secondo voci di corridoio stiamo parlando di tre eventi imperdibili. 

Christopher Wool @ Gagosian, Photo Maris Hutchinson

Frieze Masters, sotto la nuova direzione dell’italiana Emanuela Tarizzo, riunisce 137 gallerie da 27 paesi con la consueta serie che parte da opere millenarie di arte classica fino ad arrivare alle avanguardie del Novecento ed oltre. La sezione Spotlight, curata da Valerie Cassel Oliver, dedica la dovuta attenzione a figure dagli anni ’50 agli anni ’70 come Novera Ahmed, Iria Leino e Mona Saudi, mentre la sezione Studio di Sheena Wagstaff e Margrethe Troensegaard mette in dialogo artisti contemporanei con materiale storico. Include opere nuove e giovanili esposte accanto a cimeli di studio, tracciando come il passato persista negli strumenti e nelle abitudini del presente. La sezione promette uno spettacolo più silenzioso: il processo creativo prevale sulla finitura, con artisti come R. H. Quaytman, Glenn Brown e Dorothy Cross.

Buona parte dei partecipanti arriva dal Regno Unito e dall’Europa; si registrano però importanti ritorni dopo anni di assenza, come quelli di Francesca Galloway e Mark Weiss da Londra, Moshe Tabibnia da Milano, Adam Williams Fine Art e Otto Naumann, entrambi da New York, o nuovi  e giovani galleristi come Vito Schnabel, Salon94 e Schoelkopf. 

Le prime anteprime della fiera suggeriscono un anno conservativo. Molti mercanti si sono presentati con opere riconoscibili di nomi affermati piuttosto che puntare su artisti più giovani e meno quotati. Secondo molti advisor questa cautela è strategica, un modo per ridare linfa vitale alle casse delle gallerie nel breve termine ed interrompere la mortifera narrazione che ha perseguitato il mercato dell’arte per l’ultimo anno e mezzo. 

Va altresì detto che la vera evoluzione della fiera viene dalle trasformazioni generazionali: il collezionismo muta, i musei ridefiniscono le loro priorità, il pubblico evolve. La sfida è quella di saper leggere e interpretare nella maniera corretta questi cambiamenti, mantenendo però salda la missione culturale dell’evento. Chissà se il mese di ottobre, con le sue due mega-fiere e aste da non sottovalutare, dia nuova linfa vitale ed entusiasmo ad un mercato che, oltre ad essere instabile , lo definirei in ansia.

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