Crash alla Reggia di Caserta, una Venere afro nella corte borbonica

Crash è la collisione dell’arte contemporanea nelle stanze borboniche della Reggia di Caserta. Un impatto visivo ed emotivo che celebra epoche e stili differenti. Dal 20 al 22 marzo nella Sala Romanelli è stata svelata la Venere, cuore dell’installazione collettiva site-specific ideata e curata da Giuseppe Loffredo, patron dell’Iconic Art System. Tre giorni all’insegna di eventi esclusivi e special guest con Noemi e Patty Pravo tra tutti, con un invito riservato alla stampa nazionale e internazionale.

La Venere, alta 4 metri, realizzata dagli artisti Angelo Accardi, Luca Bellandi e Daniele Fortuna, è entrata così nella corte borbonica. L’opera è un omaggio alle “Veneri nere”, un manifesto universale di inclusione che supera il dualismo di genere e mira a valorizzare l’essere umano. La capigliatura afro celebra le donne che hanno segnato la storia della lotta per la parità di sesso, di cui il Belvedere di San Leucio, borgo della città di Caserta, detiene il primato dal 1789 nel riconoscimento della parità sul lavoro tra uomini e donne. La bocca della dea è avvolta da un velo bianco che termina su una mela simbolica, eco del peccato originale e dello stigma imposto alle donne nel corso della storia.

La resina bianca realizzata da Angelo Accardi si specchiava nel lavoro su plexiglass di Luca Bellandi, in un’illusione ottica di trasformazione creata dalla sovrapposizione del dipinto al drappo della scultura. A completare l’installazione si univa la grande mela pluristratificata di Daniele Fortuna. Durante la conferenza stampa di presentazione la Venere è stata svelata svolgendo un patchwork di seta lungo dieci metri, creato dalla maison di moda Saints Studio. 

A completare l’installazione collettiva una serie di opere firmate da artisti italiani e internazionali: Rocco Ritchie, Alessandro Flaminio, Mimmo Di Dio, Gaetano Di Dio, Marco Grasso, Fabio Abbreccia, Daniele Accossato, Pedro Perdomo e Flavio Lombardi.

Occhi in alto e a colpire l’attenzione è The Last Call di Gaetano Di Dio, una reinterpretazione contemporanea e digitale del Giudizio universale di Michelangelo che sovrastava la scena dell’installazione collettiva e copriva come un grande ombrello profetico e policromo i visitatori. Nell’immagine proiettata la percezione del caos, del dominio tecnologico e della condizione umana nel ventunesimo secolo. Dalle guerre ai conflitti, alla politica, alla superficialità dello sport moderno, fino alla decadenza morale. L’opera ha affascinato il pubblico e si è fusa armoniosamente con le decorazioni della sala regale.

“L’arte è un linguaggio universale, un ponte tra culture e un potente strumento di emancipazione. Vogliamo offrire ai giovani artisti emergenti non solo un supporto economico, ma un contesto sicuro e stimolante in cui sviluppare il proprio talento. Per questo motivo abbiamo avviato un progetto di safe house, residenze pensate come veri e propri centri di creazione e confronto, in cui gli artisti selezionati potranno sperimentare, dialogare e crescere attraverso la collaborazione. Strutture che non saranno esclusivamente dedicate al mondo dell’arte, ma diventeranno un punto di riferimento per i giovani che affrontano discriminazioni di genere oppure che hanno subito esclusione sociale a causa della loro identità”, ha spiegato Giuseppe Loffredo.

Crash è la prima restituzione che Iconic Art System e la Loffredo Foundation for the Arts and Inclusion regalano alla città di Caserta, con l’obiettivo di promuovere l’arte contemporanea, in un gioiello Unesco qual è la Reggia borbonica, sia ai propri concittadini sia agli occhi di un pubblico internazionale. E tra le opere esposte risaltava proprio il ritratto del progettista del maestoso palazzo reale, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, quel Luigi Vanvitelli, architetto straordinario, il cui volto emergeva bonario e compiaciuto nell’opera pittorica di Flavio Lombardi.

E va sottolineato anche il lavoro esposto da Mimmo Di Dio, una tela del suo ciclo ironico e solenne “Cosimo Starone: sensitivo napoletano”. Così come va ricordata la forza espressiva della tigre dipinta da Marco Grasso. realizzata con la tecnica della pittura iperrealista, la stessa che adopera per tutto il suo strabiliante bestiario.

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