Cultura senza barriere. Finazzer Flory: “L’arte? Un labirinto. Il teatro? Un fuoco che risveglia riti antichi…”

Un confine, due città, Nova Gorica e Gorizia: la capitale europea della cultura è “borderless“. Per la prima volta nella storia, due città di due stati diversi, Nova Gorica e Gorizia, condividono da oggi il titolo per il 2025. Le due città sono rimaste rigorosamente separate fino al 1991, anno della dichiarazione di indipendenza della Slovenia, mentre il confine è caduto nel 2004 con l’ingresso del Paese nell’Unione Europea.
Per l’inaugurazione di GO!2025 (7 febbraio scorso) la Sfera di giornali ispirata all’installazione di Michelangelo Pistoletto (realizzata dagli studenti del liceo artistico) è stata fatta rotolare fra le vie di Gorizia fino al municipio di Nova Gorica, dov’è stata “accesa” come una torcia olimpica.
Il palinsesto di GO!2025 punta ad offrire un nutritissimo programma di eventi che spaziano dall’arte contemporanea alla musica, dalla letteratura al teatro e alla danza, abbattendo confini geografici e mentali, che celebra la cultura senza barriere.
il 24 luglio a Palazzo Coronini Cronberg a Gorizia (e da settembre inizieranno le presentazioni sul territorio italiano) verrà proiettato in anteprima Nel tuo occhio, l’omaggio cinematografico sul giovane filosofo e poeta goriziano Carlo Michelstaedter, morto suicida a soli 23 anni (il 17 ottobre 1910), scritto e diretto dal regista e attore Massimiliano Finazzer Flory, realizzato in collaborazione con RAI Cinema, con il sostegno di Regione Friuli Venezia Giulia e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale. Tra gli altri nel cast: il filosofo Massimo Cacciari, il musicologo Quirino Principe, lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi, il filosofo Marcello Veneziani. Finazzer Flory è stato anche direttore artistico della mostra allestita a Palazzo Morando, a Milano, “Un viaggio da fare. Paesaggi dell’arte in Friuli Venezia Giulia fra storia e contemporaneità”, dedicata agli artisti del Novecento “di frontiera”, come Afro, Zoran Mušič, Tullio Crali, Marcello Mascherini, Giuseppe Zigaina, Armando Pizzinato, Luigi Spazzapan, Leonor Fini, Miela Reina.

Carlo Michelstaedter Autoritratto 1908 acquerello e lapis 9 x 8 cm Gorizia Biblioteca Statale Isontina

Attore, drammaturgo e regista teatrale, già assessore alla cultura a Milano sotto il mandato di Letizia Moratti (era il 2008), e ora membro del CDA del Piccolo Teatro di Milano, Finazzer Flory è anche ideatore di nuovi format di matrice divulgativo-letteraria, giocati sul rapporto tra letteratura, filosofia, teatro, arte e musica, nel ruolo di drammaturgo attore (In viaggio con Virgilio, L’altro viaggio di Rainer Maria Rilke, I promessi sposi, Leonardo da Vinci, Lo specchio di Borges). Nel 2020 ha diretto Ali Dorate – I giorni del silenzio, un cortometraggio girato nella Milano deserta del lockdown. Nel 2022 è uscito in sala il documentario dal titolo Altri Comizi d’Amore, ispirandosi ai Comizi d’Amore di Pier Paolo Pasolini.


In questa conversazione con Finazzer Flory, parliano di confini e sconfinamenti dei linguaggi artistici. Tema intrigante nel tempo della globalizzazione e della rete. I confini sono oggi sempre più permeabili. Confini spaziali, mentali, geografici, culturali. Non più barriera invalicabile ma occasione di scambio, contaminazione. I confini tra le arti sono sempre più labili e sfumati, aprendo a nuove forme espressive e a contaminazioni creative tra discipline tradizionali, come pittura, scultura e architettura, e nuove forme come la performance, l’installazione e video. Sconfinamenti negli spazi urbani, con location inconsuete e nella dimensione digitale. Interagendo con l’ambiente circostante. Fino al coinvolgimento attivo dello spettatore.


Confini e sconfinamenti: in che modo questi concetti influenzano il suo approccio ai tanti progetti culturali, spettacoli?

Filosoficamente. Fisicamente. Sono nato tra i confini. Tra le acque. Ho sempre pensato che costruire ponti fosse interessante quanto abbattere muri. La direzione che tuttavia mi aprì la via fu un tema: la salute. Stare bene significa domandarsi sempre quale è il confine da attraversare atleticamente. Agonisticamente. Trent’anni fa mettevo in scena in teatro la salute facendo dialogare lo psicologo, l’urbanista, il medico, l’avvocato… come dire: il teatro è il luogo della ricomposizione dove organi diversi possono ritrovare un organismo. La prima esperienza però fu in museo a Ca’ Rezzonico a Venezia e le letture teatrali sui miti a darmi il senso del movimento mentale che ti fa essere altro dal tuo essere. Dove il fare è divenire. Perché a proposito di confini e sconfinamenti i miti ci insegnano a trascendere i limiti, ad esplorare il “tuo dentro” verso un fuori ignoto.

Cinema teatro e scrittura, la mescolanza lo sconfinamento di linguaggi artistici è sempre presente nella sua ricerca. Cosa l’ha spinto? Quando ha avuto contezza che era la direzione giusta?

Non ho mai sopportato l’idea di due o più culture. Diversamente amo la pluralità dei generi. Perciò il mio approccio è sempre sapere che si parte da un’unità divisa e diversa che va riunita. In altri termini è sempre Leonardo il maestro. Con lui è iniziato un viaggio che credo offra sempre un metodo interiore con il quale scoprire il mondo. Dalle immagini alle parole, dal caos all’ingegno, dal testo al contesto. Perché nulla va verso il nulla.

Lei è uomo di teatro e sei membro del cda del primo teatro pubblico italiano, Il Piccolo teatro di Milano fondato da un triestino Giorgio Strehler. Si è sempre battuto per un Europa delle idee e delle culture. Qual è la sua visione di teatro. Chi e come fare Cultura oggi, in un Europa dei tecnocrati e dei burocrati, che legifera sulle bottiglie di plastica con il tappo attaccato, sulla dimensione delle vongole, che chiede agli stati membri investimenti di miliardi per il riarmo?

La sfida è alzare l’asticella. Significa che bisogna costruire castelli in aria con le fondamente a terra. Per dirla con Strehler “io sono ancora con lui. Il teatro è un guscio di noce, è legno, carta, corda. In un’epoca virtuale, digitale fa la differenza. Ma se parliamo di Europa, io guardo alla Vienna del primo Novecento dove Karl Kraus ci insegnava che le sue vie sono lastricate di cultura. Quelle di Bruxelles di burocrazia. Aristotele è un cittadino europeo. Ma anche Mozart. E pure Dostoevskij che non ha mai detto che la bellezza salverà il mondo. Semmai il mondo sarà salvato dalla bellezza? Sì, di un’Europa romana e cristiana che grazie al nostro rinascimento ha un punto di vista della tecnica tra i nostri valori. Non serve altro direi.

Finazzer Flory con Massimo Cacciari

L’arte può essere ancora oggi un potente strumento di denuncia e provocazione che mira a scuotere il pubblico, a stimolare il dubbio, il pensiero, per superare confini culturali e mentali?

Assolutamente. L’importante non fare il verso al nemico lo specchio a sé stessi ma liberi da una categoria, quella del pubblico. Chi è il pubblico? Non esiste come collettivo. Ogni singolo spettatore è il pubblico ma il primo che deve riscattarsi e rispettarsi è l’artista. In nome dell’arte ovvero di un’origine a noi misteriosa che diventa una missione di fede, speranza e carità.

Nell’era dello spettacolo globale, anche l’arte sembra ridotta- confinata a mero accessorio di consumo nel frastuono dell’evento mondano e mediatico. E sta pericolosamente sconfinando nell’intrattenimento, schiavo di estetiche della globalizzazione del pensiero, e dell’appiattimento culturale. Nell’instagrammabile, nelll’immersività. Operazione-sconfinamento che, intendiamoci, non è certo riprovevole di per sé o forse è auspicabile ristabilire chiari confini fra arte e intrattenimento? Cosa ne pensa?

Le parole dicono le cose. Si chiama intrattenimento ciò che trattiene. Non partiamo bene. Troppe valigie e pochi costumi. Abbiamo bisogno di scioglimento, non di intrattenimento. Di confini che diventino fini comune a partire da un’altra idea di viaggio: verso la frontiera. Quel viaggiatore cerca spazi liberi non pubblicitari. Dunque, va ricordato ancora una volta che ad esempio il teatro non è spettacolo e tanto meno un edificio, ma arte, ovvero un’origine che rimanda alla nostra nudità, a miti e riti di cui abbiamo bisogno, a un fuoco che nel buio ci riunisce a intorno a quel lume a scoprire Dio. Non lo ripeterò mai abbastanza, Dante profeta ha già visto tutto. La sua visione è la mia lettura.

Si mescolano i linguaggi artistici: pittura, scultura, video, installazioni, performance, segno che nel caos del mondo una sola arte non basta a raccontarne la complessità?

L’arte è la complessità che si eleva in superficie offrendo una prospettiva dove le figure più grandi di noi sono gli occhi di Argo. L’arte ci guarda con cento occhi. Ecco la complessità: dove guardare? L’arte è labirinto: quale angolo imboccare? Da qui nasce la nostra mente meravigliosa che deve costruire complessità per svegliare ingegni sopiti a nove invenzioni come indica il mio maestro Leonardo sempre contemporaneo.

Dalla pittura digitale alla musica generata da algoritmi, fino ai film creati con l’intelligenza artificiale. Con le tecnologie emergenti si sta aprendo la strada a una nuova era della produzione artistica, ridefinendo il concetto stesso di creatività. Ma sorge la domanda: si stanno davvero ampliando i confini della creatività umana?

No, solo, forse, più produttività dettata da tempi di consumo. Dietro anzi dentro la tecnologia c’è sempre la vecchia economia che tuttavia era ben più innovativa, più rivoluzionaria un secolo orsono. Oggi si gioca sulla marginalità. E riscoprendo tardivamente quanto messo in campo dalle neuroscienze, dalle reti neurali, insomma, stiamo solo copiando male quanto abbiamo in noi senza sapere ancora bene chi siamo. Ovviamente la creatività non è la genialità. Nel frattempo domandandoci chi sarà il prossimo Prometeo a rubare la tecnica degli dèi, mi consolo con una frase del filosofo Carlo Michelstaedter: “se non lottassi, se non sentissi il bisogno di lottare, sarei sublimemente indifferente, sarei fino ad un certo punto felice”. Ne ho fatto un film che uscirà con il titolo Nel tuo occhio.

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