Cupo, elegante, spietato: l’Otello diretto da Roberto Abbado apre il Festival Verdi in un labirinto di vetro e passioni

Roberto Abbado dirige per la prima volta l’opera verdiana, eseguita nella nuova edizione critica curata da Linda B. Fairtile per The University of Chicago Press e Casa Ricordi, sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini, del Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani e del Coro di voci bianche del Teatro Regio di Parma, preparato da Massimo Fiocchi Malaspina.

“Otello” è l’opera più cupa di Giuseppe Verdi, perché vede lo stravolgimento di tutti i valori morali della società e il trionfo della violenza, che permea la vicenda dalla tempesta del primo atto fino al crudo omicidio di Desdemona e al conseguente suicidio di Otello, un incubo in cui i personaggi principali sembrano essere intrappolati come in un dramma di Ibsen. Per rendere l’effetto di questo dramma estremamente contemporaneo per le sofferenze psicologiche e mai materiali dei protagonisti, il regista Federico Tiezzi ambienta l’opera in uno spazio in bianco e nero, come i film di Orson Welles, dove le luci conferiscono una profondità quasi magmatica allo sfondo scuro e l’arredo dominante è costituito da grandi teche di vetro in cui sono rinchiusi di volta in volta fiori delicati e animali. Una gabbia, insomma, all’interno della quale si muovono i personaggi del dramma vestiti negli splendidi costumi di Giovanna Buzzi, che gioca principalmente sui colori pastello. 

Per inscenare la storia del Moro Otello che, sconfitti i Turchi per la Repubblica di Venezia, approda nell’isola di Cipro con il suo esercito e la bella e giovane moglie Desdemona, il Maestro Roberto Abbado sceglie la prima versione verdiana, più cruda e meno concertistica, e si concentra sulla resa dei personaggi attraverso la musica. La sinfonia si fa  incalzante e ritmata durante le insinuazioni di Jago, che, per vendicarsi di una promozione mancata, insinua nella mente di Otello che Desdemona lo tradisca con il suo nuovo luogotenente, il bel Cassio, prorompente negli scatti di gelosia del Moro e morbida nei duetti. Il coro del teatro Regio di Parma, diretto da Martino Faggiani, interpreta le sue molti parti con un suono compatto, potente ed espressivo. Ottima anche la performance del Coro delle Voci Bianche diretto dal Maestro Massimo Fiocchi Malaspina. 

Gli interpreti in scena sono autori di un’ottima resa vocale, nonostante la sfida di una regia estetica e d’impatto, sì, ma che lascia i cantanti privi di riferimenti e spesso senza altra scelta che prodursi in pose standardizzate e non in linea con la tinta psicologica della rappresentazione del Regio. L’Otello di Fabio Sartori è un buon Moro, tormentato il giusto, con uno strumento vocale pulito negli acuti e sicuro nei gravi e sfumature pregevoli. L’ultimo atto, in cui strangola Desdemona e si accorge finalmente dell’inganno di Jago, è ben cantato e recitato con la corretts misura di violenza e brutalità, che si scontrano pesantemente con la dolcezza romantica e a tratti adolescenziale di Mariangela Sicilia, che interpreta Desdemona con voce chiara e morbida. Nessuna storia può funzionare senza un buon antagonista e Ariunbaatar Ganbaatar è uno Jago cupo e serpentino, con una buona voce e un buon fraseggio.

Completano l’ottimo cast Davide Tuscano/Cassio, Francesco Pittari e Francesco Leone, rispettivamente Roderigo e Lodovico, Alessio Verna/Montano e Natalia Gavrilian/Emilia. 

In definitiva, l’“Otello” scelto per inaugurare il Festival Verdi di quest’anno è uno spettacolo chiaramente costruito con mestiere teatrale, che vuole impressionare il pubblico, ma si limita a suggerire le profonde ragioni psicologiche dei personaggi, piuttosto che metterle a nudo.

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