Dal volto digitale di Tilly Norwood al regista virtuale FellinAI: Hollywood alla prova dell’intelligenza artificiale

Ciao, sono Tilly Norwood e questo è il mio portfolio”. Un messaggio di accompagnamento su un sito web come tanti, con foto di scena e immagini in posa in uno studio fotografico. Tilly però non è solo una delle tante aspiranti celebrità di cui sono pieni la rete e i social media, ma un’attrice generata con l’intelligenza artificiale. Un po’ come una creazione del dottor Frankenstein, Tilly, pur essendo nata da pochi mesi, ha già le attraenti fattezze di una giovane donna, la cui vita è messa in scena sullo sfondo della frenetica scena culturale londinese. “Ama la moda e il caffè freddo”, scrivono le biografie diffuse in rete dalla casa di produzione britannica Particle6, che ha sviluppato il progetto e la creazione della prima attrice digitale.

Di lei, in realtà, si parla già da un po’. A maggio, Tilly era sbarcata sui social con la sua immagine levigata e giovanile: oggi conta quasi 60mila follower su Instagram, tra scatti di provini, passeggiate, outfit nella sua cameretta dalla perfetta estetica in stile Pinterest. Il suo esordio sulle scene è arrivato il 30 luglio 2025 con “AI Commissioner”, uno sketch comico scritto da Chat Gpt e realizzato con dieci diversi software di intelligenza artificiale. Il risultato, però, non ha convinto i critici, ben poco affascinati dalla freddezza dei movimenti in scena e dalla recitazione didascalica. Nonostante ciò, la curiosità ha generato oltre 700mila visualizzazioni su YouTube in poche settimane. Attorno a Tilly, però, il livello delle polemiche è salito a partire dallo scorso 27 settembre, quando è stata presentata al Zurich Film Festival, dalla sua “mamma”, l’attrice e produttrice olandese, Eline Van der Velde, proprietaria di Particle6. In quell’occasione Van der Velde ha confermato l’interesse di diverse agenzie di talenti a rappresentare la sua “creatura”, come se fosse un’artista in carne e ossa. A Hollywood l’annuncio ha destato preoccupazione e messo in allarme attori e sindacati, preoccupati per i diritti d’immagine e le possibili ripercussioni sul lavoro umano.  

Tra diritti d’immagine e creatività, dove ci porta Tilly Norwood

Arte, talento, diritti, consenso, consapevolezza e responsabilità. Sono molti i temi che l’apparizione della prima attrice creata con l’intelligenza artificiale pone non solo al sistema legato al mondo del cinema, ma anche al pubblico. 

In un’interessante riflessione pubblicata sul “Guardian”, l’esperimento Tilly Norwood viene definito in maniera lapidaria: “non è arte, sono solo dati”. “Ci sono molti aspetti problematici in Norwood – si legge sul quotidiano inglese –, non ultimo il messaggio che la sua ‘atmosfera da ragazza della porta accanto’ trasmette alle giovani donne. Ma il punto più grave è che il suo volto è stato modellato su quello di veri attori senza il loro consenso”. Con un approccio più ironico, Anthony Breznican su “Esquire” prevede, con una buona dose di cinismo, una carriera molto breve per quella che viene definita “una pessima attrice. Se volete un pianto che vi faccia lacrimare gli occhi, rivolgetevi a Claire Danes”. 

Un dibattito, quello aperto dal “caso Tilly Norwood”, che tocca il cuore stesso del cinema: cosa resta dell’arte quando scompare l’umano? “È ancora presto per capire se Tilly rappresenti una rivoluzione o solo una trovata pubblicitaria – spiega ad Artuu Rocco Moccagatta, docente di storia del cinema dell’Università Iulm di Milano e critico cinematografico per il settimanale FilmTv – Come spesso accade con le nuove tecnologie, l’entusiasmo rischia di trasformarsi in euforia miracolistica: l’idea di un’attrice digitale sembra il sogno dei produttori, capace di eliminare costi, capricci e limiti umani. Ma dietro la curiosità c’è anche una forte preoccupazione: molti artisti temono che le proprie opere, voci o volti vengano usati per addestrare le IA senza consenso. Il cinema, già da tempo smaterializzato dal digitale e dalla CGI, si spinge ora verso la perdita definitiva del corpo e della presenza reale dell’attore. Più che una svolta, sembra però l’ennesimo esperimento pensato per far discutere”.

Dall’attrice digitale al regista virtuale: i problemi per Hollywood sono appena cominciati?

Intanto, per sgomberare il campo da possibili dubbi, l’associazione SAG-AFTRA, che riunisce due grandi sindacati americani (la Screen Actors Guild e l’American Federation of Television and Radio Artists), in rappresentanza di oltre 160mila artisti, ha preso pubblicamente posizione sul tema. In una nota diffusa sui canali web, il sindacato ha ribadito il proprio “no “ “alla sostituzione degli artisti umani con artisti sintetici”. “Per essere chiari – si legge nella nota – , Tilly Norwood non è un’attrice, è un personaggio generato da un programma informatico che è stato addestrato sul lavoro di innumerevoli artisti professionisti, senza permesso o compenso. Non ha alcuna esperienza di vita da cui attingere, nessuna emozione e, da quello che abbiamo visto, il pubblico non è interessato a guardare contenuti generati al computer slegati dall’esperienza umana”.

Inoltre, secondo il sindacato Tilly mette a repentaglio “i mezzi di sostentamento degli artisti svalutando l’arte umana. I produttori firmatari devono essere consapevoli che non possono utilizzare artisti sintetici senza rispettare i nostri obblighi contrattuali, che richiedono preavviso e contrattazione ogni volta che si intende utilizzare un artista sintetico”. La stessa creatrice del progetto, Eline Van der Velde, si è poi affrettata a precisare su Instagram che considera Tilly non un “sostituto di un essere umano ma un’opera creativa. Come molte forme d’arte prima di lei, stimola il dialogo, e questo di per sé dimostra il potere della creatività”.

I problemi per il mondo del cinema, però, sono appena cominciati. Come se non fosse bastata l’apparizione di Tilly Norwood, ecco arrivare anche il primo regista virtuale, generato dall’intelligenza artificiale. Il nome è rivelatorio: si chiama FellinAI e ha debuttato alla guida di un cast altrettanto sintetico, dirigendo il film “The Sweet Idleness”. In questo caso, però, a differenza del progetto che ha portato allo sviluppo di Tilly, il cast e la produzione, guidata da Andrea Iervolino, hanno prestato volontariamente volti, voci e competenze per addestrare l’IA. “È difficile immaginare che il pubblico scelga di vedere film creati interamente dall’intelligenza artificiale – sottolinea Moccagatta – , senza alcun contributo umano. Forse le nuove generazioni saranno più aperte a queste sperimentazioni, ma serviranno equilibrio e buon senso per non ridurre l’innovazione a un semplice espediente mediatico”. La “dolce pigrizia” a cui fa riferimento il titolo del film a conduzione virtuale è quella che le macchine, in un futuro non troppo lontano, sapranno garantire agli uomini, sostituendoli in molte delle attività quotidiane. Un po’ come spera di fare Tilly Norwood con Jennifer Lawrence o Florence Pugh, magari.

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