Dalla net art alla scultura virtuale: Auriea Harvey ci racconta il suo percorso e mother/child, l’opera vincitrice del VDA Award 2025

Alla sua seconda edizione, il premio biennale Var Digital Art Award 2025, dedicato alla ricerca artistica che attraversa il digitale, si conferma come uno dei più attenti osservatori del dialogo tra arte e innovazione. Auriea Harvey, pioniera della net art, ha conquistato la giuria con la scultura virtuale “mother/child“, una riflessione intima e potente sulla continuità delle forme, dei gesti e dei sentimenti umani nell’era digitale.

Artista di origine statunitense che vive e lavora a Roma, Auriea Harvey è una delle figure più influenti nel dialogo tra arte e tecnologia. La sua pratica si sviluppa a partire da una formazione scultorea e da un percorso pionieristico nella net art e nello sviluppo di videogiochi sperimentali per approdare a una produzione che unisce narrazione, interattività e forma plastica.

Impiegando il sincretismo come metodo, l’artista realizza sculture, software e immagini dedicate a corpi in trasformazione, riscrivendo simboli e miti per restituire nuove narrazioni sul femminile, la memoria e la metamorfosi. 

Le sue opere fanno parte delle collezioni del Whitney Museum of American Art, del Walker Art Center, del Buffalo AKG Art Museum, della Kadist Collection e di Rhizome’s Net Art Anthology.

Con mother/child, Auriea Harvey rilegge uno dei temi più antichi della storia dell’arte, la maternità, traducendolo in una scultura digitale che unisce affetto, responsabilità e continuità generazionale. Il gesto intimo e umano diventa archetipo, trasformato in forma grazie alla tecnologia, ma restituito nella sua verità umana e universale.

(Ringrazio Auriea Harvey per aver condiviso la sua visione con i lettori di Artuu, a pochi minuti dalla premiazione).

Auriea, la tua ricerca intreccia da sempre arte e tecnologia. Quando è iniziato questo rapporto e quali sono stati i tuoi principali campi d’interesse nel tempo?

Ho lavorato quasi esclusivamente con mezzi digitali per tutta la mia vita. Ho studiato scultura, in un’epoca che potremmo dire “prima dei computer”, nei primi anni ’90. Ma nel ’94-’95 ho scoperto Internet e ho iniziato a usarlo come strumento artistico: facevo parte del primo movimento di net.art. Poco dopo ho cominciato a collaborare con Michael Samyn – lavoriamo ancora insieme, anche se la nostra pratica è molto cambiata nel tempo.

Dalla net.art siamo passati ai videogiochi: avevamo uno studio, Tale of Tales, con sede in Belgio. Poi abbiamo chiuso quella fase e ci siamo dedicati a opere in realtà virtuale, più teatrali e partecipative. In seguito, io sono tornata alla scultura, ed è da qui che nasce mother/child. Oggi il mio lavoro si muove tra tecnologia e scultura, in forme diverse: installazioni, ambienti, oggetti realizzati con tecniche di fabbricazione contemporanee, ma con uno sguardo sempre rivolto all’interattività e alla possibilità di essere fruiti ovunque, anche online.

Da alcuni anni vivi e lavori a Roma. Quanto incide questo sul tuo lavoro?

Moltissimo. Vivo a Roma da sei anni e la amo profondamente. La città è una fonte continua di ispirazione, un luogo dove il tempo si stratifica, e questo dialogo con la storia è fondamentale per me, anche quando lavoro con strumenti digitali. La stessa mother/child si ispira alla Pietà di Michelangelo in Vaticano nell’esprimere il legame tra madre e figlio. 

Auriea Harvey mother child still 6 VDA2025 Courtesy dell artista

Sei stata una delle pioniere nell’uso artistico delle tecnologie digitali. Come vivi oggi questa continua trasformazione tecnologica, dai videogiochi all’IA, passando per NFT e metaverso?

Onestamente, ho visto passare così tanti “nuovi” momenti tecnologici che tendo a non entusiasmarmi troppo. Preferisco osservare, capire cosa resta. Penso che il compito dell’artista sia usare gli strumenti che meglio esprimano un’idea. Non mi interessa salire su ogni nuova giostra tecnologica: il “nuovo” non è mai ciò che cambia il mondo da solo. Tutto si trasforma insieme, in un continuo processo collettivo. 

Se l’anno scorso parlavamo di metaverso e oggi di intelligenza artificiale, mi chiedo solo: di cosa parleremo il prossimo anno? Non è che queste cose spariscano – il web esiste ancora, il metaverso pure – ma l’attenzione si sposta dove vanno il mercato e gli investimenti. E questo non ha molto a che vedere con l’arte. L’arte è qualcosa di più stabile, eterna e umana allo stesso tempo. La tecnologia serve, certo, e ogni scultore ha bisogno dei propri strumenti, ma non è mai l’essenza dell’arte. 

Mi interessa quando diventa un veicolo per esprimere sentimenti e valori umani, non quando è ridotta a spettacolo tecnologico.

Parliamo di mother/child, l’opera con cui hai vinto il VAR Digital Art Award. È un lavoro che sembra parlare proprio di questo equilibrio tra umano e digitale.

Sì, esatto. È nata in modo molto semplice: ho realizzato una scansione 3D di mia nipote e di suo figlio mentre dormivano sul sedile posteriore della mia auto. La scena mi ha subito fatto pensare alla Pietà di Michelangelo: un’immagine archetipica, un’emozione universale.

Ho voluto tradurre quella sensazione in una scultura digitale, poi diventata anche fisica, stampata in 3D. Nel realizzarla ho aggiunto nastri colorati, segni vitali che parlano della sua energia, della sua giovinezza. Lei è una ragazza solare, vivace, ma è diventata madre molto presto. In questa doppia figura di donna e di madre si avverte insieme la gioia e il peso della responsabilità. 

Ho scelto colori intensi e luminosi, quasi a nascondere le “crepe” della vita, a esprimere il desiderio di vitalità e di continuità. In fondo, è una scultura nel senso più tradizionale: uso strumenti tecnologici, certo, ma per parlare di esperienze umane eterne.

Il tuo lavoro è spesso interattivo: come si evolve oggi per te questo rapporto tra arte, spettatore e tecnologia?

Ho lavorato per molti anni sull’interattività, soprattutto nei videogiochi, più di tredici anni, in realtà! Quello è stato un laboratorio incredibile. Oggi però non sento più il bisogno che le opere “si muovano” o rispondano al pubblico. Mi interessa di più la dimensione umana, i rapporti umani delle persone.

La tecnologia rimane, è parte del mio linguaggio, ma la mia attenzione va anche all’antichità, alle forme arcaiche di rappresentazione, tanto quanto alle possibilità ancora inesplorate del digitale. È sempre un ponte tra passato e futuro.

L’opera vincitrice, selezionata dalla curatrice Serena Tabacchi per conto del Comitato scientifico, è stata decretata da una giuria esterna composta da Marco Pittarello, fondatore e direttore della rivista internazionale Prompt Magazine, e Davide Silvioli, critico, curatore e ricercatore presso l’Università di Roma “Tor Vergata”. Al loro giudizio si sono aggiunte le preferenze del curatore del VDA Award, Davide Sarchioni, di Alessandro Tiezzi, Head of Var Digital Art by Var Group, e del pubblico di Z!NG, contribuendo a delineare una scelta condivisa e coerente con la missione del premio. 

Ha vinto l’opera che, secondo il giudizio congiunto di esperti ed esperte d’arte, di tecnologia e rappresentanti del mondo dell’impresa – sostiene Davide Sarchioniè riuscita più di altre a invitarci a riflettere. Per un premio che nasce dal dialogo tra arte e impresa, in un contesto in cui l’innovazione procede a una velocità sempre crescente, l’arte ci ricorda l’importanza di fermarsi, osservare e interrogarsi sul senso umano del progresso, perché non dobbiamo mai dimenticare chi siamo e dove stiamo andando”. 

Laddove l’impresa sviluppa processi e tecnologie – continua Alessandro Tiezzi – l’arte esplora nuovi linguaggi e forme espressive. E quando questi due mondi si incontrano, nasce un ecosistema fertile dove idee, persone e strumenti collaborano per generare valore e significato”.

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