David Hockney alla Fondation Louis Vuitton: una primavera perenne in undici stanze

Questa primavera, la Fondation Louis Vuitton ha aperto le porte a una grande retrospettiva dedicata ad uno degli artisti più influenti e amati del nostro tempo: David Hockney. Intitolata David Hockney 25: Do remember they can’t cancel the Spring, la mostra offre un viaggio senza precedenti attraverso gli ultimi venticinque anni che l’artista ha trascorso tra lo Yorkshire, Los Angeles, la Normandia e Londra, attraverso una serie di opere con le quali Hockney ha sperimentato tutte le tecniche – dal disegno all’acquerello, dall’olio, all’acrilico, fino all’iPad – creando immagini dai colori aspri e vivi, iniettate di un condensato vitaminico di gioia.

L’esposizione riveste una notevole importanza per l’artista, è infatti la più grande che egli abbia mai organizzato e occupa ben undici sale nel grande edificio parigino della FLV progettato dal suo amico di Los Angeles, l’architetto Frank Gehry.

Installation views “David Hockney 25”, galerie 4 © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage

Curata con il suo coinvolgimento diretto, l’evento abbraccia ben sette decenni, pur concentrandosi in particolare sugli ultimi due: spazia dalle opere iconiche dei primi anni fino alle ultime creazioni digitali, comprendendo anche installazioni immersive, reinterpretazioni di scenografie d’opera e riflessioni filosofiche su arte, percezione e vita, evidenziando il suo approccio positivista nei confronti dei nuovi media di questo arzillo vecchietto della pop art, oggi ottantasettenne, riaffermandolo come grande maestro sia dell’ancien régime che dell’innovazione.

C’è Matisse che aleggia nell’aria, inutile negarlo, ci sono persino le sue persiane, la cui presenza elegante s’impone con delicata precisione in Stanza a Tarzana (1967), nel ritratto Christopher Isherwood and Don Bachardy (1968) e nell’iconico Mr. e Mrs. Clarck e Percy (1970). Le forme schiette delle opere degli anni ‘60 sembrano ritagliate nei colori plastificati della California, sistematizzando un principio caro a Matisse: ogni zona ha il suo colore ed è delimitata da contorni netti, come nella tecnica a smalto cloisonnè.

Giunto in California negli anni ’60 dopo aver fatto outing in Inghilterra, dove l’omosessualità viene decriminalizzata nel 1967, Hockney si accorge subito che le ville con piscina progettate e arredate secondo i dettami dell’International Style rappresentano uno dei simboli del Sogno Americano. Esse divengono in breve tempo il suo soggetto privilegiato: la composta classicità e la nitida stilizzazione formale gli forniscono un impianto scenografico perfetto.

Un altro aspetto inequivocabile, che caratterizza queste rilassanti scene di vita quotidiana ambientate nelle ville suburbane, è la rigidità delle viste assonometriche riprese dalle pubblicità immobiliari dell’epoca. Anche i colori sobri e i contorni netti sono quelli visti dal giovane David Hockney sui manifesti stampati, quelli con le immagini incorniciate da un bordo bianco.

<em>David Hockney</em><br><em>A Bigger Splash 1967</em><br><em>Acrylic on canvas</em><br><em>2425 x 2439 x 3 cm 96 x 96 x 1181 Inches</em><br><em>© David Hockney</em><br><em>Tate UK</em>

La piscina di A Bigger Splash (1967) apre la mostra in grande stile californiano, gli fa da contraltare il paesaggio di Saint-Tropez dell’iconico Portrait of an Artist (Pool with Two Figures) (1972) ispirato al suo ex fidanzato, qui la trasparenza dell’acqua può essere contraddetta solo dal contenuto emotivo della materia pittorica. L’elemento liquido e la sua funzione di prisma ottico affascinano da sempre Hockney, infatti tra il 1967 e il 1972 compaiono molte altre nella sua opera pittorica e grafica. 

Hockney è noto anche per il suo humor, il titolo “A Bigger…”, tipico dell’estetica Pop, è volutamente sarcastico e provocatorio. Suona infatti come una sfida o come un commento al mondo dell’arte: “se devo farlo… lo faccio più grande”. Nonostante ciò l’etichetta di pittore Pop è sempre stata stretta a questo eccezionale artista figurativo. 

La mostra illustra egregiamente la sua fiducia nelle possibilità del disegno, della pittura e delle nuove tecnologie. Questo mix hockneyano si riflette anche nella composizione delle figure, sempre rigorosa ed equilibrata, e nell’attenzione soggetti tradizionali. Hockney utilizza anche il digitale, ma non cela in alcun modo allusioni alla grande tradizione classica e accademica, dal Quattrocento toscano a Georges Seurat. Ne sono un lucido esempio le sue composizioni floreali, “ritratti di fiori” realizzati digitalmente ma presentate in modo classico.

Classicità e innovazione convivono serenamente in Hockney: non c’è alcun motivo di abbandonare i generi classici del ritratto, del paesaggio o della natura morta. Allo stesso modo non c’è alcun motivo per cui non si debba sperimentare sostituendo il pennello con la penna elettronica. Non è un caso, dunque, se le opere più recenti di Hockney rivisitano e reinterpretano l’arte classica, da Munch e Blake a Van Gogh e Picasso, fino a Beato Angelico, fondendo tecniche del passato con tecnologie moderne.

Installation views “David Hockney 25”, galerie 5 © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage

Alcuni dicono che il paesaggio sia un genere morto. Questa non è la mia opinione” afferma l’artista. I cambiamenti stagionali della natura lo coinvolgono quasi come Monet: ciò si nota in particolare nelle opere che raffigurano la Normandia e lo Yorkshire. Nei paesaggi l’artista esplora l’ampliamento della percezione visiva. “A Bigger” suggerisce qualcosa di oltre, di espanso: uno spazio visivo e un’immagine mentale più ampi e più ricchi. In A Bigger Grand Canyon, ad esempio, Hockney unisce più tele per rompere i limiti del quadro singolo. Sono splendidi i colori di paesaggi come Winter Timber (2009), di fronte ai quali si rimane quasi abbagliati e posseduti, interessanti anche i riferimenti ai vortici pittorici di Van Gogh (Maggio in fiore sulla strada romana, 2009)

Questo approccio positivista emerge sia nei vivaci paesaggi che nei numerosi ritratti intimi di compagni, amici e celebrità (tra cui il cantautore e attore britannico Harry Styles), che emanano empatia e spontaneità. Per Hockney “l’arte è condivisione” e questa grande retrospettiva è, in definitiva, un invito a vedere il mondo con positività. Il suo ottimismo è duraturo anche perché è rivolto alla vita quotidiana, che l’artista considera degna di contemplazione e di celebrazione. A quasi novant’anni Hockney è tecnicamente e mentalmente più audace di molti “giovani” artisti a lui contemporanei, il suo spirito sperimentale e la capacità di evolversi artisticamente nel corso dei decenni lo consacrano come uno degli artisti più innovativi del nostro tempo.

Ma la cosa davvero sorprendente è la sua vitalità, il fatto che l’uso della tecnologia non gli abbia fatto perdere il suo lato umano: la sua linea è sempre modulata da un tratto emotivo e delicatamente ironico, unita all’intensità vitaminica dei pigmenti conferisce un tocco di vita ad ogni scena. 

Installation views “David Hockney 25”, galerie 10 Hockney Paints the Stage, 2025 Creation of David Hockney & Lightroom Conception 59 Productions Installation views “David Hockney 25”, galerie 10 © David Hockney © Fondation Louis Vuitton / Marc Domage

Con il suo tocco “magico” Hockney è stato capace di scaldare la “fredda” tecnologia, è come se vi avesse iniettato una specie di linfa vitale. Tutto questo passa, si percepisce, arriva a un pubblico che lo ama sempre di più.

“David Hockney 25: Do remember they can’t cancel the Spring” non è solo una retrospettiva, è un diario di viaggio personale pieno di “gioia di vivere”. Le 11 sale di questa grande mostra, dalle prime fino alle spettacolari stanze immersive dedicate all’opera lirica, infondono speranza nel futuro e persino buon umore. E speriamo che, come egli stesso ha voluto comunicare attraverso il titolo, non sia davvero possibile “cancellare la primavera”.

Auguriamoci che questa grande retrospettiva su Hockney abbia sulle nuove generazioni lo stesso impatto che ebbe su di lui la memorabile retrospettiva di Matisse del 1951 al MoMA di New York. 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Letizia Ragaglia al MASI: il museo come luogo necessario. Intervista alla nuova direttrice

In questa intervista ci racconta come intende declinare le sue esperienze internazionali nel contesto ticinese, perché non crede nei formati calati dall’alto e cosa significa, oggi, fare di un museo un luogo necessario.

Artuu Newsletter

Scelti per te

Seguici su Instagram ogni giorno