Nel cuore di Roma, il Colosseo si è trasformato in una superficie viva e simbolica, ospitando per la prima volta una proiezione pubblica di opere d’arte digitale. L’evento, dal forte valore culturale e diplomatico, si è svolto in occasione del 140º anniversario delle relazioni tra Italia e Corea e dell’Anno dello Scambio Culturale Reciproco, grazie all’organizzazione della Korean Foundation for International Cultural Exchange (KOFICE) e al supporto del Parco Archeologico del Colosseo. Un progetto che ha intrecciato storia e contemporaneità, arte e tecnologia, creando un ponte visivo tra due mondi attraverso la luce e il linguaggio delle immagini.
L’iniziativa, promossa dal Ministero della Cultura, dello Sport e del Turismo della Corea, ha presentato tre opere realizzate site-specific da Lee Lee Nam, Vincenzo Marsiglia e Squatters Lab, artisti scelti per la loro capacità di interpretare il dialogo interculturale attraverso codici visivi contemporanei. La curatela, affidata ad Alisia Viola e Tommaso Venco, ha guidato l’intero progetto verso una direzione che unisce sperimentazione estetica, rigore concettuale e apertura alla pluralità dei linguaggi digitali.
L’artista sudcoreano Lee Lee Nam, figura pionieristica della media art asiatica, ha proposto un’opera che riflette sulle possibilità di traduzione reciproca tra culture. Volti, paesaggi e iconografie fluttuano su una superficie sospesa, evocando una narrazione visiva in cui il tempo si stratifica e la memoria si fa collettiva. La composizione digitale, proiettata sulle pareti millenarie del Colosseo, non contrappone passato e presente, ma li fa risuonare in un unico tempo condiviso. L’immagine tecnologica diventa così strumento poetico di risonanza storica, capace di ridisegnare l’antico come luogo di incontro tra civiltà.
Dal lato italiano, Vincenzo Marsiglia ha presentato Map (Star) The World – Korea, un’opera che utilizza il suo celebre modulo visivo, l’Unità Marsiglia, una stella a quattro punte che funge da matrice strutturale e semantica. L’intervento nasce da un lavoro immersivo all’interno dell’Istituto Culturale Coreano di Roma, sviluppato con tecnologie mixed reality (Hololens 2) e accompagnato da una traccia sonora elaborata con Ocrasunset. Il risultato è un paesaggio emotivo in cui i riferimenti geografici si dissolvono in un racconto astratto e multisensoriale. L’opera, proiettata sul Colosseo, assume una dimensione monumentale e collettiva, evocando non luoghi geografici, ma esperienze di incontro, attraversamento, appartenenza.
Il collettivo Squatters Lab ha invece presentato Motivi, un lavoro che parte dalla scansione digitale di un manuale ottocentesco di architettura italiana, per poi rielaborarne gli elementi attraverso GANs e analisi vettoriali. Colonne, capitelli, cornici e fregi vengono rigenerati in un flusso continuo di forme che mutano e si ricompongono, dando vita a un linguaggio ibrido tra storia e innovazione. La proiezione sull’anfiteatro romano rende evidente la possibilità di rinnovare la materia culturale attraverso processi algoritmici, senza tradirne l’origine. L’opera è un esercizio di conservazione attiva, in cui il patrimonio si apre a nuove letture e sensibilità.
L’intero progetto, dal titolo Echo of Time, si è articolato come esperienza di attraversamento temporale e culturale, ponendo al centro non solo la migrazione delle immagini, ma quella delle idee, delle storie e dei simboli. Il Colosseo, per una sera, si è fatto schermo universale, incarnando il potenziale del patrimonio storico come spazio di connessione globale. L’uso della luce come medium ha permesso una riscrittura visiva della memoria, un atto di risonanza pubblica che non celebra, ma mette in dialogo.
Attraverso opere pensate per quel luogo specifico, l’evento ha trasformato l’Anfiteatro Flavio in un palinsesto dinamico, aperto a interpretazioni stratificate. Il patrimonio non è stato sfondo, ma soggetto attivo, superficie viva su cui si sono proiettate nuove forme di convivenza estetica e culturale. Echo of Time ha mostrato come l’arte digitale, se consapevolmente inserita nel tessuto storico, possa generare significati plurali, agendo non come decorazione ma come dispositivo critico e poetico.