Echo Valley: Julianne Moore e Sydney Sweeney protagoniste di un thriller viscerale, tra maternità e abisso 

Dopo Fountain of Youth – L’eterna giovinezza, il catalogo di Apple TV+ si espande con un nuovo titolo di rilievo. Si tratta di Echo Valley, un thriller che vede come protagonisti Julianne Moore, Sydney Sweeney e Domhnall Gleeson. La regia è affidata al vincitore del BAFTA Michael Pearce, mentre la sceneggiatura porta la firma di Brad Ingelsby, già autore di Omicidio a Easttown.

Al centro del racconto c’è Kate, una donna che il tempo ha consumato come l’acqua fa con la pietra. Un matrimonio fallito, una nuova compagna morta troppo presto, una figlia – Claire – la cui esistenza è un campo minato di dipendenze, passi falsi e compromettenti menzogne. E sopra ogni cosa, un ranch stanco, isolato, che resiste come ultimo baluardo di una vita che appartiene al passato. Claire è una figlia tempestosa, febbrile, inaffidabile e la loro relazione diventa un turbine tossico di abbandono e perdono fino a quando una notte, Claire si presenta alla porta di Kate, implorando aiuto. Da quel momento, madre e figlia si trovano coinvolte in una spirale di violenza e scelte irreversibili

Pearce dirige con una sobrietà elegante, quasi trattenuta, affidandosi più all’accumulo di atmosfera che al colpo di scena. Le influenze sono dichiarate: c’è il fantasma di Tilda Swinton ne I segreti del lago, il sapore plumbeo dei migliori thriller psicologici, la densità drammatica che ricorda certe pagine di Stephen King, non a caso già frequentato da Moore ne La storia di Lisey

Ma è proprio nella sua tensione tra luce e buio, tra idillio agreste e sottobosco criminale, che Echo Valley trova la sua voce più originale. La campagna non è rifugio, non è più un luogo sereno o ospitale, ma un mondo paludato, teatro di inquietudini e sofferenze. Gli animali di Kate, accuditi con affetto quasi religioso, sono l’unico appiglio affettivo rimasto in un mondo dove tutto sembra destinato a franare. E quando il film devia dal suo presunto sentiero familiare in dissoluzione per imboccare la via del noir, lo fa con troppo vigore: guadagna in mistero ciò che perde in coesione. Ma è una perdita consapevole, cercata. Perché Echo Valley non vuole rassicurare, ma investigare attraverso un racconto intimo e brutale. 

Il rapporto madre-figlia è un terreno scivoloso, un nodo inestricabile di amore e rancore, protezione e tradimento. Sweeney e Moore si affrontano come due pianeti in eterna collisione: tra loro passano gesti, tensioni e sguardi che feriscono più di mille parole. Ciò che resta, al di là delle svolte più forzate, è la potenza di un personaggio femminile come quello di Kate, complesso, stratificato, capace di incarnare nel proprio tormento una generazione intera di donne alle prese con un mondo che promette salvezze impossibili.

Quel che l’opera racconta senza troppe illusioni è come i rapporti familiari, come quelli madre-figlia, siano sempre vertiginosi, a loro modo pericolosi, in cui si rischia di diventare l’una la ferita dell’altra, spazi familiari in cui la fiducia si trasforma in manipolazione, e tutto sembra essere giustificato dalla potenza di un legame che chiede troppo anche alla vita stessa. Perché chi ti ama può distruggerti. 

Echo Valley è, in definitiva, un film sull’eco delle nostre scelte: su ciò che rimbalza, ci insegue, ci plasma. Un’opera che abita il confine tra il thriller e la tragedia, tra il cinema di genere e il ritratto psicologico. Forse imperfetto, sì. Ma vivo, vero, viscerale.

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