In un presente che sembra costantemente proiettato verso l’oblio, l’opera di Salvatore Alessi agisce come una frizione: rallenta lo sguardo, interrompe il flusso dell’effimero e ci costringe a fare i conti con il tempo lungo dell’immagine. “Exodus”, titolo della personale milanese presso ArteA Gallery, curata da Gianluca Ranzi, non è soltanto un riferimento tematico, ma un principio operativo: tutto in queste opere è attraversamento, transito, fuga, trasformazione.
Il lavoro di Alessi si fonda su una pratica pittorica che ha radici profonde, consapevolmente anacronistiche, eppure irriducibilmente contemporanee. Formatasi all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Palermo e poi nutritasi nei teatri e nei set cinematografici, la sua visione ha assorbito il senso della scena e del racconto, dell’icona e del simbolo, rielaborandoli in chiave radicalmente personale. La pittura diventa per Alessi un dispositivo di scavo: nella storia dell’arte, nella memoria culturale, nell’inconscio collettivo.
Le tele di Alessi sono palinsesti: portano i segni di stratificazioni temporali, citazioni visive, reminiscenze formali che si sovrappongono e si contaminano. L’eco di Antonello da Messina non è mai esercizio di stile, ma atto di riattivazione semantica: le Madonne Nere, ad esempio, rileggono il canone mariano in chiave postcoloniale, fondendo l’iconografia sacra con il tema epocale delle migrazioni. Non si tratta di semplice attualizzazione, ma di un gesto più profondo: restituire all’icona la sua funzione originaria di medium tra visibile e invisibile, tra umano e sacro, tra storia e presente.
Allo stesso modo, le fluttuanti presenze che abitano le sue composizioni – reminiscenze dei putti barocchi di Serpotta – non decorano ma disturbano: mettono in crisi la stabilità della scena, introducono una dimensione onirica, quasi perturbante, che sfida la gravità e l’ordine.

Alessi lavora la superficie pittorica come un corpo da incidere. La materia si addensa, si sfuma, si stratifica fino a farsi pelle, carne, paesaggio dell’anima. I volti che emergono – deformati, cancellati, irradiati di luce o affogati nel colore – portano dentro di sé l’urgenza di una presenza. Non sono ritratti, ma apparizioni. In essi si avverte il dialogo con Fausto Pirandello e Renato Guttuso, ma anche la volontà di andare oltre: verso un’espressività più interna, esistenziale, che non descrive ma rivela.
La pittura, in questa mostra, si fa allora atto di resistenza. Resistenza all’appiattimento del linguaggio visivo, alla smaterializzazione dell’immagine digitale, alla velocità dell’informazione. La pittura torna ad essere tempo, peso, durata. Un tempo sacro, in cui lo sguardo può finalmente sostare.
Il titolo della mostra, “Exodus”, è dunque più che un riferimento tematico. È una chiave interpretativa. Le opere esposte mettono in scena un esodo multiplo: geografico, culturale, spirituale. Ma anche un esodo della pittura stessa, che fugge dalla rappresentazione per ritrovare la propria voce. Una pittura che attraversa le epoche per parlare il linguaggio dell’oggi, senza rinunciare alla propria memoria.
In un’epoca in cui tutto tende alla trasparenza e alla leggerezza, Alessi restituisce alla pittura la sua opacità e il suo peso. Le sue immagini non si lasciano decifrare con immediatezza: chiedono tempo, chiedono silenzio. Ma in cambio offrono qualcosa di raro: la possibilità di vedere non solo il mondo, ma l’umano che lo attraversa.