Con questo nuovo articolo prosegue il percorso di conoscenza delle sfide che la complessa ricerca multisensoriale di Fabio Fornasari – direttore scientifico presso l’Istituto dei ciechi Francesco Cavazza di Bologna – ha affrontato e che questa volta propone attraverso due ulteriori esempi (trovate qui la prima parte). Da un lato si parlerà della mostra inizialmente esposta e costruita per la Mole vanvitelliana di Ancona e poi approdata durante il periodo Covid al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dall’altro di un progetto di allestimento in fieri che riguarda il museo “Pio Aria” legato al sito etrusco di Marzabotto.
In entrambi questi progetti l’allestimento è un ‘racconto spazializzato’, specifica cifra identitaria del lavoro di Fornasari, in cui la dimensione estetica della fruizione viene declinata grazie ad una serie di oggetti/parole/contenuti scelti non per veicolare un messaggio assoluto ma per offrire un’esperienza di fruizione plurisensoriale e plurinterpretativa.
Nel primo progetto, infatti, per dare corpo al pensiero dei due pedagogisti soprattutto rispetto al ruolo che l’ambiente ha avuto nello sviluppo della personalità del bambino, il nostro architetto ha scelto di allestire cinque tavoli tematici, dedicati rispettivamente a forme, materiali, la pelle delle cose, alfabeti e narrazioni tattili, manipolare e interagire, che permettessero il continuo confronto tra le due visioni educative, in modo da far comprendere l’importanza dei loro diversi approcci e soprattutto la loro complementarietà.
Se Montessori intuisce che lo sviluppo del bambino ha bisogno di stimolazioni fisiche per costruirsi la realtà attraverso tutte le categorie che consentono di organizzare le percezioni in pensiero, Munari affronta la questione dello sviluppo del pensiero presentandoci modalità di crescita più articolate che superano la concezione lineare e che cavalcano piuttosto la contraddizione e la decostruzione.
Così nel sesto tavolo allestito in mostra è stata posta una scacchiera che, sull’esempio di quella celebre del Bauhaus, contrappone provocatoriamente i due autori in un’apparente polarizzazione delle due posizioni, invitando piuttosto a muovere le pedine per elaborare un programma narrativo, performativo ed educativo al tempo stesso.
L’approccio tattile che ha ispirato la scrittura della mostra diventa azione partecipata di design collettivo che consente ai fruitori di verificare sul momento e assieme le conoscenze acquisite, permettendo una riflessione sul pensiero dei due autori e una metariflessione, agita attraverso la manipolazione libera degli oggetti, su come lo si stia interpretando.
Il setting proposto non è né divisivo, né conflittuale, né polemico, ma libero da pregiudizi verso il pensiero degli autori a cui la mostra è dedicata e verso il gioco degli altri fruitori, permettendo la costruzione di configurazioni sempre diverse in cui fare creativamente esperienza di interpretazioni flessibili e prive di pregiudizi.
Quanto ci anticipa Fornasari sull’allestimento in corso del museo di Marzabotto, invece, vede sempre come protagonisti gli oggetti ma questa volta per farne veicolo della complessità storica e culturale a loro intrinseca.
Temi come la vita quotidiana, la morte, la vita spirituale, presenti già come nuclei centrali dell’allestimento originario vengono qui fatti parlare attraverso una selezione di 10 reperti rinvenuti nell’annessa area archeologica di Kainua, evocando e giocando al limite tra realtà e immaginazione, per raccontarci in prima persona tutta la storia di cui sono stati testimoni.
La storia dell’acropoli, della necropoli e della polis sono così riportate al pubblico attraverso le “storie” minori fatte di ritualità sacra, gesti abituali, consuetudini, linguaggi, per fornirci uno spaccato della vita che attraversava questa città.
È un allestimento che più che archeologico diventa etnografico nel proporre queste ricostruzioni vivificate attraverso le voci e gli accenti presenti ancora oggi nel modo di parlare delle persone del luogo, i rumori e i suoni che forse hanno da sempre caratterizzato il sito.
A completare l’esposizione, la cui inaugurazione dovrebbe essere prevista per il prossimo dicembre, ci saranno anche tre video in Visual Vernacular realizzati dai performer Fabio Zamparo e Anna Chiara Carlet e una ‘Biblioteca delle forme’ in cui attraverso il campionamento degli oggetti presenti le sole forme racconteranno qualcosa delle varie funzioni cultuali, emotive, quotidiane per le quali sono nate, in un progetto che nasce quindi a monte come inclusivo e interessante per tutti i tipi di fruitori.
Credits: @FabioFornasari