Concludiamo il percorso antologico di conoscenza del modus operandi di Fabio Fornasari, raccontandovi quanto ideato nell’ambito della mostra “Franco Fontana. Retrospective”, in programma fino al 31 agosto 2025 al Museo dell’Ara Pacis di Roma.
Nell’ambito delle iniziative didattiche per tutti, con le quali il Museo romano porta avanti l’impegno di essere luogo accessibile, si è organizzato un progetto intitolato “Biblioteca astratta” per cui accanto ad una selezione di 6 fotografie del maestro Fontana sono stati posti altrettanti libri tattili a disposizione di tutti i visitatori utili ad esplorare lo sguardo di questo artista attraverso alcune delle sue più importanti opere.
I paesaggi naturali al pari degli elementi di architettura urbana sono in Fontana il pretesto per creare opere astratte e minimaliste basate sull’accostamento e il contrasto tra colori primari, brillanti, secondo un gusto che da un punto di vista formale si serve di armonia e di equilibrio geometrico e che da un punto di vista emotivo genera una sensazione straniante, quasi metafisica, di sospensione.
Fabio Fornasari, questa volta ideatore della “Biblioteca Astratta”, immagina di far entrare nella fotografia il fruitore attraverso uno svelamento di quello che è stato il processo di astrazione dell’artista e trasfigura nel materico l’immagine. Le pagine dei Silent book narrano da un punto di vista tattile ciò che si sarebbe potuto vedere un attimo prima che l’autore scegliesse di usare il teleobiettivo per isolare un determinato dettaglio, comprimere la profondità e appiattire le forme in geometrie essenziali, quasi fino a farci perdere ogni tipo di riferimento a quello che era il soggetto originario.
Il processo di astrazione è presentato attraverso l’esplorazione di pagine sovrapposte, come una sorta di Kamishibai orizzontale e materico attraverso il quale si possono infilare le mani e scoprire per via esperienziale i vari piani di profondità della fotografia in questione.
Ad esempio nella celebre foto Baia delle Zagare (1970) per comprendere come l’artista isoli il soggetto e lo renda astratto si propone un’immersione tattile in 36 fogli sovrapposti, tra carta velina, seta e velluto proposti in ritagli di dimensione crescente, e colori diversi, ad evocare rispettivamente attraverso materiali, temperatura, luminosità e sonorità diverse, l’acqua del mare, il cielo, la sabbia e l’ombra delle rocce. O ancora nell’opera “Paesaggio immaginario, elaborazione digitale” (Puglia, 1995) viene attribuito ad ogni collina un ritaglio corrispondente in panno lenci, di toni diversi e in formato ridotto. La linea d’orizzonte viene riproposta attraverso un filo di resina bianca. E se Fontana fa uno zoom sul punto in cui le colline si incrociano le une con le altre, Fornasari presenta il suo book tutto da sfogliare, smontare e rimontare, in una casualità che non per forza deve seguire i dettami dell’opera in questione ma che piuttosto presenta casualità della potenza generativa della natura.
La proposta di Fornasari è quindi interessante perché non cerca di veicolare in forma sensoriale rigidi schemi interpretativi basati su descrizioni pedisseque e normative del soggetto proposto, bensì si mantiene fedele alla struttura intrinseca del linguaggio artistico, che è capace di tenere insieme razionalità e immaginazione.
A questa inusuale biblioteca sono poi abbinati una serie di laboratori che sono tutti da definire per quanto riguarda date e soprattutto i contenuti.
Il primo di questi ad esempio, tenutosi lo scorso 8 Aprile, è nato da una difficoltà di lettura e di ricomposizione dell’immagine provata nel momento della manipolazione tattile da una persona non vedente di fronte all’opera appena citata del ‘Paesaggio immaginario’. Fornasari si è accorto che era necessario fare un affondo sulla prospettiva e sul meccanismo della visione, quindi far comprendere la differenza tra teleobiettivo e grandangolo.
Così 6 persone tutte cieche (o perché bendate o perché non vedenti) hanno prima esplorato un modellino in cui una piccola sagoma di Brunelleschi era davanti ad un tavolo con appoggiate tre bottiglie di diversa grandezza collocate in prospettiva. Dopo l’esplorazione tattile di questo modellino – anche in questo caso il riferimento è colto e cita esplicitamente gli artisti svizzeri Fischli & Weiss e la loro attuale installazione alla Fondazione Prada di Milano – si è proceduto alla collocazione ed esplorazione dello stesso assetto sul tavolo della sala, con appoggiate le tre bottiglie, questa volta reali ma sempre di dimensioni diverse.
Con l’aiuto dei cellulari sono state scattate a turno due diverse foto, dallo stesso punto, la prima in 0.5x, l’altra a 3x; queste stesse foto sono state stampate in B/N e grazie ad un fornetto PIAF il soggetto nelle due differenti versioni è stato tradotto immediatamente in leggero rilievo, pronto per essere esplorato tattilmente in modo da conoscere le caratteristiche di una focale rispetto all’altra e scoprire come il teleobiettivo annulli le distanze, mentre il grandangolo arrivi anche ad inserire nella foto ciò che non si voleva nemmeno prendere in considerazione.
Si è quindi decostruito quanto immaginato da Brunelleschi, si è indagata la fisiologia dell’occhio e si è capito il processo creativo di Fontana che infatti arriverà a dire: “la fotografia non è ciò che vediamo, è ciò che siamo”.
Così anche una difficoltà, un errore di interpretazione ha in sé una forza generativa che può arricchire costruttivamente alcuni dei processi che si dispiegano nell’atto creativo, come la sintesi, la tensione esplorativa, l’invenzione simbolica, l’espressività e tanti altri aspetti che ogni attività didattica dovrebbe avere come obiettivi principali. A chi progetta queste attività è quindi affidato il compito di fornire un ascolto attivo, sapiente e competente, in grado di cogliere l’unicità della realtà di ognuno (artisti, opere e fruitori), dargli voce con i giusti strumenti e immaginare attività in modo non prevaricante, in modo da mettere in grado ciascuno di dare voce alla sua individualità nel rispetto delle proprie specificità e… autonomie.