Galleria Deloitte inaugura con Liturgica di Giuseppe Lo Schiavo: intelligenza artificiale e controllo autoriale nello spazio storico di San Paolo Converso

L’ingresso resta quello storico: piazza Sant’Eufemia, nel cuore di Milano. Ma basta varcare la soglia per capire che dentro quella chiesa sconsacrata da secoli non si entra più per un atto liturgico, bensì per assistere a un altro tipo di rito. Qui, la materia sacra si è trasformata in materia visiva, e l’iconografia religiosa ha ceduto il posto a una nuova forma di rappresentazione: un flusso continuo di immagini, generato e governato attraverso l’intelligenza artificiale.

Con l’inaugurazione di Liturgica, prende forma la Galleria Deloitte. Un debutto che non punta a stupire con effetti speciali ma a posizionare subito la direzione del programma: uno spazio dove la ricerca tecnologica incontra la responsabilità autoriale. Non c’è retorica né celebrazione sterile della GenAI. Piuttosto, un laboratorio visivo in cui la tecnologia diventa linguaggio, senza mai sostituirsi al gesto dell’artista.

Giuseppe Lo Schiavo lavora da anni sull’intersezione tra tecnologia e arte visiva. Ma il dato tecnologico, qui, non è il centro della scena. È semmai un’estensione tecnica, un nuovo utensile che amplia il campo operativo del gesto artistico. Le immagini scorrono senza interruzioni: corpi che mutano, materia organica che si scompone e ricompone, animali, forme ibride che emergono e subito si dissolvono. Tutto in un loop continuo. Nessuna narrazione lineare. Nessuna conclusione. Solo un movimento visivo ipnotico, in costante ridefinizione.

Quello che Lo Schiavo chiama un’allucinazione visiva controllata è, in realtà, il frutto di un processo metodico. L’intelligenza artificiale generativa entra nel progetto senza mai acquisire autonomia. La macchina produce, ma non decide. Ogni parametro di generazione è impostato dall’artista, ogni esito visivo filtrato, selezionato, montato. È un processo dove la GenAI esiste solo come estensione del controllo umano, mai come autore indipendente.

Dentro San Paolo Converso, la scelta di questo tipo di linguaggio genera un dialogo diretto con lo spazio architettonico. Da una parte l’ordine geometrico rinascimentale, la solidità delle superfici, la struttura classica; dall’altra il movimento liquido delle immagini, che fluttuano senza mai cercare di mimetizzarsi con la preesistenza storica. Non c’è fusione decorativa. C’è una frizione calibrata, costante, intenzionale.

Questo debutto espositivo della Galleria Deloitte non avviene in un vuoto culturale. Si inserisce nel più ampio progetto del Campus Deloitte, che ospita la nuova sede milanese dell’azienda. Qui l’arte contemporanea non è un semplice elemento accessorio, ma parte di un sistema che mette in relazione attività professionale, ricerca tecnologica e produzione culturale. Un modello che punta alla coabitazione di linguaggi diversi, senza rigidità funzionali.

In questo contesto, Liturgica funziona come dichiarazione d’intenti. L’arte contemporanea non viene invitata a decorare, ma a lavorare criticamente sul proprio linguaggio, anche quando il linguaggio in questione passa per i più avanzati sistemi di generazione algoritmica. Lo Schiavo non si lascia attrarre dalle possibilità spettacolari dell’intelligenza artificiale: la sfrutta, ma la domina. La GenAI non è il soggetto. Rimane materia grezza da organizzare.

Il punto non è la tecnologia, ma il controllo della tecnologia. È questo che distingue il lavoro di Lo Schiavo da molti altri tentativi recenti di “arte con IA”. Qui il dispositivo generativo viene ridotto a quello che è: uno strumento operativo, utile ma subordinato. L’autore resta al centro del processo, gestendo variabili e uscite visive in funzione del progetto.

La tensione generata dal confronto tra lo spazio rinascimentale e la struttura visiva di Liturgica non cerca una sintesi armonica. Piuttosto, lavora sui bordi della coesistenza. La navata cinquecentesca continua a esistere nella sua stabilità, mentre il flusso visivo insiste su un’idea di metamorfosi continua. È proprio in questo spazio di tensione che si definisce il carattere specifico del progetto.

La Galleria Deloitte, scegliendo di aprire con questo intervento, prende posizione. Si colloca su un terreno curatoriale consapevole, evitando di appiattire il discorso sull’asse facile “arte & IA”. Qui non c’è entusiasmo ingenuo per la tecnologia, ma nemmeno diffidenza difensiva. C’è invece la volontà di testare le possibilità operative che nascono quando i linguaggi visivi si confrontano davvero con i dispositivi generativi.

In questo equilibrio controllato tra passato e presente, tra calcolo algoritmico e controllo autoriale, Liturgica si propone come il primo esempio di un programma che — se manterrà questa direzione — potrebbe definire per la Galleria Deloitte un ruolo solido nella produzione artistica contemporanea che si misura concretamente con le possibilità e i limiti dei nuovi strumenti.

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