A Palazzo Grassi e Punta della Dogana hanno da poco inaugurato le nuove mostre Tatiana Trouvé e Thomas Schütte, di cui fanno parte molte delle opere provenienti dalla Pinault Collection.
Ne La strana vita delle cose, curata da Caroline Bourgeois e James Lingwood, visitabile fino al 4/01/2026, Tatiana Trouvé accoglie il pubblico con una nuova opera Hors-sol, ricoprendo il pavimento di marmo di Palazzo Grassi. Si tratta di una colata di asfalto su cui inserisce tombini e chiusini in pietra e metallo, copie di quelli presenti nelle grandi città da lei visitate, che rimandano all’idea della circolazione dell’acqua (un elemento cui l’artista è particolarmente legata).
Un’opera che vista dall’alto appare come una costellazione e una cartografia di tappe e memorie. Tutta la sua produzione si presenta come una sorta di diario di viaggio, narrato attraverso gli oggetti raccolti e conservati, e che ripropone abilmente con materiali come marmo, gesso, cemento. Ognuna delle sue cose è traccia della vita umana, tuttavia l’artista ragiona sull’assenza dell’uomo, considerando questo aspetto un modo per “aprire la porta ad altre presenze…”, come scrive nel catalogo della mostra pubblicato da Marsilio Arte per Pinault Collection. E le presenze si manifestano fin da subito e corrono lungo tutto il percorso espositivo con la serie The Guardians, prodotte dal 2013, composte da sedute di vario genere (sedie o panche) su cui sono collocati libri e oggetti.

Le sue opere diventano in molti casi ambienti da esplorare e da attraversare come la serie Notes on Sculptures, o L’Appuntamento, una delle installazioni più suggestive, in cui lo spazio si amplifica con un gioco di specchi, vetri e riflessioni reali e concettuali. In Navigation Gate si attraversano due cancelli di bronzo, per avventurarsi in due opere Sitting Sculpture una seduta di alluminio e Storia Notturna, sculture di gesso che evocano eventi recenti di disordini sociali. La scultura The Residents comprende pareti in cartongesso, e strutture su cui pendono stracci, accanto a secchi e una figura antropomorfa di fango realizzata con il bronzo. In altre stanze i calchi di oggetti che l’artista ha raccolto nel corso dei suoi viaggi, formano collane-sculture che revocano i suoi spostamenti. Ma è forse L’inventario (2003-2024) l’opera che riproduce il seminterrato del suo studio a Montreuil, a rappresentare maggiormente la sua pratica del collezionare la vita delle cose.

I disegni sono una parte importante della sua produzione, cui è dedicato il secondo piano di Palazzo Grassi. Dalla serie in bianco e nero di Intranquility, agli allestimenti di canapa che ricoprono pavimenti e pareti, che mostrano le serie Les dessouvenus, e The Great Atlas of Disorientation. Opere spesso di grandi dimensioni, che avvolgono il pubblico in un gioco di rimandi tra (s)oggetti raffigurati e spazi della mostra. La serie prodotta durante il lockdown From March to May utilizzando la prima pagina dei giornali internazionali occupa una parete intera, così come trovano posto anche molti studi su carta, di cui alcuni mai esposti.
Sul Canal Grande le cose di Tatiana Trouvé a Dorsoduro invece, i corpi di Thomas Schütte si materializzano in forme spesso monumentali. Thomas Schütte. Genealogies è la monografica pensata insieme alle curatrici Jean-Marie Gallais e Camille Morineau, che fino al 23/11/2025 occuperà la sede di Punta della Dogana. Monumentale è la coppia che dialoga tra spazi esterni e interni: Mutter Erde (Madre Terra) di recente produzione posta all’ingresso dell’edificio, ricorda un personaggio femminile delle favole, mentre Vater Staat realizzato quindici anni prima, è “imprigionato nel torrino” con i suoi quattro metri.
I suoi soggetti sono figure maschili e femminili cui attribuisce caratteristiche precise, che si caricano di una forza espressiva anche quando giunge all’astrazione. I suoi uomini hanno una struttura massiccia, la posa è caricaturale e minacciosa come i Criminali, i Fratelli, gli Efficiency Men, altri due metri, sorretti da una struttura di acciaio e avvolti da coperte, forse le figure più ambigue.

Schütte lavora sulle piccole dimensioni negli United Enemy, sculture con i volti modellati in pasta Fimo chiuse in piccole teche, per poi tornare alle presenze ingombranti dei Männer im Matsch. Si tratta dei suoi uomini nel fango, una delle produzioni più caratteristiche già a partire dagli anni ’80, che accolgono lo spettatore all’inizio del percorso espositivo e che sembrano tentare un movimento nel quale restano intrappolati. I Geister (Spiriti) ingigantiti mostrano, invece, il processo di produzione in cui la materia pare malleabile. Nonostante l’artista utilizzi spesso materiali come il bronzo e l’acciaio con un loro peso specifico, la resa è quella di qualcosa che appare estremamente morbido. Solo dagli anni ’90 introduce il silicone, la pasta modellabile, la ceramica e il vetro. Che si tratti di volti singoli, Doppelkopf, «doppia testa», teste di vetro colorato, che con le luci della laguna risplendono di riflessi multicolori, Schütte crea una genealogia di forme, sciagurate, malefiche, in taluni casi inumane.

Una visione che muta quando si tratta di soggetti femminili, caratterizzati dalla calma interiore come le Frauenköpfe (Teste di donne), raffigurate anche con gli occhi chiusi come nell’elegante Großer Frauenkopf, (scelta anche come immagine di copertina per il catalogo), che rimanda a una iconografia asiatica. Le lacrime sono un elemento ricorrente nelle Weinden Frauen (Donne Piangenti) sia negli acquarelli del 1987, che nelle fontane di bronzo, essendo l’acqua uno dei “materiali della scultura”, come scrive Jean-Marie Gallais, sul catalogo Tomas Schütte, prodotto da Pinault Collection per Marsilio Arte.
Schütte presenta per la prima volta una selezione della corposa collezione di disegni e acquerelli. Opere prodotte in serie, i cui soggetti scaturiscono spesso da eventi luttuosi o difficili, il cui esito sono ritratti, nature morte, animali e astrazioni. Se le bandiere dell’artista aprono la sala principale, le innumerevoli opere su carta presenti in mostra sono interrotte da una piccola produzione di modelli architettonici dei Bunkers degli anni ’80.
Tra presenze monumentali e mancanze effettive riflettiamo su quell’umanità nascosta e rivelata, mascherata e disvelata, tra la solidità delle formazioni di Thomas Schütte, e le “cose” accumulate da Tatiana Trouvé, cullati dai canali veneziani, dalla luce del pomeriggio e da quel tipico odore lagunare.