Con questo articolo iniziamo una serie di interviste, testimonianze, reportage dedicati ai giovani artisti italiani della Generazione Zeta. Si comincia con i vincitori del premio Mitoraj di Pietrasanta.
Una tradizione millenaria come quella del marmo e la creatività di tre giovani artisti italiani. A Pietrasanta, lo scorso 22 marzo, è andata in scena la prima edizione del Concorso Artistico Rotary Club Viareggio Versilia, rivolto ad artisti provenienti dalle Accademie di Belle Arti di tutta Italia, invitati a lavorare sul concetto di “pace”. Il tutto nel segno e in ricordo di Igor Mitoraj, che a Pietrasanta, per più di vent’anni, stabilì il centro delle sue attività e la cui eredità è stata raccolta nel 2022 dalla Fondazione a lui intitolata, che presto verrà accolta, insieme a un importante nucleo di opere dello scultore, in un Museo a lui intitolato.
Significativo che l’iniziativa sia volta a sostenere il lavoro di artisti emergenti, spesso relegati ai margini del dibattito pubblico, a cui viene qui data forte centralità, come sottolineato da Bernard Dika, portavoce del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, in occasione della premiazione. E, come evidenziato da Giacomo Nicolella Maschietti, giornalista e moderatore della serata di presentazione dei premi, l’eccezionalità dell’evento sta anche nel premio sostanzioso – reso possibile dalla donazione di Jean-Paul Sabatié, presidente della Fondazione Museo Igor Mitoraj, dell’opera Decurione (2010) di Igor Mitoraj che, messa all’asta, ha finanziato la manifestazione –, a testimonianza dell’impegno dei soci del Rotary nei confronti delle giovani generazioni, come sottolineato da Diego Bonini, presidente del Rotary Club Viareggio Versilia e promotore dell’evento.
Vediamo allora in dettaglio chi sono gli artisti vincitori.
Eva Carlan

Ad aggiudicarsi il primo premio è Eva Carlan, classe 2002, studentessa dell’Accademia Venezia, con l’opera Senza Titolo (2024). Si tratta di un acrilico su plastica in cui la natura sembra riappropriarsi del suo spazio, in un habitat artificiale e scomposto. La sua ricerca esplora questo medium da tempo, disegnando, tramite un gioco di pieni e di vuoti, corpi umani – o frammenti di essi – o, più spesso, ramificazioni arboree, arabeschi floreali, nature cristallizzate, in una sora di ecosistema che coniuga elementi organici e sintetici, quasi a volere dare vita a un universo parallelo in cui non dal letame, ma dalla plastica, possono nascere fiori.
“La questione ambientale per me è importante, trasformo un materiale di rifiuto dandogli nuova vita. Come l’uomo, la plastica tende a soffocare la natura, ma non nelle mie opere”, racconta Carlan.
Awadalla Jonathan Soliman

Secondo classificato il trentenne Awadalla Jonathan Soliman, allievo del l’Accademia di Bologna, con l’opera del 2024 Bandiera in ricrescita (qualcuno disse che i prati torneranno), un ready made consistente in una bandiera della pace lacerata, di cui rimane soltanto l’occhiello a testimoniare gli sgargianti colori originali.
Diversi i media tramite cui ama esprimersi Soliman, che ha studiato anche presso la ESRA International Film School di Parigi. Sul suo canale YouTube diversi cortometraggi sembrano esprimere un lirismo nascosto dietro situazione comuni: una passeggiata in una cittadina bavarese, il passare delle nuvole in cielo, il fiume Arno ripreso da diverse angolazioni, dentro e fuori la città di Firenze.
Il tutto accompagnato da una ricerca formale che si nutre anche di filmati d’archivio, manipolati grazie a un montaggio che frammenta un gesto come quello del golfista che colpisce la pallina fino a fargli perdere completamente il suo significato originale di documentazione del reale. “Negli ultimi anni sto sperimentando il linguaggio dell’installazione, come quella che presento qui” spiega Soliman. Nel titolo c’è forse un riferimento al film di Ermanno Olmi, Torneranno i prati? “Esatto, è un film che mi ha colpito molto, soprattutto nella rappresentazione dei dubbi che attanagliano gli uomini in trincea, che si ritrovano a combattere una guerra di cui non capiscono le ragioni. Mi sembrava un messaggio meritevole di essere recuperato”.
Valeria Massoli

Last but not least, Valeria Massoli, classe 2000, iscritta all’Accademia di Perugia, terza con Lacero campestre (2024), in cui dei tubi sostengono due aureole intrecciate, simboleggianti pace ed eternità. L’artista ha esordito nella pittura con uno stile figurativo – volti fortemente espressivi, fotografati in combinazione con le mani dell’artista, che afferrano, accarezzano o addirittura strangolano il soggetto della composizione –, avventurandosi ben presto nella ricerca informale: la tela diviene così un territorio aperto a ogni possibilità, su cui il colore può essere steso, ma anche spruzzato, stratificato, o soffiato, e successivamente grattato, graffiato, scalfito, disegnando geografie dal forte valore tridimensionale.
“Il lavoro che ho portato qui ha avuto bisogno di molto tempo per venire alla luce, è partito da due tubi abbandonati, in un certo senso ‘innocenti’, che ho trovato per strada. Lavorando a questo progetto mi sono fatta molte domande sul concetto di pace, sulla sua fragilità. Per me la pace è un grido solitario che ci deve fare riconciliare prima di tutto con noi stessi”.