Giorgio Ciam alla Venaria: la trasformazione dell’identità tra fotografia e pittura

Prorogata fino al 15 giugno la mostra GIORGIO CIAM – Essere un altro, a cura di Elena Re, presso La Venaria Reale (Torino).

Come si può diventare un altro? Quali sono le fasi del processo di trasformazione che porta ad assumere l’identità di un’altra persona? È proprio sul tema della trasformazione che si concentra la ricerca dell’artista Giorgio Ciam (Pont-Saint-Martin, 1941 – Torino, 1996). Nell’importante lavoro del 1974 composto da 12 grandi tele e intitolato Sulla pelle, attualmente esposto nella mostra GIORGIO CIAM – Essere un altro alla Reggia di Venaria, Ciam mette in campo l’esperienza di assumere le sembianze di un altro individuo, facendo coesistere due mondi e utilizzando la fotografia come fosse pittura.

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“Niente di più facile!” si potrebbe pensare oggi, basterebbe infatti un qualsiasi software di fotoritocco per ottenere risultati simili. Ma l’intuizione di Ciam risale al biennio 1972-1974, ben prima dell’era digitale. In quel periodo, l’artista sperimenta la trasformazione e da un’opera all’altra lavora per proiettarsi in varie identità: suo padre, un amico oppure un altro artista.

In particolare, nella grande installazione Sulla pelle che è oggetto della mostra alla Venaria, si trasforma nell’artista americano George Segal. È questa una sequenza di 12 tele emulsionate (120 x 90 cm ciascuna) in cui – attraverso un paziente lavoro manuale di fotomontaggio e intervento pittorico – Ciam parte dal proprio volto per arrivare a quello di Segal come se avesse utilizzato una sorta di “Photoshop” ante litteram, creando a ogni passaggio un individuo in continua mutazione, frutto del progressivo mescolarsi dei tratti somatici di entrambi. 

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Con questa tipologia di lavoro, Ciam anticipa un tema che dieci anni dopo Woody Allen avrebbe portato alla ribalta con il film cult Zelig (1983), dove il protagonista Leonard Zelig è un uomo che non ha un sé né una personalità e la cui metamorfosi è letteralmente l’immagine proiettata degli altri in una sorta di specchio distorto. La trasformazione di Ciam è documentata nel suo libro d’artista Essere un altro (Edizioni LP 220, 1974) che, non a caso, Germano Celant ha incluso nella mostra The Small Utopia. Ars Multiplicata, alla Fondazione Prada a Venezia nel 2012.

A partire dalla metà degli anni Sessanta e per oltre un decennio, il mondo dell’arte attraversa un periodo di straordinaria libertà creativa. In questo contesto, l’opera d’arte si allontana da ogni approccio tradizionale in quanto oggetto fisico, avvicinandosi sempre più alla sfera del concetto e del pensiero visivo. “In questa direzione – sottolinea la curatrice Elena Re – l’arte scopre il potenziale della fotografia e il risultato è davvero sorprendente. Ciò che si manifesta è un’esplosione di espressività assolutamente nuove. Anche Giorgio Ciam intraprende questo cammino e usa la fotografia, un mezzo che non abbandonerà mai e che impiegherà in modo sempre ambivalente, per elaborare le proprie visioni interiori ma senza perdere attenzione per la consistenza materica dell’opera.”

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Ciam studia pittura e scultura a Torino, all’Accademia Albertina, ma interrompe gli studi per avvicinarsi al teatro di ricerca come scultore e performer. Presto diventa uno dei protagonisti della Body Art, interpretando il proprio corpo come scultura vivente. La sua sperimentazione contribuisce a delineare quel clima d’avanguardia e di apertura internazionale che viene ricordato come l’alba di una nuova era. Tra il 1967 e i primi anni Settanta Torino è una città carica di fermento culturale e interessanti novità, un luogo in cui approdano il Nouveau Réalisme, la performance, il gruppo Fluxus e arrivano anche personalità come Gina Pane e Roman Opałka, con cui Ciam stesso entra subito in dialogo.

Per Ciam, il punto di partenza è sempre il corpo. La sua fotografia performativa è il riflesso di un approccio multidisciplinare: pittura e scultura si fondono con il medium fotografico in un unico linguaggio. “La sua è un’identità costantemente scandagliata, ma mai colta appieno” – prosegue Elena Re. “Vede e rivede se stesso in un continuo cut-up che lo porta a immaginare il volto come una mappa in perenne mutazione. Opera dopo opera, frammento dopo frammento, quello che l’artista elabora è un percorso infinito.”

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Nei primi anni Settanta Lea Vergine nota il suo lavoro e gli dedica un capitolo della fondamentale monografia Il corpo come linguaggio – La “Body-art” e storie simili (Prearo Editore, 1974). L’anno successivo, Giancarlo Politi lo inserisce nel numero speciale della rivista Flash Art dedicato agli artisti internazionali che usano la fotografia, consolidando ulteriormente la sua figura nel panorama contemporaneo.

Nell’opera Sulla pelle – visibile alla Reggia di Venaria fino al 15 giugno – dove Ciam si “trasforma” in George Segal attraverso una serie di tele fotografiche arricchite da interventi pittorici, il risultato è davvero sorprendente. È un lavoro in cui la mutevolezza del volto e l’apparente virtualità delle immagini ci parlano di identità in chiave assolutamente attuale, ma al tempo stesso lanciano un monito… Il bisogno di tornare alla materia e alla dimensione fisica del fare artistico, proprio come ha fatto Ciam con questo speciale incontro tra fotografia e pittura, iniziato negli anni Settanta ma che non smette mai di affascinarci.

GIORGIO CIAM – Essere un altro è una mostra curata da Elena Re, promossa dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude in collaborazione con l’Archivio Giorgio Ciam nell’ambito di EXPOSED Torino Foto Festival.

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