Gli artisti devono pagare?

Un artista dovrebbe pagare per esporre le proprie opere e sperare di entrare in un percorso che lo porti alla fama?
A domanda diretta, risposta secca: no. I motivi li ho spiegati in un capitolo del mio libro Le tue prime cinque opere d’arte contemporanea (2017). Ma questo “no” è da prendere come risposta sempre e comunque? Ragioniamo, tanto ragionare è gratis.

Se l’artista paga l’esposizione il gallerista non sta realmente investendo. Nel mio libro lascio realmente intendere che a tutti gli effetti questo è un brutto atteggiamento verso l’artista, ma soprattutto verso il collezionista, che, ignaro, ritiene che l’artista sia già ad un livello adeguato perché qualcuno investa in lui.

Capiamoci meglio. Per ogni persona pronta ad acquistare una generica opera d’arte ci sono molte persone pronte a venderla (galleristi) e molte di più pronte a farla (artisti). Certo stiamo parlando del primo mercato, il mercato degli artisti viventi e generalmente emergenti. La catena del valore del settore creativo dovrebbe essere: un artista crea, un produttore investe nella produzione e sostentamento dell’artista e della sua famiglia, attiva una catena distributiva affinché i clienti finali possano scoprire e acquistare. Sappiamo quanto siano determinanti altre figure autorevoli, quali critici e curatori, nel determinare diffusione e prezzo.

Questo è quello che pensavo fino al giorno 29 dicembre 2024 alle ore 14:35.
Alle 14:45 dello stesso giorno ho cambiato idea, o meglio, quel “no”, non l’ho ritenuto più vero in assoluto. In quei 10 minuti è accaduto che una signora è entrata in una delle mie gallerie cercando di promuovere il figlio e nel farlo, mi ha confessato quanto fosse rammaricata che non avesse potuto iscrivere il giovane artista ad un valido concorso d’arte (in effetti dai nomi che mi fece mi sembrava un concorso da non disdegnare) il cui costo di iscrizione era di 30 euro. Nel confermare la mia posizione, ovvero quella che sostiene che gli artisti non devono pagare, però le ho espresso il mio stupore di come qualcuno potesse essere fermato da una spesa di 30 euro (eravamo a St. Moritz, dove un gin&tonic costa 45 euro). Lei, sempre più rammaricata, mi ha detto che il figlio è uno studente ed ha come insegnante un importante curatore (che stimo e conosco per inciso), e che il dictat formativo era: “mai pagare!”, quindi il ragazzo doveva scegliere: andare di istinto e pagare 30 euro, e deludere il suo professore, oppure seguire le indicazioni?

Due elementi discriminanti: qualità e trasparenza

Da lì ho cominciato a ragionare, ed il ragionamento è il seguente.
Il tema non è pagare o non pagare. Il tema è accertarsi di due elementi:

  • c’è qualità?
  • c’è trasparenza lungo la filiera?

Se il concorso è ben rappresentato da chi è autorevole nel settore (sì lo so è antidemocratico ma nell’arte conta chi conta, così è stato stabilito da oltre mezzo secolo di studi e analisi filosofiche) ed il costo è comunicato in modo aperto e pubblico, onestamente non vedo un problema. Si paga l’autostrada, si può pagare una segreteria 30 euro.

Musei e Gallerie

Ma vediamo nel caso di una esposizione in una galleria d’arte o museo (sì molti musei noti chiedono soldi): è giusto che l’artista paghi? Se questa cosa è fatta come sotterfugio tra le parti, io dico no, non è giusto che paghi. Ma ci sono due questioni da approfondire: la prima è filosofica ed è legata al denaro, il denaro è fungibile; la seconda, il denaro nasce come strumento di abilitazione.

In virtù del primo punto potremmo osservare: ma che importanza ha chi paga location, luci e champagne? Fermo restando la trasparenza verso il pubblico ed i terzi, davvero è un problema se un bravo, anzi bravissimo, artista benestante, decida di lavorare con un intellettualissimo gallerista meno abbiente e decidesse di sovvenzionare? La tradizione vuole che l’artista sia povero e sfigato, mentre il gallerista borioso e ricco, ma chi lo ha detto? Guardiamo la qualità artistica, la cifra espressiva, la cultura, o ci fermiamo agli stereotipi? Crediamo davvero che il denaro possa garantire fama immeritata? Abbiamo forse paura che un ricchissimo artista incapace possa arrivare ai massimi livelli? No, io non credo sia possibile, come ho detto il sistema è abbastanza chiuso da impedirlo. E del resto, se capita, capita, nessuno ha mai detto che il sistema capitalista sia perfetto, ma del resto non lo sono neppure altri modelli (o, in alternativa, io non ho studiato abbastanza).

Dalle 14:45 del 29 dicembre 2024 ho cominciato a pensare che sono tutte seghe mentali, chi ha i soldi, li metta, chi ha capacità, la metta, chi è intellettuale, scriva, chi è intelligente, emani felicità e cambi il mondo in meglio. Solo una cosa a mio avviso deve essere chiara, se l’artista ha contribuito a produrre la mostra, deve essere scritto in modo preciso: “mostra prodotta da nome_gallerista e nome_artista”, come si fa con tutti gli sponsor. A proposito, perché il produttore di vino sponsor dovrebbe pagare per le bottiglie che si scolano i clienti del gallerista e gli amici dell’artista e l’artista non potrebbe pagare? E’ un terribile non-sense.

L’artista deve contribuire alle spese della mostra?

L’artista “deve” pagare e contribuire per una mostra? Penso di no, certo che penso di no, non deve, ma se lo fa, non mi straccio le vesti, anzi, quell’artista probabilmente è anche un bravo imprenditore. Personalmente ho avuto più cene pagate da una donna (sono molto antico, mi scuso, ma ancora penso che debba pagare l’uomo) che da un artista. Il sistema si è organizzato in modo da collocare gli artisti (emergenti) in uno stato di incapacità di intendere e di volere, non devono pagare, neanche un gin tonic!

JSON degli economics di una mostra d’arte

Una delle strutture informatiche fondamentali di internet sono le strutture JSON, un JSON è uno schema formale che spiega le cose. Grazie a tali strutture ogni pezzo di software sa cosa aspettarsi da un altro pezzo di software. Che sia il nostro conto corrente o un elicottero in volo, con le strutture dati non si scherza. Ebbene, allora non scherziamo neppure con le mostre d’arte. Ecco, propongo di esporre fuori da ogni mostra un JSON, così da distruggere stupide idee limitanti. Più forma e meno chiacchiere.

Ecco come potrettebbe presentarsi:

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