I metamondi di Taylor Swift: tra estetica, musica e iperconnessione

Virginia Woolf diceva che “una persona che continua a cambiare è una persona che continua a vivere”. Nel 2025, dopo l’uscita del suo dodicesimo album in studio, “The Life of a Showgirl”, Taylor Swift appare come l’incarnazione perfetta dell’adagio che ha ispirato tanto la vita della scrittrice britannica quanto la sua, in una continua trasformazione attraverso linguaggi e universi sempre diversi. Dall’era della country girl acqua e sapone allo stile cottage core, fino al glamour della vita da showgirl, viviamo tutti nei tanti “metamondi” di Taylor Swift. Se sia l’estetica a precedere la musica e a fare in modo che la produzione artistica si adatti a essa, o viceversa, è la domanda che spesso accompagna le sue nuove uscite in grande stile.

Perché ogni “era” di Taylor è un universo visivo a sé, dove concept grafici, storytelling multimediale, videoclip, palette cromatiche e strategie social si intrecciano fino a diventare parte integrante dell’opera finale. Metamondi immersivi in cui estetica e strategia narrativa guidano e modellano la produzione pop contemporanea. “Negli anni ’80 – spiega ad Artuu Mauro Ferraresi, professore associato del Dipartimento di Comunicazione, arti e media dell’Università Iulm di Milano -, Michael Jackson, Madonna e Prince avevano già trasformato la musica in un linguaggio visivo e narrativo, soprattutto attraverso videoclip e media come MTV. Taylor Swift raccoglie quella tradizione, ma la porta in una dimensione nuova, definibile come ‘era iperconnessa’. La canzone diventa un contenuto da diffondere all’interno di piattaforme multiple, ognuna con i propri ritmi, estetiche e valori simbolici, in dialogo costante con i fan”.

Dal country ingenuo al pop concettuale: un viaggio in dodici ere

Un percorso artistico lungo quasi due decenni, quello di Taylor, in cui la dimensione sonora si fonde con la creazione di un universo visivo e narrativo organico, capace di trasformarsi continuamente pur mantenendo una sua riconoscibilità. L’inizio risale al 2006, con l’album omonimo “Taylor Swift”, che inaugura l’era della “ragazza country della porta accanto”: il racconto di un’America provinciale dalle tante aspirazioni giovanili. La storia della ragazza della Georgia, dai tanti riccioli dorati, che sogna di fidanzarsi con il quarterback della scuola.

L’estetica trasuda autenticità, è luminosa, dai toni caldi. È l’innocenza a stelle e strisce prima che arrivi la notorietà. Con “Fearless” (2008), l’immaginario si tinge di fiaba e brillantini: vestiti da favola, stelle filanti sul palco, cromie dorate e pastello. È il periodo dell’idealismo sentimentale e della freschezza giovanile. Il liceo è finito, si va al ballo di fine anno. La ragazza di provincia si eleva a icona pop. Due anni più tardi, “Speak Now” (2010) inaugura una prima vera trasformazione. L’estetica vira verso il romanticismo scenico: nuances viola, tessuti vaporosi, suggestioni da fiaba oscura. Swift firma ogni brano in solitaria, trasformando il diario personale in performance. Poi è la volta di “Red” (2012), l’album del tumulto sentimentale. Rossetto scarlatto, copricapi vintage, scatti su pellicola: un linguaggio visivo nostalgico per narrare passioni travolgenti e lo spaesamento della maturità che bussa alla porta. Il rosso diventa emblema di ardore, fragilità e crescita. Un passaggio tanto estetico quanto emotivo.

Con “1989” (2014), Swift compie il balzo decisivo: è la sua “metamorfosi newyorchese”, costruita su skyline, istantanee Polaroid e tonalità fredde che si esprimono musicalmente con brani pop e urban. Qui la contemporaneità viene abbracciata completamente, e il suono dialoga con un immaginario visivo che parla il linguaggio dei social media e dell’industria della moda. Ma ogni luminosità, nell’universo Swift, proietta inevitabilmente un’ombra. “Reputation” (2017) è la risposta dai toni riflessivi al fragore mediatico: gotica, metropolitana, digitale. Serpenti, latex, titoli di giornale e una scala cromatica bianco-nera raccontano la Taylor che risorge dalle rovine della propria immagine pubblica. È l’epoca del dominio e della rivalsa, ma anche di una rinnovata autoconsapevolezza.

Dopo le tenebre, con “Lover” (2019) la tavolozza swiftiana deflagra in pastelli e romanticismo, tra luccichio e arcobaleni. Un ritorno all’amore e all’ottimismo come principio di armonia e accettazione. Nel 2020, in piena pandemia, Swift sorprende nuovamente: “Folklore” ed “Evermore” sono due capitoli fratelli di un inedito universo cottage core, sospeso tra foreste, cardigan e ripiegamento interiore. In monocromo o nelle sfumature del muschio e del bronzo, Swift si fa cantastorie folk, tessendo narrazioni immaginate, malinconiche, raccolte. Sono gli album del ritiro, della scrittura come santuario. Con “Midnights” (2022) il percorso accentua l’introspezione più estrema: un glam crepuscolare anni ‘70, fatto di paillettes, illuminazioni soffuse e riverberi blu. È un album di rivelazioni e veglie notturne, dove la popstar medita sul tempo, sull’inquietudine, sulla celebrità e sull’amore come riflesso di sé. Infine, “The Tortured Poets Department” (2024) chiude il cerchio, con un’estetica da club letterario un po’ consumato, decadente. Bianco e nero, essenzialità, macchine per scrivere e ironia corrosiva: Swift controlla ormai la parte autoriale al 100% esprimendosi tra lirismo e autoesplorazione. 

Tra la vita, il palco e i social media

Nel mezzo innumerevoli frammenti di un’unica grande narrazione: la sua esistenza, tra etica ed estetica. Amicizie che nascono e finiscono, amori sotto la lente della stampa scandalistica con altre celebrities, crisi artistiche, ricerca ostinata della propria voce, rinascita. “Swift – prosegue Ferraresi – costruisce mondi visivi, palette cromatiche e narrazioni. Il risultato sono opere che possiamo definire ‘multiverso’: ognuno dei suoi album funziona su diversi piani, acquisendo significati differenti a seconda della piattaforma e del contesto in cui viene utilizzata. Questo approccio ha anche una dimensione sociale e interattiva. La partecipazione dei fan, chiamati a decifrare indizi e ad alimentare il racconto, trasforma l’universo di Taylor in una comunità molto coesa. Non è solo comunicazione, ma anche gamification: Swift gioca con i suoi fan, rendendo la loro partecipazione un elemento produttivo e creativo. Allo stesso tempo, l’artista si mostra vulnerabile e autentica: condividere successi e momenti difficili rafforza il legame con il pubblico, senza paura di scandali o fraintendimenti. La sua vita privata diventa un terzo pilastro della narrazione, insieme alla musica e all’estetica visiva”.

Ed ecco quindi l’ultimo, recente capitolo: “The Life of a Showgirl”, l’opera nella quale Swift sembra voler mettere in scena la sua ennesima, rinnovata identità, rappresentando anche il riflesso della nuova stagione del suo privato. Il linguaggio visivo è sfavillante e spettacolare, costruito su illuminazioni da teatro, body ricoperti di cristalli, piume, velluto, specchi e un impiego consapevolmente ironico del fasto in stile Las Vegas. Gli scatti promozionali realizzati da Mert Alas & Marcus Piggott, tra i fotografi più influenti nel panorama della moda mondiale, restituiscono un’immagine oscillante tra musical hollywoodiano e pop art: la diva come figura replicata, iper esposta, quasi moltiplicata all’infinito attraverso mille riflessi.

Parallelamente, Swift si è fidanzata ufficialmente con la star della Nfl Travis Kelce e appare sempre più decisa a orientare la carriera verso ciò che le consente di sperimentare e divertirsi, armonizzando l’impegno professionale con la progettazione della propria dimensione familiare, tra un matrimonio atteso dall’intero pianeta e, forse, l’eventualità di una maternità nel futuro. Un’influenza, quella dei mondi di Taylor Swift, in grado di influenzare in maniera dirompente anche musei e cultura visiva. L’estetica del videoclip di apertura del nuovo album, “The Fate of Ophelia”, trae ispirazione dall'”Ophelia” del pittore Art Nouveau Friedrich Heyser (datata intorno al 1900), attualmente conservata al Museo Statale di Wiesbaden, in Germania. La sequenza iniziale del video ricrea fedelmente il dipinto in ogni suo dettaglio: dall’abito bianco alla postura del corpo, fino all’ambientazione paesaggistica. Il video ha trasformato il quadro in un fenomeno virale inatteso. Nel weekend immediatamente successivo alla pubblicazione del video, infatti, centinaia di appassionati hanno formato lunghe code per vedere di persona l’opera originale, generando un’impennata straordinaria nelle presenze al museo tedesco.

Grazie a “The Life of a Showgirl”, inoltre, è riuscita a stabilire un nuovo record: nella stessa settimana è stata prima nelle classifiche musicali ma anche in quelle del box office cinematografico, grazie all’uscita nelle sale del film di accompagnamento all’album. “La musica di Taylor Swift – conclude Ferraresi – anticipa modalità di fruizione che vanno oltre il semplice ascolto. I suoi album sono opere transmediali che si estendono attraverso ambienti digitali multipli nei quali i fan si sentono parte di un evento e di una comunità. Essere presenti in questi scenari è essenziale: oggi cinema, social o streaming non sono più contenitori isolati, ma spazi immersivi. Taylor li abita con la sua musica, la sua immagine e i suoi fan, creando affezione, valori e una continuità narrativa molto solida”.

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