Il fenomeno Munch: oltre mezzo milione in fila per il Grido Interiore. Arte, social e numeri da record

Tutti in coda per il Grido Interiore di Munch. Sono stati oltre mezzo milione i visitatori che, prima a Palazzo Reale di Milano e poi a Palazzo Bonaparte a Roma, hanno visitato la mostra dedicata al maestro norvegese. Dai numeri bisogna partire per analizzare quelle che negli anni Novanta venivano chiamate mostre-blockbuster e che oggi si definiscono “evento” (ché i Blockbuster hanno chiuso da tempo e l’epiteto suona, se non dispregiativo, quantomeno cringe). 

Dunque, 536.281 sono le persone che a tutti i costi (letteralmente, poi vedremo) hanno voluto ammirare l’arte nordica di Munch, presentato in mostra con un centinaio di pezzi (molti i capolavori), tutti provenienti dal Museo Munch di Oslo

Milano batte Roma, con quasi 277mila presenze, contro le quasi 260mila registrate nell’Urbe, (dove peraltro l’esposizione si è aperta alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della Regina Sonja di Norvegia, tanto per dimostrare quanto le “mostre temporanee” sono sempre più esercizi di diplomazia culturale). 

Se siete stati a vedere la mostra, sapete di che cosa stiamo parlando. Delle opere si è già detto: in mostra c’è solo Munch e solo il Munch migliore. Certamente, del celeberrimo Urlo non c’è nessuna delle tre versioni – ormai inamovibili per motivi conservativi – ma compariva un disegno preparatorio, oltre a una serie di opere di primo piano, che fanno parte della collezione permanente del museo norvegese. Non è questa la mostra dal titolo acchiappa-pubblico e di poca sostanza (come in passato è accaduto con molte esposizioni dedicate ad artisti o correnti mainstream, vedi alla voce Impressionisti).

Anche la curatela è ineccepibile: ha firmato il progetto Patricia G. Berman, universalmente riconosciuta come una delle più ferrate studiose al mondo dell’artista. Costantino D’Orazio, ora alla direzione della GNU dell’Umbria, è stato chiamato da Arthemisia, che produce e organizza la mostra, a collaborare alla curatela. Ma diciamo che il marchio “made in Oslo” del progetto era ben visibile a chiunque si aggirasse in sala. 

Molto è stato detto e scritto sul perché l’arte di Edvard Munch, ancora oggi, piaccia così tanto. Rispetto, ad esempio, ad altri nomi gettonati della storia dell’arte (Picasso, Monet, Goya, …), le sue opere sono pressoché assenti nei musei italiani e quasi tutte concentrate ad Oslo che è città deliziosa ma non certo così visitata come altre capitali (Parigi, Londra). Una prima spiegazione del successo di questa mostra potrebbe dunque risiedere nell’ esotismo nordico di Munch, capace di creare un dipinto che è diventato emoji ma la cui arte, a noi italiani, di fatto non così accessibile e visibile. 

C’è chi ha poi giocato la carta sociologica: Munch, con la sua pennellata tormentata, è l’artista perfetto per descrivere questi nostri tempi, poiché declina su tela, e in maniera non troppo criptica e involuta, che cosa prova chi vive un disagio interiore. Questo spiegherebbe la massiccia presenza di pubblico giovane (mentre scrivo non ho dati precisi a supporto, ma parlo per esperienza empirica). Citiamo invece le parole di Iole Siena, che di Arthemisia è presidente, per descrivere le reazioni del pubblico: «Il “successo” di una mostra per me è leggere le parole commosse dei visitatori, osservare le persone che si stupiscono e piangono davanti alle opere»

Tutto vero e tutto giusto, ma c’è anche dell’altro. Il successo di Munch è figlio (anche) di un corto-circuito della fruizione culturale. “La mostra di Munch” – come prima già accaduto con Van Gogh a Palazzo Bonaparte e Roma e con Leandro Erlich a Milano, entrambe mostre-record, entrambe targate Arthemisia – ha “spaccato” perché si è fatto evento molto instagrammabile. Le code a Milano in piazzetta Reale o a Roma in piazza Venezia già infarcita di turisti giubilari sono state parte della fortuna della mostra stessa (qualcuno ha detto: quasi un’installazione) per quel meccanismo di imitazione pavloviana con cui i social ci stanno crescendo e nutrendo. Si corre a vedere ciò che altri hanno già visto e postato, per non rimanere indietro, per poter a propria volta postare. 

È un bene? È un male? Nessuna delle due cose: è, semplicemente, così. 

Ciò che invece potrebbe essere, questo sì, migliorato è la fruizione delle cosiddette mostre-evento: non sono state poche le criticità registrate (perlomeno a Milano). Il pubblico che paga (non poco: 18.50 euro) il biglietto d’ingresso ha diritto a poter vedere per bene le opere in mostra, senza troppo saltabeccare “tra le teste”. Bisogna, forse, ragionare su una miglior distribuzione degli orari e del pubblico, ché oltre alla quantità dei visitatori anche la qualità dell’esperienza di visita dovrebbe essere un valore sempre garantito. 

In attesa di capire quale sarà la prossima mostra-evento di cui discuteremo (quasi certamente Caravaggio a Palazzo Barberini che, a un mese dalla chiusura, può già contare su 350mila biglietti staccati, record romano per ora nell’anno giubilare), sfogliamo con particolare attenzione il saggio appena pubblicato da Simona Rinaldi, che insegna Museologia all’Università degli Studi della Tuscia, per Carocci.

Il suo “Le mostre d’arte. Dal Seicento alle esposizioni digitali ci è capitato per le mani poco dopo la divulgazione dei dati-record di Munch. Tra le molte cose, ci ricorda che la logica del “successo dei numeri” non è cosa di questi ultimi anni (il leggendario Jean Clair la stigmatizzava già nel 2011: “Il successo di un museo non si valuta in base al numero di visitatori che vi affluiscono ma al numero di visitatori ai quali ha insegnato qualcosa”) e poi precisa come la “fabbrica degli eventi” (cit. Montanari + Trione) sia, in Italia, a latitudine variabile. 

Si macinano mostre e pubblico attorno a due fulcri: Milano, primadonna della lista, e Roma. Di seguito, ben distaccate, arrivano Venezia e Firenze. L’anno giubilare potrebbe spostare l’ago della bilancia a favore dell’Urbe, mentre il Sud del Paese e le isole restano, ancora una volta, fuori dai giochi. Siamo dunque sicuri che, così delineato, il gran circo delle mostre temporanee in Italia sia equo e sostenibile?

1 commento

  1. Condivido l’articolo sulla mostra di Munch, spendere 18,50 euro per visitarla senza il quadro più famoso lo considero un’esagerazione. Complimenti per il bellissimo articolo.

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