IVA al 5%, arte più accessibile? Solo se cambia il sistema

Dopo anni di battaglie e di mobilitazioni, il mondo dell’arte italiano festeggia una vittoria storica: una riduzione netta dell’IVA che rende, almeno in teoria, l’Italia tra i paesi più competitivi al mondo per il mercato delle opere d’arte, ma siamo proprio sicuro che questo basti per dare maggiore vitalità al sistema dell’arte del nostro paese?

Se ne parla da anni, almeno da quando ho iniziato a muovere i primi passi nel mondo dell’arte, ed ora finalmente la riduzione dell’Iva sulle opere d’arte è diventata realtà grazie all’approvazione dell’articolo 8 del Decreto Legge Omnibus da parte del Consiglio dei Ministri dello scorso 20 giugno che ha stabilito un abbassamento dell’aliquota dal 22% al 5% rendendo l’Italia non solo decisamente più competitiva sullo scacchiere internazionale ma anche, di fatto, il paese con la tassazione più bassa d’Europa.

Un successo enorme per il Governo Meloni, che il ministro Giuli, ha celebrato, nella conferenza stampa in Sala Spatolini a margine del Consiglio dei Ministri, con parole cariche di entusiasmo: “Con questa decisione il Governo pone fine a un’anomalia che ci rendeva meno attrattivi rispetto ad altri paesi europei, dove già esistono regimi fiscali agevolati. Da oggi possiamo tornare a competere ad armi pari, offrendo nuove opportunità a galleristi, antiquari, artisti, restauratori, trasportatori e studiosi. È un provvedimento che valorizza l’intero ecosistema dell’arte, uno dei presìdi più vitali della nostra identità culturale”. È chiaro che si tratta di un passaggio importante, ma siamo proprio sicuri che la riduzione dell’Iva sia la panacea di tutti i mali? Proviamo a capire di più, procedendo con ordine.

ArteFiera 2025

La lunga battaglia per la riduzine dell’IVA

Partiamo dalle basi. L’IVA, acronimo di Imposta sul Valore Aggiunto, è un’imposta indiretta che grava su tutte le transazioni di beni e servizi: viene applicata tramite percentuali di aliquote che variano in base alla tipologia di prodotto o servizio. È una tassa che si aggiunge al prezzo di vendita ed è fondamentale per la nostra economia perché costituisce per lo Stato una fra le maggiori risorse per finanziare servizi pubblici ed infrastrutture.

In Italia, l’aliquota IVA ordinaria è del 22% per i beni comuni ma esistono alcune categorie di beni, considerati primari, che hanno un’aliquota più bassa, come i prodotti alimentari (IVA 4%), i servizi sociali, sanitari, educativi come le cooperative che operano per il bene pubblico (IVA 5%) gas ed elettricità, ma anche i servizi turistici (IVA 10%). Fino ad oggi, la vendita di opere d’arte in Italia è stata soggetta a due diverse aliquote: una, quella ordinaria fissata al 22%, prevista per tutti gli intermediari professionisti come gallerie e case d’asta, ed una seconda agevolata al 10%, riservata alle opere che l’artista vende direttamente ai collezionisti senza intermediari e alle importazioni.

La questione della riduzione dell’IVA per le opere d’arte è stata lunga e complessa, e non si è limitata semplicemente alla ricerca di risorse finanziarie per sostenere il taglio fiscale. Un aspetto fondamentale su cui si è concentrata questa discussione riguarda l’idea che le opere d’arte siano considerate un bene di lusso, accessibile solo ad una élite ristretta di persone. La battaglia del sistema dell’arte sull’IVA ha suscitato molte critiche soprattutto tra coloro che ritengono che ci siano beni di maggiore importanza e maggiore diffusione nella società (in primis, assorbenti e contraccettivi), che meriterebbero maggiormente una riduzione dell’aliquota fiscale. Questa percezione ha influenzato le decisioni e le opinioni sul tema, portando a riflettere anche sul ruolo sociale e sulla fruibilità delle opere d’arte nel contesto di politiche fiscali più ampie. 

La lettera degli artisti appesa agli stand di Miart

Il cambio di rotta

La riduzione dell’IVA sull’arte comporta per lo Stato italiano un costo stimato di circa 90 milioni di euro. Una bella cifra, ma, come ha evidenziato il Ministro Giuli, basandosi sui dati dello studio di Nomisma, una società indipendente che elabora studi settoriali e territoriali, senza questa agevolazione il mercato dell’arte avrebbe subito una perdita del 28% del suo fatturato complessivo, con conseguenze particolarmente drammatiche per le piccole gallerie che avrebbero rischiato di perdere fino al 50% delle loro entrate (e con ripercussioni sull’intero comparto).

Le proiezioni indicano che, grazie a questa riduzione, nel corso di tre anni il fatturato di gallerie, antiquari e case d’asta potrebbe crescere fino a raggiungere circa 1,5 miliardi di euro. Questo incremento avrebbe un effetto positivo sull’intera economia italiana, stimato in circa 4,2 miliardi di euro, considerando anche il gettito fiscale indiretto generato da un mercato più dinamico e in crescita. Secondo un recente rapporto di Nomisma, il mercato italiano dell’arte ha, infatti, sofferto finora a causa di un sistema fiscale gravato dall’aliquota IVA più elevata a livello comunitario, subendo la competizione di altre realtà europee, quali Francia e Germania, in cui dal 1° gennaio 2025 è stato introdotto un regime IVA agevolato per il settore – con aliquote fissate rispettivamente al 5,5% e al 7%. 

I vantaggi sono notevoli e sotto gli occhi di tutti. In primis, perché la riforma intende mettere ordine nella disparità dei trattamenti fiscali delle compravendite di oggetti d’arte e antiquariato e rendere così il nostro paese decisamente più competitivo nello scacchiere internazionale. Anzi, con la tassazione al momento più bassa d’Europa, si punta a renderlo il più attrattivo per le transazioni.

La riforma rappresenta un passo imprescindibile per consentire al nostro Paese di competere su un piano di parità con altri mercati più strutturati, garantendo al contempo una sostenibilità economica nel contesto globale. La nuova disciplina fiscale permetterà ai galleristi, ad esempio, di proporre prezzi più competitivi ai collezionisti e agli acquirenti in generale, favorendo un aumento degli acquisti e una maggiore accessibilità.

Ciò potrebbe tradursi in un incremento delle transazioni, con un conseguente ampliamento della platea di potenziali acquirenti, anche grazie a una riduzione dei limiti di prezzo, che potrebbe avvicinare nuovi appassionati al mondo dell’arte. Il mercato italiano, ad esempio, potrebbe diventare più attraente per i collezionisti internazionali, in quanto i prezzi delle opere d’arte potrebbero risultare più competitivi rispetto ad altri mercati. Questa misura basterà a far emergere il sommerso mercato dell’arte? Assolutamente no, se non ci sarà un cambio di paradigma culturale. Nessuna legge, infatti, può impedire alle persone di evadere, ma si spera che una tassazione più bassa possa scoraggiare condotte illecite. 

L’IVA al 5% favorirà il rilancio del sistema dell’arte italiano?

No, ahinoi, da sola non basta! La nuova aliquota IVA ridotta per l’arte, sebbene possa rendere gli acquisti più accessibili, non è una soluzione sufficiente per ampliare il mercato. L’acquisto di opere d’arte rimane un investimento non accessibile a tutte le fasce di popolazione e, dunque, un’attività riservata a persone con un reddito medio-alto. Per un’effettiva espansione del mercato e per coinvolgere un pubblico più ampio, sarebbe necessario intervenire anche su più fronti, come ad esempio una revisione al rialzo di stipendi, salari e compensi, in un Paese in cui oltre 5,5 milioni di persone (dati ISTAT) vivono ancora in condizioni di povertà, anche nel settore dell’arte.

Dunque, senza un aumento del potere d’acquisto e uno sviluppo sostenibile e accessibile a tutti del mercato artistico, l’effettivo impatto di tale misura è decisamente limitato. Inoltre, è importante sottolineare che, sebbene siano evidenti le ripercussioni positive della riforma fiscale su alcune categorie di operatori del settore, come i galleristi e i grandi collezionisti, che ora possono acquistare opere a prezzi decisamente più vantaggiosi, i benefici per altre parti del sistema risultano meno chiari e più difficili da percepire.

Miart 2025

Per esempio, per i piccoli acquirenti, gli artisti emergenti o le realtà più piccole, i miglioramenti potrebbero sembrare più sfumati o addirittura poco visibili, lasciando spazio a dubbi sulla reale portata di questa riforma. Va rimarcato che la riduzione dell’IVA, pur rappresentando un passo importante, non affronta il problema principale che riguarda l’accesso all’arte per le fasce di popolazione con redditi più bassi.

La questione non riguarda solo il costo delle opere, ma anche la possibilità concreta di avvicinarsi e partecipare attivamente al mondo dell’arte, che spesso rimane preclusa a chi non dispone di risorse sufficienti. L’abbassamento dell’IVA, quindi, da sola, non basta a rendere l’arte più accessibile a tutti, e per favorire una reale inclusione sarebbe necessario intervenire anche su altri fronti, come ad esempio politiche di sostegno economico, agevolazioni o programmi di educazione e sensibilizzazione che possano avvicinare un pubblico più ampio e diversificato.

Francia e Germania, paesi a cui si è guardato per elaborare la riforma fiscale, hanno, infatti, politiche di sostegno all’arte più strutturate (associazioni di categoria, ordini professionali, premi dedicati a sostenere i giovani, programmi di supporto economico e abitativo che aiutano gli artisti emergenti a trovare spazi e risorse) che in Italia sono molto limitate. Queste politiche non sono solo strumenti di incentivo, ma rappresentano, loro sì, un vero e proprio sistema di sostegno che favorisce la crescita e la valorizzazione dell’arte a livello nazionale ed internazionale. 

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