Joanna De Vos e The Clown Spirit: uno sguardo curatoriale sulla figura del clown

Presso la 21 Gallery di Treviso, all’interno del Treviso Art District, si avvia alla conclusione The Clown Spirit – The Traveling Exhibition, mostra collettiva curata da Joanna De Vos e aperta al pubblico fino al 19 aprile 2025. Parte di un progetto itinerante iniziato ad Anversa e passato per Namur e Roma, l’esposizione raccoglie oltre novantacinque autoritratti di artisti contemporanei, ognuno invitato a confrontarsi con la figura del clown come strumento di riflessione identitaria.

Alla base del progetto vi è un’intuizione personale della curatrice, il cui legame familiare con il mondo circense ha dato origine a una ricerca che intreccia biografia, pratica curatoriale e indagine artistica. La mostra propone una lettura del clown come figura complessa, sospesa tra introspezione e rappresentazione, tra umorismo e inquietudine.

In questa intervista esclusiva, De Vos ci accompagna dietro le quinte del progetto, rivelando la genesi di una mostra che è insieme confessione e performance, interrogativo identitario e manifesto universale. Dalle metamorfosi della mostra nelle sue varie tappe internazionali, alle riflessioni sulla natura ambivalente dell’artista-clown, fino alla libertà creativa concessa agli artisti coinvolti, emergono parole che tracciano una mappa complessa e affascinante della nostra epoca, dove il confine tra verità e finzione si fa sempre più poroso.

Un viaggio visionario, dunque, che riflette sul senso dell’arte nel tempo presente e sul ruolo del clown come figura critica, capace di mettere in discussione maschere sociali e certezze precostituite. Un dialogo che, proprio come l’esposizione stessa, non si limita a esporre ma invita a guardare – e a guardarci – con occhi nuovi.

Joanna De Vos 2025 ©Lieven Herreman

La mostra nasce da un filo autobiografico legato alla storia della tua famiglia nel mondo del circo. In che modo questo lascito personale ha influenzato la tua visione curatoriale e la decisione di esplorare la figura del clown come forma di autoritratto per gli artisti contemporanei?

Per me, vita e arte sono collegate — in ogni cosa che faccio. Non c’è separazione, si tratta di uno scambio costante, in cui l’una alimenta l’altra. L’arte è il battito del mio cuore; l’arte è la mia bussola nella vita. Amo esplorare, immergermi in nuove narrazioni e condividere questa vocazione. È un vero privilegio viaggiare per l’arte e trovarmi in costante dialogo con così tanti artisti, intenditori ed estimatori.

Mio bisnonno paterno, Frans De Vos, era pittore e direttore di circo. L’intera famiglia partecipava alla vita circense. Viaggiavano, mettevano in scena numeri diversi, dipingevano gli stendardi del circo… ogni cosa faceva parte della vita del circo. Il desiderio di scoprire, di piegare la mente in ogni direzione — l’acrobazia del pensiero — sono sicura che siano echi di quella linea familiare.

Quando sono stata invitata a ideare una mostra urbana per Namur, la capitale della Vallonia in Belgio, ho sentito l’urgenza di portare qualcosa che mi fosse vicino — vicino alla vita stessa. Ho scelto The Circus We Are come tema e titolo del progetto. Sono convinta che le nostre vite, in un modo o nell’altro, si possano ricondurre al “movimento del circo”: basta pensare alla fatica quotidiana per portare a termine ogni cosa in tempo, al caos e alla sorpresa che si annidano dietro l’angolo, e a tutti noi che facciamo giochi di destrezza con mille cose contemporaneamente. Il circo è una dimostrazione del “complesso cerchio della vita”, di come trovare equilibrio, di come far coesistere gli estremi universali — e questo mi affascina profondamente.

Studiando la storia del circo, ho scoperto che fin dalle origini, gli artisti ne sono stati attratti — affascinati dal suo modo d’essere, dal suo ritmo, dal suo rifiuto dell’ordinario. Molti hanno sentito l’impulso di appartenere a quella famiglia circense, nomade e indomita. È stato allora che alcuni artisti noti dell’epoca realizzarono un autoritratto nei panni di un clown. Il che mi ha fatto riflettere: quanto potrebbe essere interessante vedere come gli artisti di oggi si vedono come clown?, chi è l’artista-clown? È una domanda fondamentale. Una domanda che rivela la posizione e lo sguardo dell’artista in molti modi. È un progetto che connette generazioni e continenti attorno all’essenza stessa della vita, e in questo senso può essere un dito sul polso della società.

Hans Op de Beeck Self portrait as a clown 2020 black and white watercolour on Arches paper in wooden frame 50 x 40 x 44 cm

Nella tua dichiarazione curatoriale, descrivi l’artista/clown come maschera e specchio, enigma e rivelazione. Quali riflessioni sono emerse per te nel lavorare con una figura così ambivalente e archetipica lungo tutto il progetto?

Non esiste un solo volto; l’“io” è molteplice, e i molti possono essere vicini a “me” o parte di me. Il sé autentico porta in sé molti volti; il sé autentico ha molte sfaccettature. Proprio come la vita, che non si rivela mai del tutto. Anche quando pensiamo di essere arrivati, in realtà non lo siamo. La vita è una serie continua di “rivelazioni” e “enigmi”. Ed è proprio questo che intendo con “il circo che siamo”: l’ambivalenza che non si esaurisce mai e che ci conduce in ripetuti esercizi di equilibrio.

La vita è duale; dovrebbe essere duale; esiste sul confine degli estremi — sempre spinta verso un nuovo equilibrio. Mentre mangiamo, siamo mangiati. Questa frase mi è sempre rimasta impressa: “eccoci qui, ma dove siamo?” Sì, in effetti — siamo clownizzati, siamo il clown, siamo circondati da clown. Gli artisti sono i migliori nel mostrare cosa significa essere il clown, essere clownizzati, ed essere circondati da clown. Rivelano le infinite acrobazie dell’esistenza — il peso e la leggerezza, la gravità e il sollevarsi. L’artista, come il clown, non mette a tacere il caos — ci danza dentro, passo dopo passo, con scarpe troppo grandi.

Jan Fabre The grace of a smile I II III triptych 2020 photographic print 297 x 21 cm

La mostra presenta oltre novantacinque voci artistiche, ciascuna invitata a confrontarsi con il proprio lato clownesco. Come hai selezionato gli artisti partecipanti, e quanta libertà hai concesso loro nell’interpretazione del tema?

Attualmente, sono 96 gli artisti coinvolti nella mostra. È stato un processo organico — fatto di amicizie, conversazioni condivise, incontri inattesi. Avevo già collaborato con alcuni in progetti precedenti, altri li conoscevo tramite amici artisti o colleghi del settore, altri ancora li ho incontrati all’inaugurazione di una mostra… oppure ho visto i loro lavori in altre esposizioni — o persino per caso online — e mi hanno colpita così profondamente che ho voluto saperne di più. E quale modo migliore per conoscersi, se non attraverso un autoritratto? A maggior ragione, in questo caso: un autoritratto dell’artista nei panni di un clown.

Oltre a richiedere una “piccola opera bidimensionale” e a spiegare brevemente cosa rappresenti per me The Clown Spirit, ho lasciato ovviamente agli artisti totale libertà d’espressione. Alcuni hanno dimenticato le regole — in modo delizioso. Altri le hanno piegate intenzionalmente. Anche questo è lo spirito del clown: giocoso, sovversivo, imprevedibile. Alcuni hanno superato i limiti di dimensione senza esitazione; altri hanno interpretato “bidimensionale” in modi del tutto inaspettati. Sempre una sorpresa, sempre stimolante.

Non si può — e non si dovrebbe — imporre qualcosa all’artista.

Tuttavia, la richiesta di opere piccole e bidimensionali è stata una scelta precisa e consapevole: rendere possibile che la mostra potesse viaggiare facilmente in tutto il mondo, proprio come il circo e i suoi clown, spostandosi da un luogo all’altro. Gli artisti hanno compreso perfettamente i vincoli tecnici e materiali dell’invito — e nessuno li ha messi in discussione. Perché, in questo circo, è sempre l’artista a condurre l’azione.

Marina Abramović The Sad Clown 2020 digital pigment print 297 x 297 cm Exhibition copy

In quanto mostra itinerante, The Clown Spirit è in continua trasformazione. Quali cambiamenti hai osservato da una tappa all’altra, e in che modo i diversi contesti culturali hanno influenzato la ricezione e la configurazione del progetto?

The Clown Spirit è in costante evoluzione. Fin dall’inizio, ho considerato questa mostra come un “work in progress”. E più viaggiamo, più sento il desiderio di continuare a invitare artisti — di essere in cammino con la mia famiglia artistica.

The Clown Spirit – The Traveling Exhibition offre un’esperienza che apre davvero lo sguardo. È al tempo stesso senza tempo e attuale, estremamente personale e profondamente universale, plasmata culturalmente e risonante su scala globale. È un incontro ludico ma intenso tra artisti e pubblico — un gioco di nascondino. Un dialogo tra riso e lacrime, tra esposizione, accoglienza e critica.

Come per ogni opera d’arte, come per ogni mostra, ogni sede richiede una nuova drammaturgia scenografica. Ogni spazio ha le sue caratteristiche, le sue esigenze in termini di presentazione. Per dare forma a una mostra significativa, è essenziale percepire e respirare davvero lo spazio. Ogni nuova installazione genera nuova energia; crea anche nuove relazioni tra le opere e tra gli artisti. Si scoprono continuamente connessioni e interpretazioni inattese. Alcune opere si rafforzano a vicenda, altre disturbano l’energia delle vicine. È importante essere pienamente presenti con le opere. Amo quel momento in cui tutto si ricompone in un nuovo ambiente. È un momento chiarificatore, fisico, intellettuale, emotivo. E questa epifania, questa gioia profonda, desidero condividerla con ogni visitatore.

Petrovsky Ramone 4Eyes diptych 2020 photo print on dibond 42 x 297 x 2 cm

In un tempo in cui l’identità è sempre più costruita attraverso performance, travestimenti e maschere sociali, quale ruolo può avere oggi la figura del clown nel favorire una riflessione critica sul sé e sull’immagine pubblica dell’artista?

Cos’è l’arte? Per me è essere trasportati altrove — uno scambio di energie ed emozioni. Un viaggio nel tempo, attraverso i continenti, che cambia prospettive, un’esplorazione infinita. L’arte è connessione a un livello spirituale più elevato.

Con The Clown Spirit ci troviamo al centro di questa esperienza. Molti artisti indossano il naso da clown, il cappello da clown… e ti porgono il loro specchio, ciascuno a modo proprio.

In un certo senso, tutti gli artisti-clown ti invitano a coltivare consapevolezza, ad abbracciare l’autocritica, ad accogliere l’apertura… a essere sensibili e forti di fronte alla vulnerabilità. A rimanere critici — non per accettare ciecamente, ma nemmeno per attaccare o distruggere. A mostrare, senza ostentare. A tendere la mano, con rispetto. Ad attrarre con una maschera, a suscitare curiosità, e a restare aperti — a tutte le maschere che la vita ci propone. Quando all’artista è concessa libertà di parola ed espressione — in un abito disarmato — possiamo imparare da lui, e attraverso di lui, anche gli uni dagli altri. Tutto questo, senza imposizioni.

ENGlISH VERSION

1. The exhibition originates from an autobiographical thread linked to your family’s history in the circus world. How has this personal legacy shaped your curatorial vision and your decision to explore the figure of the clown as a form of self-portraiture for contemporary artists?
For me life and art are connected — in everything I do. There is no separation, it is a constant exchange, one fuels the other. Art is the beat of my heart; art is my compass in life. I love to explore, to immerse myself in new narratives and to share this calling. It is a true privilege to travel for art and to be in continuous interaction with so many artists, art connoisseurs and enthusiasts. 
My great-grandfather on my father’s side, Frans De Vos, was a painter and circus director. The entire family participated in the circus. They traveled around, performed several acts, painted the circus banners, … everything was part of circus life. The urge to discover, to bend my brain in all directions — the acrobatics of my mind — these, I’m sure, are echoes from that family line.
When I was invited to make a city exhibition for Namur, the Walloon capital of Belgium, I felt the need to bring something close to me — and to life itself. I chose ‘The Circus We Are’ as theme and title of the project. I’m convinced that all our lives are in some or the other relatable to the ‘circus motion’, think alone about the daily drill to get everything finished & accomplished in time, the chaos and surprise that come to lure around the corner, and everyone juggling with so many balls. Circus is a demonstration of “the complex circle of life”, how to find balance, how to let universal extremes co-exist and I find it highly interesting.
Researching the history of the circus, I discovered that from the very beginning, artists were drawn to its orbit — compelled by its way of being, its rhythm, its refusal of the ordinary. Many felt the urge to belong to that wild, wandering circus family. That is when some renowned artists of that epoch made a self-portrait as a clown. Which made me reflect: ‘how interesting could it be to see how artists of today see themselves as a clown?, ‘what is the artist clown?’. It is a fundamental question. A question that reveals the stance and gaze of the artist in so many ways. It is a project that connects generations and continents along the essence of life, and in that sense can be a finger on the pulse of society. 

2. In your curatorial statement, you describe the artist/clown as both mask and mirror, enigma and revelation. What reflections have emerged for you from working with such an ambivalent and archetypal figure throughout this project?

There is not one guise; the ‘I’ is many and the many can be close to ‘me’ or a part of me. The true self bears many faces; the true self has many facets. Just as life never reveals itself entirely. Even when we think we have arrived we, in fact, have not. Life is a constant series of ‘revelations’ and ‘riddles’. That is exactly what I mean by ‘the circus we are’ — the ambivalence that never ceases and draws us into repetitive balancing acts. Life is dual; life should be dual; life exists on the verge of extremes — forever moved to find a new equilibrium. Whilst we are eating, we are being eaten. This quote has always stayed with me: ‘here we are, where are we?’. Yes, in fact — we are clowned, we are the clown, we are surrounded by clowns. Artists are the best at presenting how it feels to be the clown, to be clowned and to be surrounded by clowns. They reveal the endless acrobatics of life — the weight and the lightness, the gravity and the levitation. The artist, like the clown, doesn’t silence the chaos — but dances with it, step for step, in oversized shoes.

3. The exhibition presents over ninety-five artistic voices, each invited to engage with their clownish self. How did you select the participating artists, and how much freedom did you give them in shaping their interpretation?
Currently, 96 artists are part of the exhibition. It was an organic unfolding—through friendships, shared conversations, unexpected encounters. I had either worked with them on previous projects, or we were connected through artist friends or fellow art professionals, or I met them at exhibition openings… or I saw their work in another exhibition — or even came across it online — and it struck me so deeply that I wanted to learn more about them. And what is a better way to get to know each other than through a self-portrait? Even more so, in this case: a self-portrait of the artist as a clown.

Aside from requesting a ‘small two-dimensional work’ and briefly explaining what ‘the clown spirit’ represents for me, the artists were, of course, given complete carte blanche. Some forgot the rules — delightfully. Others bent them with intent. That, too, is the spirit of the clown: playful, subversive, unpredictable. Some exceeded the size limit without hesitation; others interpreted “two-dimensional” in entirely different ways. Always a surprise, always exciting. 

You cannot — and should not — dictate the artist.

Still, the reason I did request small two-dimensional works was a conscious and purposeful one: to ensure the show could travel easily around the world, just like the circus and its clowns, moving from one place to another. The artists completely understood the technical and material limitations of the invitation — and not even one questioned it. Because in this circus, the artist always leads the act.

4. As a travelling exhibition, The Clown Spirit continuously evolves. What transformations have you observed from one stop to the next, and how have different cultural contexts influenced the reception and configuration of the show?
‘The Clown Spirit’ continuously evolves. Since its inception, I’ve seen this exhibition as a ‘work in progress’. And the more we travel, the more eager I am to keep inviting artists – to be on the road with my artistic family.
‘The Clown Spirit – The Traveling Exhibition’ offers such an eye-opening experience. It is both timeless and contemporary, hyper-personal and profoundly universal, culturally shaped and globally resonant. It is a playful yet intense encounter between artists and audience — a game of hide and seek. A meeting between laughter and tears, between presentation, approval, and critique.
As with every work of art, as with every exhibition, each venue requires a new scenographic dramaturgy. Every space carries its own characteristics, has its own demands in terms of presentation. To shape a meaningful exhibition, it’s essential to truly feel and breathe in the space. Each new installation evokes fresh energy; it also generates new relationships between the works, and between the artists. You constantly discover new connections, new interpretations. Some works reinforce one another, some disrupt the energy of others.  It is important to be fully present with the works. I love that moment when everything comes together in a new environment. It is clarifying, physically, intellectually, emotionally. And this epiphany, this fundamental joy I want to share with every visitor.

5. In a time when identity is increasingly constructed through performance, disguise, and social masks, what role can the figure of the clown play today in fostering critical reflection on the self and on the artist’s public image?

What is art? For me it is being transported — an exchange of energies & emotions. A journey through time, across continents, changing perspectives, an endless exploration. Art is connection on a higher spiritual level. 

With ‘The Clown Spirit’ we are at the heart of this experience. Many artists put on their clown nose, their clown hat… and offer you their mirror, each in their own way.

Somehow all the artist clowns invite you to cultivate awareness, to embrace self-criticism, to welcome openness, … to be sensitive and strong in the face of vulnerability.  To remain critical — not to blindly accept, but also not to attack or demolish. To show, without showing off. To reach toward one another, in reverence. To attract with a guise, to trigger curiosity, and to remain open — to all the guises life offers. When the artist is granted freedom of speech and expression — in an unarmed coat — we can learn from them, and through them, from one another. All without imposition.

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