Fino al 23 novembre la Fondazione Querini Stampalia ospita No Stone Unturned – Conceptual Photography, una mostra dedicata alla pratica concettuale di John Baldessari, un racconto dell’artista e in particolare del suo uso concettuale della fotografia, a partire dalla fine degli anni Sessanta. No Stone Unturned apre un nuovo capitolo per la Fondazione, con la più grande mostra mai realizzata sull’artista a Venezia e la prima mostra sotto la nuova direzione di Cristiana Collu. L’esposizione non tralascia nulla (come ci dice il titolo) e rivela ogni sfaccettatura della fotografia di Baldessari come pratica concettuale.
Necessario, per raccontare l’arte concettuale, è partire da Cremation project (1970), un lavoro che apre un percorso espositivo privo di didascalie e descrizioni. È con quest’opera che l’artista nel 1970 dà il via alla sua svolta concettuale, dando alle fiamme le sue tele realizzate fino a quel momento dal 1953 circa, affermando un atto di completa decostruzione. Non a caso, il progetto è documentato fotograficamente.

Concettuale per Baldessari coincide con l’immagine fotografica nei suoi sensi più vasti: dalla documentazione della cremazione, a fotogrammi di programmi televisivi (T.V. Series: 1 Wk. of T.V. Every 10 Min. Ea. Channel from 11 A.M. in Los Angeles Starting Aug 23, 1976, 1976), storyboards (Scenario (Scripts) (Version A), 1972-1973), ma anche associazioni di concetti (Bird/Plane/Bird, 1971 o Photos That Belong Together (Inside and Outside of Studio), 1976) o ancora nella serie Binary Code: Woman with Cigarette. Up/Up Down/Down Up/Down Down/Up (Yes/Yes No/No Yes/No No/Yes), 1974.
Il gioco concettuale dell’artista è un approccio ironico e mentale come in Choosing (A Game for Two Players): Asparagus, 1971-1972, nel video Teaching a Plant the Alphabet, 1972 o nelle Kissing Series (1975) dove i nasi dei soggetti fotografati “baciano” il contesto e lo sfondo. Attraverso spostamenti e sovrapposizioni interpretative le immagini di Baldessari decostruiscono lo spazio, decostruzione resa anche nell’allestimento dell’esposizione. No Stone Unturned si presenta allora in un ordine sparso, per nulla cronologico, perfettamente in linea con la poetica dell’artista.

È un percorso di rimandi, di flashback e flashforward che immergono completamente nella pratica concettuale senza dimenticare nulla. L’assenza di una linearità, nell’allestimento così come nella disposizione di opere per associazione, accentua questa ricercata confusione. C’è un punto di partenza netto, definito, sicuro, ma lo sviluppo è incerto e casuale. Infatti, la scelta di un Qr code con i titoli delle opere e l’assenza di didascalie in mostra sfida il visitatore, spingendo a una visione attenta e non distratta. L’opera successiva appare casualmente, inaspettata: nella sua non-prevedibilità l’esposizione obbliga ad avvicinarsi al concettuale in un viaggio libero e senza un programma.
In questo modo il concetto prevale sul contenuto e l’associazione è il solo modo di unire le parti. Il dinamismo in una mostra fotografica è sempre una sfida che Cristiana Collu vince in una casualità che però non lascia davvero nulla al caso. Se la fotografia concettuale può apparire respingente, diventa coinvolgente se si riesce a giocare secondo le sue logiche. In entrambi i casi, che respinga o trasporti, non lascia chi la guarda indifferente.

Penso sia questo il modo di raccontare l’arte concettuale: ovvero con la consapevolezza di avere una mente diversa dall’artista ma con la volontà di mettersi in gioco attraverso la medesima ironia. No Stone Unturned chiede di affidarsi alle idee di Baldessari, di farsi travolgere da associazioni, di allenare la logica e l’interpretazione, empatizzare, al fine di costruire un nuovo discorso rimescolando le parti. Visitare l’esposizione consente di fare esperienza della molteplicità di un medium, della varietà di idee, di riflettere sulla sintassi e sulla decostruzione. Sarà complicato da accettare ma potrà anche insegnare a sapersi sorprendere ancora.


