La galleria Willy Montini Arte di Genova ospita, fino al 6 dicembre 2025, “Que Locura”, una mostra che riunisce per la prima volta in città l’intera serie delle ottanta incisioni originali dei “Disastri della Guerra” di Francisco Goya. L’esposizione, curata attorno al tema della follia e della violenza come riflesso del potere, propone un percorso che intreccia memoria storica e riflessione contemporanea, offrendo una lettura attuale della condizione umana.
Di fronte a queste immagini, il presente non resta neutro: vibra, reagisce, si riconosce. È in questo spazio di risonanza che si inserisce l’intervento di Marco Mazzarello, con un gesto che sorprende e disarma.
Durante l’inaugurazione, l’artista ha presentato un carrello colmo di oltre trenta teschi umani interamente rivestiti d’oro. Un’apparizione che abbaglia e inquieta allo stesso tempo. L’oro — materia di potere, promessa di eternità — diventa qui la pelle fragile della morte, un paradosso visivo che interroga la nostra ossessione per l’immagine e il suo splendore. Mazzarello ci mostra la vanità come sintomo, la bellezza come maschera, la luce come ultima difesa contro la memoria.
Accanto a “Indicazione II / 24” di Germano Olivotto, presentata alla Biennale di Venezia del 1972, e in dialogo con il lavoro di Terry Atkinson, l’installazione apre un confronto tra epoche e linguaggi. La forza visionaria di Goya si intreccia con le riflessioni critiche del secondo Novecento e con lo sguardo disincantato del presente. È un intreccio di sguardi che non cerca armonia, ma tensione.
“Que Locura” — espressione che richiama al tempo stesso follia e stupore — si configura come un’esperienza coinvolgente in cui le incisioni di Goya, le opere di Mazzarello, Nidaa Badwan e Paolo Ciregia dialogano tra loro, costruendo un percorso di domande più che di risposte. La mostra si compone come un mosaico di voci che interrogano la storia e la nostra capacità di ricordare. Perché, come suggerisce Mazzarello, l’oro può anche abbagliare — ma non potrà mai cancellare la morte.
L’arte, anche a distanza di secoli, può ancora interrogare la realtà, restituendo al pubblico uno sguardo critico sulla persistenza della violenza e sulla fragilità della condizione umana.


