La giungla urbana di Leonor Antunes in mostra al CRAC Occitanie

Nodi ben stretti che ricordano quelli dei marinai. Corde aggrovigliate, maglie e reti di metallo e tessuto. Strisce di stoffa stampata, pelli intrecciate, legni africani e lacci di cuoio. Materiali naturali e organici come il sughero, o duttili come l’ottone, rappresentano tutti insieme il linguaggio visivo e estetico dell’artista portoghese Leonor Antunes (1972) in mostra fino a fine agosto al CRAC OccitanieCentre régional d’art contemporaine. 

Installazioni sospese che l’artista da anni realizza interpretando e indagando la relazione stretta tra scultura, design e architettura, guardando al modernismo anni ’50-’60 e a figure rilevanti, tra cui Franco Albini. Ma soprattutto un parterre di donne da Franca Helg (1920-1989), Anni Albers (1899-1994), a Sadie Speight (1906-1992) e Lina Bo Bardi (1914-1992) tra le tante.

Il CRAC Occitanie è stato oggetto di un’importante riconversione alla fine degli anni ’90 su progetto dell’architetto Lorenzo Piqueras, passando da vecchio magazzino di congelamento e conservazione del pesce a centro sperimentale d’arte contemporanea. Si affaccia sulla costa del Canal Royal in una città Sète culturalmente interessante (con un museo a cielo aperto di street art), e commercialmente importante grazie al suo porto. Siamo nella regione dell’Occitania, che comprende le regioni amministrative della Linguadoca-Rossiglione e Midi-Pirenei, qui dove nascono Paul Valéry che tesse le lodi de Le Cimitière marin nel 1920, e il cantautore Georges Brassens con gli immancabili moustaches e pipa, cui la città dedica a ciascuno un museo. Tra pescherecci, barche a vela ormeggiate sulle rive dei suoi canali, mercati colorati e molluschi freschi allevati nello stagno di Thau, il museo appare nella sua volumetria razionalista.

Non è insolito trovare sul territorio francese, lontano dai circuiti delle grandi città, architetture importanti destinate all’arte contemporanea con programmazioni museali, che nulla hanno da invidiare alle grandi istituzioni internazionali. Si tratta dell’esito di una strategia culturale statale e ministeriale consolidata, che registra, insieme a realtà totalmente private, un numero di musei e fondazioni largamente distribuito.  

Vista dellesposizione les inégalités costantes des jours de leonor di Leonor Antunes 2025 Crac Occitanie Sète Foto Nick Ash

Il CRAC Occitanie conserva l’aspetto industriale della sua origine, ma è stato organizzato in modo da accogliere progetti anche di grandi dimensioni, con i suoi 1200 metri quadri su due livelli. Il vocabolario formale di Leonor Antunes nell’apparente ripetizione di forme e elementi, fa emergere una diversità tra opere, che sono l’esito di una ricerca sui materiali e di un processo più vicino all’artigianalità che alla scultura. 

L’interesse per l’arte tessile e per il design conduce l’esperienza artistica verso una pratica che invita all’esplorazione tattile in quel susseguirsi di texture, di pesi differenti, tra la morbidezza del tessuto e la ruvidità della corda. Ma anche olfattiva con il profumo del cuoio e del legno di kambala, chiamato anche iroko utilizzato nella produzione di arredamento di interni o esterno.

Il titolo les inégalités constantes des jours de leonor* richiama la personale di Lisbona alla CAMCentro d’Arte Moderna della Fondazione Gulbenkian curata da Rita Fabiana (2025). Ma è anche un esplicito riferimento a on the persistent inequality of Leonor’s day, il disegno intelleggibile del 1972 (lo stesso anno di nascita di Antunes) di Ana Hatherly (1929-2015), artista, regista scrittrice e poetessa portoghese. 

1 Vista dellesposizione les inégalités costantes des jours de leonor di Leonor Antunes 2025 Crac Occitanie Sète Foto Nick Ash

Una quarantina le opere in mostra comprese in un arco temporale che va dal 2016 al 2024, che sono citazioni ai rappresentanti del modernismo. Franco (Albini) nelle tende di cuoio leggere, e Ana (Hatherly) nei fili sempre realizzate con lo stesso materiale. Nella serie Franca (Helg) le sculture di rattan e corda rimandano ai mobili in giunco e midollino progettate da Helg e prodotte dalla stessa azienda Bonacina 1889, oggi come allora. Una figura di rilievo, quella di Franca Helg che si unisce professionalmente a Franco Albini, con lo studio Albini-Helg, intorno agli anni ’50. 

Se nella mostra di Milano The last day in Galliate da Pirelli Hangar Bicocca (2018), curata da Roberta Tenconi, l’intervento sul pavimento delle Shed era un riferimento a una stampa di Anni Albers, che richiamava i colori della pavimentazione realizzata da Giò Ponti per il grattacielo Pirelli negli anni ’60; sono i tappeti annodati di Marian Pepler (1904-1997), vicina a Sadie Speight (1906-1992) cui sono dedicate molte opere di Antunes, a ispirare il rigore geometrico della scultura a pavimento in sughero, ottone e linoleum del CRAC. 

1 Vista dellesposizione les inégalités costantes des jours de leonor di Leonor Antunes 2025 Crac Occitanie Sète Foto Nick Ash

La modularità dei pannelli progettati negli anni ’60 da Charlotte Perriand (1903-1999) per la residenza francese dell’ambasciatore giapponese, sono rappresentati in quelli in legno della scultura sospesa Voilettes. Nella serie discrepancies le sculture sono realizzate con materiali diversi, ottone, corde, cuoio, luci, creando scenografie aeree, che intervallano l’equilibrio architettonico dello spazio. Al progetto di Carlo Mollino (1905-1973) del 1936 per la Società Ippica Torinese, comprendente uffici, scuderie, maneggio, tribune, poi demolito negli anni ’60, è ispirata la serie random intersections. Un lavoro iniziato nel 2007 prodotto con l’aiuto degli artigiani del cuoio, in cui corde di pelle intrecciate ricordano le briglie dei cavalli. 

Le sofisticate installazioni di Leonor Antunes sono una stratificazione di appunti, visioni, richiami al passato. Scultorei attraversamenti di una giungla urbana tra moderne liane, sedie cittadine, tende traforate, o sottili maglie metalliche. Ma l’artista con i suoi interventi e i suoi “omaggi” al modernismo, ristabilisce ordine in un settore tradizionalmente maschilista. Recupera la grande abilità delle donne che hanno saputo apportare innovazioni tra gli anni ’50 – ’60 andando contro corrente smarcandosi dalla serialità della produzione, e riappropriandosi invece di tradizione e artigianalità. 

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