La qualità “organica” delle architetture di Aldo Loris nelle fotografie di Tobias Zielony

Le composizioni architettoniche di Aldo Loris Rossi hanno lasciato delle tracce indelebili nel patrimonio culturale napoletano e sono la testimonianza del carattere polimorfico con cui il territorio partenopeo ha dato, nel corso della propria storia, espressione concreta al proprio bisogno di comunicare.

Ogni edificio ha dietro di sé un racconto, una relazione con il luogo e con le persone. Da qui nasce il desiderio del fotografo tedesco Tobias Zielony di catturare quell’angolo architettonico e arricchirlo di una chiave antropologica, sociale e politicaOvershoot è il titolo dell’esposizione che raccoglie i suoi nuovi scatti, allestiti dal 14 novembre nella storica sede della Galleria Lia Rumma in via Vannella Gaetani 12. Overshoot è l’ultima serie fotografica realizzata recentemente dall’artista, su commissione del Museo Madre per il progetto “Il resto di niente”, a cura di Eva FabbrisGiovanna Manzotti.

Ma Overshoot è anche un rimando al nome della trasmissione radiofonica di Radio Radicale alla quale Aldo Loris Rossi partecipò regolarmente. Letteralmente significa “andare oltre, esagerare” e può essere usato per descrivere un comportamento o un’azione eccessiva rispetto all’obiettivo prefissato. Negli ultimi anni il termine è stato riproposto per descrivere lo sfruttamento, da parte dell’umanità, delle risorse che la terra può offrire.

È un ritorno a Napoli per Tobias Zielony, circa quindici anni dopo aver lavorato sulle Vele di Scampia all’omonimo progetto, sempre con la Galleria Lia Rumma. Adesso ha puntato l’attenzione sui luoghi più significativi progettati da Aldo Loris Rossi, spentosi nel 2018. Protagonisti sono il complesso residenziale di Piazza Grande ai Ponti Rossi, la Casa del Portuale nella zona di via Marina e la Chiesa di Santa Maria della Libera e del Santissimo Redentore di Portici, che sono il frutto dell’ispirazione e dell’ammirazione dei disegni del futurista Antonio Sant’Elia e dei progetti architettonici di Frank Lloyd Wright.

Overshoot è una ricca selezione di immagini che trascendono dalla consueta definizione brutalista della poetica di Rossi, ma che, secondo Zielony, nascondono una qualità organica e fantastica. Le sue fotografie sono figlie di un’indagine compiuta tra i sobborghi delle città e presentano contaminazioni tra architettura e ritratto. Sono ambienti divenuti vere e proprie “città autonome nella città”. L’approccio narrativo e visivo dell’artista tedesco, tipico del mezzo cinematografico, segue le strutture degli edifici e i movimenti delle persone che vi abitano, dando vita a un flusso di immagini.

Tutto questo caleidoscopio di visioni si amplifica in una incalzante animazione in stop-motion che conclude il percorso espositivo. Dopo aver visitato la mostra, dopo aver incontrato le architetture incombenti di Aldo Loris Rossi, figure mitologiche protese ad accogliere chi vi accede, ecco l’ultima sala. Qui nel buio si consuma una proiezione che è ritmo e colore, forme e figure, vuoti e pieni.

C’è la vita che urla a gran voce nei singoli ambienti, negli spazi aperti, nei volti trasfigurati dalla luce e dal tempo. E c’è movimento, un moto continuo dello sguardoche carpisce profondità e slittamenti. Tobias Zielony approfondisce i luoghi del vivere e del lavorare in una moltitudine di prospettive. È un’architettura sventrata, sezionata, mutata. Porta i segni del tempo, le crepe, gli scollamenti, le sue “rughe”, ma ha il fascino della storia, la bellezza dell’ingegno.

Con questa mostra la Galleria Lia Rumma conferma la sua centralità nel panorama artistico mondiale, ma al tempo stesso ribadisce una linea sociale nel campo dell’arte. Nata all’inizio degli anni Settanta, dopo il trasferimento da Salerno a Napoli, la galleria ha indirizzato da subito la propria attenzione sui movimenti artistici nazionali e internazionali e sui loro protagonisti, ma con un interesse particolare per chi, come Tobias Zielony, svolge un lavoro di ricerca, di indagine, a contatto con l’umano. Lo spazio della galleria diventa così, anche stavolta, laboratorio di un immaginario che è più reale della realtà. Diventa “overshoot”.

In esposizione c’è la quotidianità, quella familiare, ma c’è anche il primato dell’architettura sul contesto sociale. I tagli prospettici delle fotografie sono i tagli di chi vuole leggere l’edificio oltre la forma, oltre la sua immanenza. Ogni angolazione è “tranche de vie” e quella vita va ricercata dietro ogni angolo, dietro ogni muroVa scoperta. E va raccontata.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui