Al Museo della Città di Chiari, dal 24 maggio al 22 giugno 2025, si tiene la mostra La Rete. Tra umano e artificiale, un’antologica dedicata all’opera di Giorgio Tentolini, a cura di Chiara Canali e realizzata in collaborazione con Colossi Arte Contemporanea. Il progetto espone in modo articolato il lavoro di un artista che ha scelto la materia come veicolo per esplorare i temi della memoria, dell’identità e della rappresentazione nell’era digitale. Al centro della mostra si impone il concetto di “rete”, interpretato nella sua duplice valenza: come struttura fisica e come metafora del nostro tempo, segnato dall’interconnessione algoritmica e dalla progressiva ibridazione tra umano e artificiale.
Tentolini costruisce le sue opere con una tecnica meticolosa, basata sulla sovrapposizione di materiali leggeri come tulle, rete metallica, PVC o carta traforata. Attraverso un processo di cesello e sottrazione, le immagini si formano lentamente, resistendo alla logica dell’immediatezza visiva. I soggetti ricorrenti sono volti e corpi, mai del tutto definiti, ma affioranti da una trama fitta di pieni e vuoti. Sono presenze ambigue, sospese tra riconoscibilità e dissolvenza. Non ritratti, ma apparizioni. In questo senso, Tentolini sviluppa un linguaggio fortemente personale, dove l’immagine non è mai data, ma costantemente negoziata dallo sguardo.
Molte delle opere in mostra nascono da una relazione stretta con l’intelligenza artificiale, che l’artista utilizza per generare volti sintetici, mai esistiti ma costruiti con precisione per sembrare familiari. Nelle serie Derealized e In Too Deep, Tentolini mette in crisi la fiducia nella percezione, analizzando come la manipolazione digitale agisca sulla nostra capacità di distinguere il vero dal simulato. Con Eídōlon e Pagan Poetry, l’IA diventa un ponte tra mito e presente, permettendo la costruzione di figure ibride, in bilico tra l’icona greca e la celebrità pop. Le opere generano così una nuova mitologia visiva, filtrata dalla macchina ma intrisa di contenuti archetipici.
La riflessione sull’identità si sviluppa ulteriormente nella serie No-One, dove Tentolini si ispira a Pirandello per indagare la frammentazione del soggetto contemporaneo. Qui, l’individuo è rappresentato come una somma di maschere, un essere molteplice che oscilla tra rappresentazione e disgregazione. Il tema torna anche in Filtri, in cui la ricerca di perfezione estetica — imposta dai dispositivi digitali — produce volti levigati, standardizzati, privi di specificità. In Polytropos, invece, la perdita di coerenza identitaria si traduce in deformazioni visive: volti allungati, alterati, che riflettono le tensioni dell’essere connessi e sovraesposti in modo permanente.
La serie L’ÉCLECTIQUE, presentata per la prima volta in questa mostra, rappresenta un’evoluzione significativa nel lavoro dell’artista. Qui, Tentolini affida all’intelligenza artificiale la creazione di volti sincretici, costruiti mescolando elementi di culture diverse. Le immagini, pur artificiali, restituiscono una sensazione di autenticità profonda, come se appartenessero a un’umanità possibile ma non ancora reale. L’utilizzo della rete metallica come ulteriore strato visivo rafforza la sensazione di interferenza tra ciò che si vede e ciò che si intuisce. In queste opere, la rete non è solo uno strumento tecnico ma diventa dispositivo critico, che filtra e condiziona l’apparizione del soggetto.
Tentolini si muove su un confine delicato, quello che separa e connette manualità e algoritmo, intuizione e calcolo. Le sue opere non si schierano nostalgicamente contro la tecnologia né ne celebrano ingenuamente le potenzialità, ma interrogano in modo lucido e visivamente potente le trasformazioni in atto nel modo in cui guardiamo, riconosciamo e costruiamo l’altro. In un presente dominato da immagini generate, manipolate, filtrate, il suo lavoro si impone come un esercizio di resistenza e di pensiero. La Rete. Tra umano e artificiale è più di una mostra: è un campo visivo in cui il visitatore è chiamato a confrontarsi con le tensioni della propria epoca, attraverso opere che si rifiutano di essere semplicemente viste e costringono, invece, a essere lette, attraversate, comprese.