L’artista e la tempesta. Le visioni mediterranee di Renato Guttuso al Castello di Gallipoli

Visioni mediterranee”, al Castello di Gallipoli dal 17 aprile al 15 ottobre 2025, è una mostra nata appositamente per la città che la ospita, una terra circondata dal mare e troppo spesso in balia dei venti, come delle passioni, in vita e nella pittura, è stato il protagonista a cui è dedicata l’esposizione: Renato Guttuso.

La mostra, coordinata da Lorenzo Madaro, propone una panoramica sul lavoro del maestro siciliano, a partire da due dipinti a olio molto noti al pubblico: Nudo senza volto (1957) e Nudo rosso (1962), entrambi testimonianza della cura del pittore nel raffigurare i corpi e della sua capacità di utilizzare il colore come strumento in grado di catturare lo sguardo dell’osservatore e allo stesso tempo colpirlo e turbarlo, per la crudezza e la profondità delle immagini.

La mostra, promossa da Mostrelab e Comune di Gallipoli e realizzata in collaborazione con Galleria De Bonis, porta il pubblico all’interno della vita di Guttuso, attraverso una selezione di dipinti su tela e opere su carta. Oltre al nucleo più significativo di dipinti su tela, infatti, le sale ospitano anche una raccolta di opere su carta, esempi di come il pastello, in mano all’artista palermitano, fosse capace di diventare altro: spazio, visione, architettura densa di echi orientalisti e di ricordi del passato. Ad accogliere spettatori e spettatrici all’interno dell’esposizione, è l’Autoritratto degli anni Cinquanta che, come in un silenzioso benvenuto, introduce il volto di colui che li accompagnerà durante tutto il percorso. All’interno, alcune delle opere più note, dallo studio per La Battaglia di Ponte Ammiraglio (1949), ai Tetti di Roma (1957); fino agli echi post-cubisti, alle nature morte, agli ambienti realistici della Sicilia, in cui a dominare sono il rosso intenso dei peperoncini, l’azzurro del cielo e il verde della vegetazione.

La pittura era, per l’artista, impegnato e comunista, l’unica azione possibile di denuncia sociale e culturale in un’Italia frammentata e ingiusta, dove, accanto agli intellettuali – a cui Guttuso è legato, come Alberto Moravia, Pablo Picasso, Mario Schifano – e ai rappresentanti del mondo politico e istituzionale – con cui si trova a interagire, soprattutto come senatore del PCI per due legislature durante il periodo di Berlinguer – ci sono operai, artisti radicali, donne al mercato e uomini comuni, impegnati nella lotta alla vita quotidiana. È proprio in questa lotta che si definisce l’ideologia di Guttuso: non lasciarsi assorbire da una realtà che non soddisfa e non permette l’uguaglianza e combattere con i propri mezzi, alzando voce e pennelli, affinché chi non riesce a parlare non rimanga inascoltato e gli invisibili siano finalmente visti.

Renato Guttuso nasce a Bagheria, a Palermo nel 1911. Gli inizi nel mondo dell’arte sono precoci: i primi disegni risalgono all’età di tredici anni, influenzato dal padre acquarellista e ispirato dai colori del futurismo siciliano, e la prima mostra collettiva a cui partecipa è allestita nel 1928, proprio a Palermo, inaugurando una lunga carriera. Poi si sposta a Roma, dove si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, che abbandonerà dopo poco per dedicarsi completamente alla pittura. A soli vent’anni, con le partecipazioni, prima alla Quadriennale d’Arte del 1931, presso il Palazzo delle Esposizioni a Roma, e poi a una collettiva di artisti siciliani alla galleria Il Milione a Milano, il suo nome è già conosciuto in Italia e nel mondo.

A livello personale, la svolta arriverà qualche tempo dopo, nel 1935, con uno degli incontri che gli cambierà la vita: quello con Mimise Dotti, aristocratica milanese di raffinata cultura e, da allora, compagna dell’artista per oltre trent’anni. A Milano, per Guttuso cominciano le frequentazioni con i grandi intellettuali del periodo, tra cui Renato Birolli, Giacomo Manzù, Lucio Fontana, Salvatore Quasimodo. E mentre la sua presenza nel mondo della cultura si fa più vivida, la sua arte continua a cercare un significato che il pittore troverà solo una volta tornato a Roma, alla fine degli anni Trenta. È lì che comincia ad accompagnare all’attività artistica, anche l’amore per la scrittura e l’impegno nella vita politica, collaborando con diverse testate giornalistiche, tra cui “Il Policlinico” e “L’Unità”.

Pittore, scenografo, critico d’arte, appassionato e poliedrico, Guttuso si avvicina all’ingegnere e critico d’arte Alberto Della Ragione, sostenitore dell’arte come strumento di impegno sociale e politico. Seguendo questo ideale, nel 1946, il pittore siciliano, insieme a Renato Birolli, Giulio Carlo Argan e Corrado Maltese, fonda il Fronte Nuovo delle Arti, con l’obiettivo di promuovere un’arte libera dalla censura della dittatura fascista e lontana dalle limitazioni imposte dal potere. La sua critica contro il sistema dell’arte è fervente, tanto che, costretto all’esilio da Roma a causa delle sue convinzioni politiche e del coinvolgimento con il Partito Comunista Italiano (PCI), si rifugerà per un tempo a Genova. Nel 1950, rientrato clandestinamente nella capitale per prendere parte alla resistenza antifascista, incontra la contessa Marta Marzotto, icona di femminilità e carisma, coinvolta nel mondo dell’arte e della cultura, anch’essa sposata, con cui inizia una relazione – che fu presto pubblica – durata oltre vent’anni.

Nella vita pubblica, così come in quella privata, l’artista sarà sempre accompagnato da una necessità di ribellione contro i canoni prestabiliti e le norme sociali, un senso di rivalsa che lo agita e che tramuta in arte; animato da una passione che risulta evidente quando, proprio dagli anni Cinquanta in poi, il suo ideale di fondere arte e militanza politica si fa più concreto e si realizza attraverso le sue opere, dove, tra le pennellate intense e frenetiche, appaiono gli ultimi, i marginalizzati e le classi popolari, la cui vita Guttuso testimonierà fino al 1987, anno della sua morte.

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