Le statue che camminano: la sorprendente verità sulle moai dell’Isola di Pasqua

Quanto è affascinante pensare che uno dei prodotti più iconici dell’attività umana si conserva in uno dei luoghi abitati più remoti del pianeta? A circa 3600 km a ovest delle coste del Cile – di cui formalmente fanno parte – in pieno Pacifico, si innalzano i tre vulcani che formano Rapa Nui, molto più conosciuta col nome europeo di Isola di Pasqua, a celebrare il giorno in cui l’olandese Roggeveen sbarcò per la prima volta su questa terra remota. E per cosa è famosa in tutto il globo Rapa Nui? Ovviamente per le sue imponenti statue di tufo, le moai, talmente iconiche da essere diventate persino un’emoji di Whatsapp. Chiunque ha bene in mente l’aspetto delle moai, ma non penso che altrettanti saprebbero descrivere davvero cosa sono.

Anzitutto, va detto che non sono solo “capoccioni”, come spesso si sente dire: sono statue monolitiche di altezza variabile tra i due metri e mezzo e i dieci, la cui parte visibile è appunto la testa, spesso caratterizzata dal pukao, questo elemento cilindrico, realizzato con un tufo di colore diverso, forse rappresentante un copricapo, forse un’acconciatura, ma che dispongono anche di un corpo, volutamente interrato. Rappresentano un antenato, presumibilmente venerato come una sorta di divinità, o di spirito, o di eroe, e la loro mole intende ovviamente celebrare la famiglia o il clan che lo realizza. Ne esistono diverse centinaia, raggruppate nei cosiddetti Ahu, piattaforme cerimoniali di forma quadrangolare, spesso ricoperte di glifi dal significato ancora sconosciuto, noti come rongorongo, e sono verosimilmente opera della popolazione indigena di Rapa Nui, di origine polinesiana, che li eressero tra il XIII e il XVI secolo.

Le moai di Rapa Nui rappresentano da sempre uno dei grandi enigmi dell’archeologia. Sono senza dubbio uno dei piatti preferiti di fantarcheologi e complottisti, specie quando si tratta di postulare un intervento soprannaturale o alieno nelle vicende umane, ma al di là della pseudoscienza, hanno da sempre sfidato ricercatori e studiosi per ciò che concerne la loro funzione, la loro costruzione, e, soprattutto il modo in cui sono state posizionate dove attualmente si trovano. Come ha potuto una società che non conosceva la ruota o altre tecnologie di sollevamento e spostamento, e che non aveva a disposizione grossi animali da soma spostare statue del peso anche di 80 tonnellate?

Ne sono state dette di ogni: slitte con cui trascinare le statue, ma non ci sono evidenze o segni di trascinamento; tronchi di legno usati come rulli, ma l’isola non dispone di tali risorse di legname; forza bruta di migliaia di schiavi o poteri soprannaturali, ma vabè…vedi sopra! Insomma: molte ipotesi, zero certezze. Un gruppo di ricerca americano però, guidato da Carl Lipo della Binghamton University e da Terry Hunt della University of Arizona, sta per pubblicare sul Journal of Archaeological Science uno studio che finalmente potrebbe dare una risposta a questo quesito.

Il gruppo di ricerca ha analizzato 962 moai e ha realizzato scansioni 3D ad alta risoluzione di una sessantina di esse, scoprendo due elementi molto interessanti nella loro struttura: una base a forma di “D” e una leggera inclinazione in avanti. Queste due caratteristiche, di certo non casuali, spostano il centro di gravità del monumento, in modo tale da permettere alla statua di oscillare delicatamente in avanti se tirata dai lati. Il principio fisico è molto semplice: due gruppi di individui, posti ai lati opposti, tirano alternativamente delle corde legate attorno alla testa o alle spalle della statua, per generare un movimento oscillante ritmico. Ogni oscillazione sposta il centro di gravità, facendo inclinare e ruotare leggermente in avanti la moai, anche grazie alla sua leggera inclinazione anteriore, che, correggendone l’equilibrio, le evita di cadere all’indietro. Più è grande la statua, più è stabile.

Ovviamente, serviva una prova provata di questo principio fisico, e dunque il team ha fatto la cosa più ovvia possibile: ha costruito una moai a grandezza e peso naturali, le ha legato tre corde attorno, e in appena 40 minuti – impiegando diciotto volontari – le ha fatto fare 100 metri. Le moai non venivano trascinate: camminavano! La cosa interessante è che diverse indagini archeologiche avevano già rivelato che le antiche strade dell’isola, larghe in media 4,5 metri, avevano una forma concava: questa leggera curvatura ben si sposa con la teoria del gruppo americano, perché stabilizzava ulteriormente la marcia delle statue oscillanti, impedendo che si ribaltassero lateralmente. Questo aspetto introduce un’altra riflessione, legata proprio al trasporto della statua, che non era un momento separato dalla costruzione, bensì ne era parte integrante; le strade – con la loro peculiare forma – non erano semplici vie di comunicazione, ma vie rituali appositamente pensate per la marcia delle moai, un sistema dinamico di movimento e ritualità.

Comunque, gli studiosi ammettono che non tutte le moai potrebbero essere state trasportate in questo modo: ad esempio, statue più piccole potrebbero aver richiesto metodi alternativi. C’è poi il problema della partenza, perché far partire il movimento da fermi rimane sicuramente la fase più difficile. In tal senso, alcune moai trovate rovesciate lungo le rotte di trasporto suggeriscono che si siano verificati incidenti durante lo spostamento in posizione eretta, magari per la perdita di equilibrio o di tensione nelle corde.

Al di là di questo, la teoria della camminata rimane senza dubbio la più convincente. E c’è un aspetto ancor più affascinante in questa bellissima storia di archeologia che sembra dare un’ulteriore spinta alla ricerca: le leggende del popolo Rapa Nui raccontano da sempre di statue che “camminano” verso la costa, guidate dagli spiriti degli antenati. Ecco che quindi questa nuova e convincente teoria non solo potrebbe risolvere tante criticità legate al trasporto delle moai, ma potrebbe anche avere un’eco nelle tradizioni orali, che non possono essere del tutto campate in aria. E – in effetti – come ha giustamente sintetizzato Carl Lipo «nel momento in cui inizia a muoversi, la statua sembra quasi prendere vita»

Dunque, niente impiego di migliaia di schiavi né, tantomeno, poteri soprannaturali: semplicemente fisica, sperimentazione e cooperazione. 

È così che anche le statue camminano!

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