Le strane creature aliene di Ivana Bašić alla Galleria Minini

C’è qualcosa di profondamente attuale nella scultura di Ivana Bašić (1986, Belgrado). I corpi si ibridano con altri organismi come esito di un futuro postumano, che si tratti del risultato di eventi tragici oppure di intenti suggeriti da una volontà primaria individuale. C’è molto delle memorie personali nel suo lavoro: l’interiorizzazione delle atrocità della guerra, il decadimento e il dolore della perdita reale e identitaria derivante dalla storia del paese di origine, la Jugoslavia. Se le sue opere nascono sulla scia di queste assimilazioni, si dotano, tuttavia, di una forza espressiva pulsante e vitale, in cui la sensazione di “fine” incarna lo spirito di una nuova rivoluzione, che si oggettivizza in corpi di insolita formazione. Creature ambigue sovvertono la conoscenza. Figure apocalittiche, colte in un’apparente perdita di ogni attività esistenziale, si manifestano in procinto di portare a compimento un principio di mutazione, inglobando organismi che restituiscono una parvenza di vita. 

L’ambientazione rigorosa intorno ai bianchi delle pareti da cui sporgono i corpi di Fantasy vanishes in flesh, titolo della mostra e dell’opera all’ingresso, perde la sua chirurgica artificialità per addentrarsi in una dimensione altra e alterata mostrando (in un continuo gioco di parole) un’alterità che guarda al futuro. La mostra allestita dall’artista in maniera accurata, fino alle ultime ore prima dell’apertura da Francesca Minini e visitabile fino a dicembre, si appresta a delineare una realtà straniante.

Ivana Bašić Fantasy vanishes in flesh exhibition view at Francesca Minini Milan 2025
Courtesy Francesca Minini Milan
Photo Andrea Rossetti

L’estetica algida e aliena di Ivana Bašić, a tratti respingente, evoca una dimensione che si iscrive in un immaginario postumano. Se il termine può inserirsi all’interno di un dibattito storico attuale, allo stesso tempo è rappresentazione di una condizione a lei familiare, poiché il suo lavoro nasce dalla concretezza della guerra come conseguenza dell’aggressività umana. 

Osservare il lavoro dell’artista significa negoziare. Negoziare continuamente le conoscenze visive e lessicali, in cui le forme si spaccano e si frantumano nell’oggettività della presenza di sembianze che sembrano note, ma che si configurano all’interno di un nuovo campionario. Significa patteggiare, cercando una classificazione tassonomica adeguata ai nuovi soggetti, identificando materiali cui è restituita una capacità mimetica, in cui il vetro rimanda al respiro, la cera alla carne rosata, il bronzo diventa una corazza, forse per proteggersi dalla violenza dell’acciaio. 

Le sculture si ibridano nel processo di trasformazione della materia. Bašić scolpisce ognuna delle sue opere, che sono l’esito di un lavoro lunghissimo e meticoloso. Innesti e incroci, o forse dovremmo dire incontri, tra il pensiero (umano) dell’artista e i materiali, che contemplano una certa dose di imprevedibilità. In questo limen germogliano le formazioni alienanti di Bašić, che si consolidano nelle rinnovate gerarchie. L’immaginario rimanda alle distopie letterarie e cinematografiche; in Alien di Ridley Scott il parassita attacca l’uomo integrandosi con esso, ma anche al mondo degli artropodi, tra i primi a colonizzare il pianeta. 

Ivana Bašić, Fantasy vanishes in flesh, exhibition view at Francesca Minini, Milan, 2025 Courtesy Francesca Minini, Milan Photo Andrea Rossetti

La simbiosi delle sculture dell’artista produce corpi scarnificati, lucidi e scintillanti, che conservano al loro interno organismi apparentemente vivi, pronti a liberarsi da quegli involucri. Bašić modella e scolpisce crisalidi, uova di vetro trasparenti, corazze e grembi in procinto di partorire o di trasformarsi. Armature che nascondono e rivelano potenzialmente delle vite simulate dal materiale, ma che sono allo stesso tempo “trappole” per quei corpi indefiniti, asessuati, non codificati.

Forse dovremmo considerare questi soggetti come sistemi di comunicazione tra umano e non umano che sembrano bloccati un attimo prima del loro movimento e mutamento. Il vetro rosato del cuore pare respirare in I had seen the centuries, and the vast dry lands; I had reached the nothing and the nothing was living and moist, un ibrido tra insetto e uomo in un apparente equilibrio precario (in realtà la scultura è pesantissima) su sottili e lunghe zampe. Enorme nella sua dimensione, invadente nella sua collocazione, occupa parte dello spazio principale della galleria, complice un gioco di luci soffuse che amplifica quella sensazione con le ombre prodotte sul pavimento. Accanto alla scultura, due grossi gusci di vetro trasparente, Hypostasis, rivelano un letto di polvere di marmo insieme a una formazione che ricorda una colonna vertebrale. Due uova pronte a schiudersi contenenti anche il respiro dell’artista, mentre alle pareti altre formazioni si preparano a ulteriori occupazioni. 

Ivana Bašić, Fantasy vanishes in flesh, exhibition view at Francesca Minini, Milan, 2025 Courtesy Francesca Minini, Milan Photo Andrea Rossetti

Creature suggerite dalle tracce lasciate sulla carta negli acquerelli della serie Ungrounding, 2022-24, che evocano grembi materni. I colori tenui e delicati ricordano la pelle umana. Se i materiali utilizzati sono soggetti a un processo di trasformazione, anche la carta dei disegni non si sottrae alla medesima condizione, apparendo leggermente piegata, alterata dal tempo climatico e fenomenico. Assorbe come una seconda pelle l’umidità, manifestandosi come se fosse un organismo vivo.

Il video proiettato a tutta parete mostra il movimento della polvere di marmo che, alzandosi da terra, forma delle nuvole rosate. Polvere usata dall’artista nelle sue opere, che ritroviamo su tutto il pavimento della galleria, e che simboleggia la fragilità della vita terrena. Tutto è vivo nel lavoro dell’artista, anche laddove incombe la tragedia terrena, trovando forme di sopravvivenza attraverso una nuova metamorfosi in cui i confini si annullano. I corpi scultorei si apprestano a infestare l’ambiente, a moltiplicarsi in potenziali embrioni colti nel momento del passaggio tra un prima e un dopo. 

C’è un’eleganza inaspettata nel lavoro dell’artista che, di fronte all’estetica del mostruoso e del perturbante, sorprende perché annulla quella sensazione di respingimento iniziale. Nell’opera di Bašić vi è un continuo rimando a un senso di fine della specie, disvelando in realtà un tabù, soprattutto vincolo delle culture occidentali, della morte. Ma allo stesso tempo appare un germe-feto-organismo che restituisce una nuova speranza. 

Forse auspicio di una nuova resurrezione (post)umana. 

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