Si potrà visitare fino al 14 settembre 2025, alla Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS di Lecce (piazzetta Giorgio Baglivi, 4) la mostra “Otto Hofmann – l’immaginario e il reale. Dal Bauhaus un artista libero. Opere 1930-1954”. L’esposizione, a cura di Paolo Bolpagni, ex direttore e attuale componente del Comitato scientifico della Fondazione e Giovanni Battista Martini, curatore dell’archivio dell’artista, con circa cinquanta opere dell’artista, rappresenta la decima tappa del percorso espositivo dell’istituzione leccese, fondata nel 2018 dai coniugi Luigi Biscozzi e Dominique Rimbaud per promuovere l’arte moderna e contemporanea.
In quest’occasione, l’appuntamento è dedicato a Otto Hofmann (Essen, Germania, 1907 – Pompeiana, Italia, 1996). Non molto conosciuto in Italia, l’artista, nato nella Ruhr e cresciuto in Turingia, perfezionò la sua formazione artistica al Bauhaus di Dessau, dove fece la sua prima mostra personale. In quegli anni, apprendendo dai maestri Vasilij Kandinskij e Paul Klee, di cui fu allievo, il pittore pose le basi del proprio linguaggio, a cui diede piena manifestazione e maturità nei decenni successivi, sino alla morte, che lo colpì in Italia, in provincia di Imperia, in un paesino poco distante da San Remo, dove si era trasferito stabilmente nel 1976.

Quella di Hofmann fu una vita movimentata, che l’artista trascorse dedicandosi all’arte, peregrinando per l’Europa e scansando le minacce. Pacificista e forte difensore dell’arte come forma di resistenza, si oppose alla censura e alle imposizioni politiche, rivendicando uno stile personale astratto non dogmatico, che lo contraddistinguerà in ogni tappa della sua esistenza. Nelle sue opere, infatti, Hofmann fa trasparire il suo senso dell’esistenza, la necessità di liberarsi delle paure e delle angosce, e di rappresentare il reale, così come la voglia di godere dei momenti di tregua e maggiore dinamismo.
Vittima della persecuzione nazista prima (tanto che le sue opere vennero bandite poiché considerate “degenerate”), poi prigioniero in Unione Sovietica, infine perseguitato negli anni della dittatura comunista nella Germania Est, da cui riuscì a fuggire nel 1950, abbandonando lì gran parte dei suoi lavori, Hofmann non perse mai la volontà di far sentire la sua voce, attraverso il pennello e la carta, anche quando, prigioniero in Russia tra il 1940 e il 1946, poteva utilizzare gli acquerelli solo per dipingere sui sottili fogli delle lettere che inviava alla moglie e ad alcuni amici.

Non limitandosi mai a una etichetta o a un movimento, Otto Hofmann portò sempre avanti la sua idea di libertà espressiva, cercando di rimanere coerente con sé stesso e con il proprio modo di vivere e lavorare con l’arte. La sua produzione è varia e comprende dipinti, disegni, oggetti in porcellana, ceramiche, xilografie e litografie. Per l’esposizione alla Fondazione leccese, sono state selezionate circa cinquanta opere, tra cui principalmente dipinti e alcune fotografie.
La mostra si articola in tre sale, a seconda della fase di produzione dell’artista tedesco, a sottolineare la varietà di opere e la sua capacità di inventarsi di continuo. Nella prima sala, si possono ammirare gli oli su tela e le carte degli anni Trenta. Procedendo, nella seconda sala, si trovano le testimonianze della prigionia nella Russia sovietica, quando il pittore, obbligato ad arruolarsi nella Wehrmacht, restò prigioniero nel paese per sei anni. Accanto ai lavori di questo periodo di tormento e timore, ci sono anche alcune drammatiche fotografie d’epoca che documentano la povertà, la distruzione e la tragedia causate dalla guerra. Infine, l’ultima sala ospita una selezione di dipinti, databili tra il 1947 e il 1954: anni di rinascita, rinnovamento e nuovo entusiasmo per l’autore.


