C’è un’idea di museo che non si misura in metri quadri, né in budget, ma in capacità di ascolto. Quella che porta con sé Letizia Ragaglia – nuova direttrice del MASI di Lugano – non è una formula da esportare, ma un’attitudine da ricalibrare. Dopo aver diretto istituzioni dalla forte impronta identitaria come il Museion di Bolzano e il Kunstmuseum Liechtenstein, Ragaglia arriva in Ticino con una bussola chiara: non imporre, ma accordarsi, non importare modelli, ma innestare dialoghi.
Collezione, territorio, linguaggi contemporanei: parole che nella sua visione non restano appese ai muri, ma si intrecciano per costruire una nuova grammatica del museo, fatta di performance, apertura e qualità, ovunque essa si manifesti – che sia in un artista emergente In questa intervista ci racconta come intende declinare le sue esperienze internazionali nel contesto ticinese, perché non crede nei formati calati dall’alto e cosa significa, oggi, fare di un museo un luogo necessario.
Si parla di interdisciplinarietà, giovani artisti, performance, ma anche – e soprattutto – di relazione: con il territorio, con i visitatori, con il tempo che cambia.
Lei ha diretto realtà museali molto diverse per scala e identità, dal Museion di Bolzano al Kunstmuseum Liechtenstein di Vaduz. Quali esperienze e visioni maturate in questi anni intende portare al MASI e come immagina di declinarle nel contesto culturale svizzero e ticinese?
Sono consapevole dell’importanza di «sintonizzarsi» su un contesto culturale e di coglierne le peculiarità. Dunque non intendo calare dei format dall’alto senza sondare prima possibilità e fattibilità. Detto questo, le esperienze maturate negli anni sono tante e molte riguardano il lavoro sulle collezioni, che ritengo il cuore di un museo.
Credo fermamente nella vitalità e nella sostenibilità di un patrimonio artistico e nel plusvalore che può apportare a un territorio. Mi piacerebbe intrecciare molteplici dialoghi con le diverse anime della collezione del MASI, anche grazie al coinvolgimento di personalità artistiche.
In questi anni ha dedicato ampio spazio alla performance, ai linguaggi interdisciplinari e alle collaborazioni internazionali. In che modo questi aspetti potranno dialogare con la forte vocazione collezionistica e identitaria del MASI?
Innanzitutto non credo in un museo come player solitario: le collaborazioni sono un arricchimento che non lede l’identità, ma aiuta a definirla e rafforzarla. Non ho mai inteso le performance e i linguaggi interdisciplinari come avulsi dal contesto delle collezioni, anzi; la maggior parte delle performance che abbiamo, per esempio, promosso in Liechtenstein hanno preso le mosse dalle collezioni o dalle mostre in corso. Secondo me fungono da amplificatori.
Il suo percorso curatoriale ha spesso valorizzato sia artisti storici che ricerche contemporanee emergenti. Che ruolo avrà, secondo lei, il MASI nel sostenere la scena artistica contemporanea, anche in relazione ai giovani artisti svizzeri e internazionali?
La presenza di una scena artistica «locale» di una certa vitalità è una linfa importante per il museo. È mia intenzione coinvolgerla come ho sempre fatto. Sono convinta di trovare artisti interessanti sul territorio, ma ci sarà una selezione, cosÌ come avviene con gli artisti «internazionali». Il criterio di scelta sarà la qualità e la presentazione di artisti internazionali, svizzeri e ticinesi avverrà sullo stesso livello, è la via più proficua per tutti.
L’identità di un museo oggi si costruisce sempre più anche attraverso il rapporto con il territorio e il suo pubblico. Quale sarà la sua visione per rafforzare il legame tra il MASI, la comunità locale e i nuovi pubblici?
In un recente articolo sul futuro dei musei apparso su Artforum il direttore del Carnegie Museum for Art di Pittsburgh ha proposto che i musei devono iniziare a pensare come «neighborhood museums», ovvero come dei musei del vicinato che devono diventare una risorsa vitale e necessaria per gli individui e la comunità.
Anch’io credo nell’importanza di un museo «conviviale» e aperto, in cui il pubblico si senta accolto e di seguito dedico molta attenzione allo sviluppo di diversi formati per attirare nuovi pubblici. Al Kunstmuseum Liechtenstein, per esempio, abbiamo introdotto il mercoledì gratuito e ogni sei settimane realizziamo un mercoledì XL, dove il museo è aperto fino alle 23 e dove collaboriamo con associazioni locali nell’ambito delle nostre mostre. In questo momento non posso ancora dire quale formula funzioni a Lugano e mi vorrei prendere del tempo per valutare insieme al team quali novità si possono introdurre.
In poche parole, se dovesse descrivere la sua visione per il MASI nei prossimi anni, quale messaggio vorrebbe trasmettere oggi al pubblico di Lugano e ai nostri lettori?
Le do poche parole chiave: dialogo, rivitalizzazione delle collezioni, collaborazioni, interdisciplinarietà. Vorrei contribuire a rendere il MASI un luogo di arricchimento all’insegna dell’arte, ma anche a livello umano.