Per Maria Grazia Chiuri, sono sua madre e sua nonna, le infinite fonti di ispirazione di una vita. Che il loro lavoro, la loro indipendenza e la loro presenza abbiano fatto da apripista non solo per la carriera della Chiuri, quanto anche per la sua sferzante creatività, è fondamentale capirlo. Perché Maria Grazia cresce tra gli abiti da sposa, nell’atelier in cui la madre era sarta: tocca tessuti, ne assorbe le trame al tatto. Impara la loro resa e visione. Dal ricordo ancestrale reperisce invece pizzi e merletti e la dedica alle cose fatte con la cura del tempo.
Era il 2017 quando veniva lanciata la t-shirt “We should all be feminists”, per la Maison Dior, di cui è stata direttrice creativa dal 2016 al 2025. Il titolo arrivava dal saggio della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, con la quale la Chiuri aveva collaborato affinché una parte dei proventi venisse destinata a cause legate alla parità di genere. Partendo dai presupposti sopra citati, appare ancor più chiaro il significato concettuale di un prodotto che, dietro l’apparente stucchevolezza di un passaggio retorico, cela la stima e l’ammirazione per un lavoro che è soprattutto innovazione continua, tatto e arte.

D’altronde, sempre per Dior, aveva già reso la “Bar jacket” più accessibile: l’iconica giacca dalle fiere ma morbide spalline, il punto vita fasciante e baschina strutturata sui fianchi, era nata nel 1947 e anticipava la sartorialità architetturale. Ad oggi, resta uno dei simboli dioriani per eccellenza, ma la Chiuri ha interpretato i suoi punti di forza in modo contemporaneo, rendendola compatibile con una quotidianità femminile in continuo mutamento. Per la collezione Cruise 2018, ha presentato inoltre la Dior Book Tote: la borsa diviene, col passare degli anni, sempre più popolare, grazie alle opzioni di personalizzazione e ai decori toile-de-jouy reinterpretati dalla stilista: passo dopo passo, la creatività di Maria Grazia Chiuri decreta l’indiscutibile successo di un oggetto oggi considerato irrinunciabile.
Comunque, le intuizioni per Dior sono state successive ad un periodo che aveva già consacrato la stilista romana come creativa brillante dell’haute couture. L’inizio era stato proprio da Fendi, nella decade compresa tra il 1989 e il 1999. Con Silvia Venturini Fendi aveva infatti preso parte alla realizzazione di quella che ancora oggi è un must have dell’alta moda, la “Borsa Baguette”, da portare pariginamente sotto al braccio. Talmente irresistibile e versatile da meritare un volume tutto suo edito da Rizzoli, che ne mostra l’evoluzione tra tessuti e materiali dal 1997 al 2012.
Un neanche tanto velato concettualismo nei suoi contributi si è spesso sposato con l’arte contemporanea: 2020, collezione primavera/estate, va in scena la collaborazione con la statunitense Judy Chicago. Al Musée Rodin di Parigi, si ergeva tra i giardini l’installazione “Female Divine”, un padiglione temporaneo con forma di Venere Willendorfiana, in cui ospitare la sfilata stessa. Il femminile sacro tanto caro alla Chiuri si presentava nella sua accezione più potente, e la catwalk venne arricchita di arazzi con moniti e queries, tra cui spiccavano il leggendario “What if women ruled the world?” o “Would God be female?”.
D’altronde, per la collezione, Maria Grazia Chiuri si era ispirata a figure della mitologia e della storia dell’arte, dalla Nike di Samotracia alla Venere di Botticelli. Successivo il sodalizio con Claire Fontaine: da citare il défilé Dior autunno/inverno 2020/2021, che ne vide la collaborazione per la scenografia a insegne al neon, tratte da archivi e discorsi di Carla Lonzi, critica d’arte e figura tra le più rilevanti del movimento femminista italiano degli anni ’70; così come anche il discutissimo outfit di Chiara Ferragni durante Sanremo 2023, che apriva il Festival gridando “Pensati libera”.
Ora, Maria Grazia Chiuri rientra in Casa Fendi, con la nomina ufficiale a direttrice creativa dal 14 ottobre scorso. Sappiamo che probabilmente non camminerà in punta di piedi, per una creatività che è gesto fisico ma anche e soprattutto simbolico. E se il termine casa non pare dissonante in tale circostanza, risulta ancor più coerente se pensiamo che l’azienda romana è stata portata al successo internazionale dalle cinque sorelle Fendi: un team tutto al femminile, un po’ come nella sua infanzia ispiratrice e rivelatrice. Come sarà il suo ritorno, in un momento in cui la moda deve necessariamente analizzare il suo impatto e chiedersi come comunicare nel prossimo futuro? Basta solo avere la pazienza di aspettare cosa avrà da dire.


