Dal 16 maggio al 2 agosto 2025, Atipografia ospita MASQUERADE, mostra personale di Nero/Alessandro Neretti, artista faentino classe 1980, la cui ricerca si muove con disinvoltura tra archeologia del presente e narrazione simbolica. Il progetto espositivo – accompagnato da un testo critico di Milovan Farronato – nasce da una residenza dell’artista presso Espace Médina a Dakar, in Senegal, e si traduce in un corpus di opere inedite, frutto di un’immersione totale nel contesto urbano e sociale della capitale senegalese.
Lo spazio espositivo di Atipografia, ex tipografia riconvertita ad Arzignano dalla visione di Elena Dal Molin, diventa in questa occasione il palcoscenico di un confronto serrato tra contemporaneità e tradizione, in un percorso che mette in crisi la nozione stessa di identità culturale e artistica. Il titolo MASQUERADE, evocando al contempo travestimento e rivelazione, suggerisce un’ambiguità voluta, una tensione tra maschera e volto che attraversa l’intero progetto, richiamando pratiche rituali e codici visivi tanto africani quanto occidentali.
La mostra si struttura attorno a due nuclei principali: un ciclo di maschere scultoree da parete e una serie di fotografie di grande formato, cui si aggiungono disegni, video, sculture e materiali di documentazione. In ogni opera si avverte la volontà di Neretti di disinnescare lo sguardo esotico e paternalista che troppo spesso caratterizza il racconto visivo dell’Africa. Il suo approccio è quello dell’osservatore coinvolto, che assume una posizione non neutra, rifiutando ogni distacco e lasciando che la stratificazione dei luoghi e delle storie attraversi le forme, i materiali, le composizioni.
Se da un lato le maschere – realizzate con materiali poveri e assemblaggi di oggetti di recupero – richiamano la dimensione rituale e collettiva della maschera africana, dall’altro si caricano di una nuova lettura politica, diventando icone fragili di una società complessa, segnata da fenomeni di trasformazione accelerata, urbanizzazione forzata e influenze economiche esterne. In particolare, il riferimento al neocolonialismo cinese in Senegal, osservato dall’artista durante la sua permanenza a Dakar, si innesta nel tessuto dell’opera con forza silenziosa, mai dichiarata ma continuamente percepibile.
La serie fotografica, concepita come contrappunto visivo alle maschere, propone ritratti e scorci urbani in cui la figura umana è spesso assente o decentrata. È lo spazio stesso a raccontare, nella sua densità fisica e simbolica. I colori bruciati dal sole, le geometrie instabili delle periferie, gli sguardi interrotti delle architetture: tutto parla di una città in mutazione, in cui la modernità non cancella la tradizione, ma la ingloba, la sovrascrive, la distorce.
I disegni ad acquerello, china e pennarello, così come i video brevi e le sculture minori, amplificano questo universo stratificato, offrendo nuove chiavi di accesso all’immaginario di Nero/Alessandro Neretti. La sua pratica, che sfugge a ogni classificazione disciplinare, si nutre di viaggi, incontri, scontri e visioni: non c’è mai una verità imposta, ma un continuo oscillare tra narrazione e interrogazione, tra documento e finzione. In questo senso, MASQUERADE si iscrive in una linea di ricerca che potremmo avvicinare, pur nella diversità di linguaggi, alle pratiche di William Kentridge, Yinka Shonibare o Bouchra Khalili, artisti che hanno fatto del transito tra culture un territorio critico fertile.
Non è un caso che il testo di accompagnamento sia affidato a Milovan Farronato, curatore attento alle forme ibride, nomadi e antigerarchiche della contemporaneità. La sua lettura inserisce il lavoro di Neretti in un orizzonte ampio, dove la maschera non è mai solo travestimento, ma dispositivo di conoscenza, superficie attraversata da tensioni estetiche e storiche.
MASQUERADE non è solo una mostra, ma un diario visivo e politico di un’esperienza di attraversamento e ascolto. E Atipografia, con il suo radicamento territoriale e il respiro internazionale, si conferma spazio ideale per accogliere pratiche che non cercano risposte semplici, ma che sanno abitare le contraddizioni del presente, trasformandole in forme capaci di parlare, di inquietare, di restare.