Maurizio Cattelan: meno provocatore, più cinico. Seasons è il ritratto amaro di un mondo che si sgretola

Maurizio Cattelan torna in mostra con Seasons, e lo fa con un registro che segna una sorta di mutazione nella sua traiettoria artistica. Non è più solo l’artista del colpo di teatro, dello scandalo mediatico o dell’ironia fulminante che ha caratterizzato molta della sua produzione dagli anni Novanta a oggi. In questa nuova esposizione diffusa a Bergamo, articolata su quattro sedi e cinque lavori, il suo sguardo sembra essersi fatto più cinico, più disilluso, quasi più serioso. L’umorismo non scompare, ma si raffredda, scivola verso un’amarezza sottile che attraversa tutte le opere come una corrente sotterranea. Non c’è più la ricerca del gesto dirompente per il solo gusto della provocazione: il centro del discorso si sposta su una riflessione sulla caducità dei valori, sullo svuotamento dei simboli, sull’ambiguità delle narrazioni storiche e sull’irrisolta tensione tra potere e fallimento.

Maurizio Cattelan One 2025 Foto Lorenzo Palmieri

Il percorso si apre con One alla Rotonda dei Mille, il primo contatto visivo che accoglie lo spettatore e che, sin da subito, introduce la chiave di lettura dell’intera mostra. Un bambino siede sulle spalle della statua di Garibaldi, e con la mano destra mima una pistola. Il gesto, all’apparenza leggero e infantile, si carica immediatamente di ambiguità, come spesso accade nelle opere di Cattelan: è un gioco, una sfida o un’ironia feroce sulla trasmissione dei valori da una generazione all’altra? In bilico tra citazione storica e atto di sabotaggio, l’opera interroga la responsabilità di chi eredita le narrazioni nazionali, mette in discussione la tenuta stessa del mito fondativo su cui poggia l’identità italiana e insinua un dubbio sulla reale capacità di rileggere il passato senza idealizzazioni o semplificazioni.

Maurizio Cattelan November 2025 Foto Lorenzo Palmieri

Il percorso prosegue negli spazi del Palazzo della Ragione, dove è esposto November, scultura in marmo michelangiolesco che raffigura un senzatetto disteso su una panchina, colto nel momento di massima vulnerabilità, mentre urina sul pavimento. Non c’è compiacimento nel mostrare la scena, quanto piuttosto il tentativo di riportare al centro dell’immagine pubblica un corpo marginale, normalmente invisibile. La scelta di collocare questa figura proprio all’interno di uno spazio storicamente dedicato alla giustizia cittadina produce una tensione evidente tra l’architettura del potere e la realtà sociale che questo potere spesso esclude. Il realismo estremo della scultura non cerca né il pietismo né il giudizio morale, ma chiede allo spettatore di confrontarsi con ciò che abitualmente preferisce ignorare.

Maurizio Cattelan Empire 2025 Foto Lorenzo Palmieri

Alla GAMeC, due opere sviluppano ulteriormente il discorso sulla fragilità del potere. In Empire, un mattone inciso con la parola “EMPIRE” è rinchiuso in una bottiglia di vetro. La materialità del mattone, simbolo della costruzione, della solidità e della forza, viene paradossalmente confinata in un contenitore fragile e trasparente, dove il potere non può manifestarsi, resta sospeso, trattenuto, impossibilitato a compiersi. È un’immagine che racconta il desiderio di dominio che si infrange contro i limiti stessi che lo ostacolano, suggerendo l’esistenza di un’ambizione destinata a rimanere incompiuta.

Maurizio Cattelan No 2025 Foto Lorenzo Palmieri

Sempre alla GAMeC, No riprende e rielabora la celebre scultura Him del 2001, in cui Cattelan aveva rappresentato Adolf Hitler inginocchiato in preghiera con un volto infantile. In questa nuova versione, il volto del dittatore è stato interamente coperto da un sacchetto nero, eliminando qualsiasi possibilità di riconoscimento immediato. La rimozione del volto non cancella il contenuto traumatico, lo amplifica, lo rende ancora più disturbante. L’identità negata diventa un vuoto visivo che impedisce ogni pacificazione estetica. L’assenza del volto impedisce la trasformazione dell’immagine in icona, spostando l’attenzione dal soggetto rappresentato al gesto stesso della rimozione. Cattelan agisce su un territorio liminale tra memoria, censura e ambiguità, scegliendo di non fornire soluzioni ma di lasciare aperta una tensione insoluta.

Maurizio Cattelan Bones 2025 Foto Lorenzo Palmieri

Infine, nell’Ex Oratorio di San Lupo, Bones chiude il percorso riportando l’attenzione sulla simbologia del potere imperiale. L’aquila, storicamente emblema di dominio e sovranità, giace a terra, priva di vita, le ali spiegate e ridotta alla sua essenza strutturale. Ancora una volta il marmo michelangiolesco viene usato per congelare non il trionfo, ma la disfatta. Bones demolisce visivamente il mito dell’invincibilità, mostrando la nudità del potere spogliato delle sue retoriche.

In Seasons non c’è compiacimento iconoclasta, non c’è il gusto del colpo di scena gratuito, ma piuttosto la messa in scena di un mondo che fatica a reggere il peso dei propri simboli e che appare sempre più privo di certezze condivise. Cattelan non abbandona la sua cifra ironica, ma la declina in una forma nuova, più cinica e più cupa, dove il disincanto prevale sulla provocazione. In questo senso, Seasons segna forse uno dei passaggi più maturi della sua carriera, un esercizio di sguardo che non cerca più di scandalizzare, ma di mostrare la lenta disgregazione delle strutture a cui per decenni abbiamo affidato senso e stabilità.

5 Commenti

  1. Invece a me pare che cattelan riesca sempre a far notare le disfunzioni del contemporaneo…i simbolismi sono appriopriati.

  2. Ottimo articolo su uno degli artisti più complessi e originali del secolo scorso e dell’attuale. Chi è quello sciocco ridanciano che parla del signor nessuno, alludendo a se stesso?

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