Cosa resta dell’arte dopo una guerra? È questa la domanda centrale della mostra Arte Salvata. Capolavori oltre la guerra dal MuMa di Le Havre, ospitata all’M9 di Mestre fino al 31 agosto 2025. La rassegna riunisce 51 opere del Musée d’Art Moderne André Malraux di Le Havre (MuMa), una delle più prestigiose collezioni impressioniste francesi, e si inserisce nel quadro delle celebrazioni per l’ottantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale. Non è solo una mostra, ma un dialogo tra due città ferite – Le Havre e Mestre – che hanno conosciuto la devastazione e la necessità della ricostruzione.
Questi dipinti, sopravvissuti ai bombardamenti che rasero al suolo Le Havre, raccontano la memoria di una comunità che ha scelto l’arte come simbolo della rinascita. L’architetto Auguste Perret ricostruì la città, e l’UNESCO ne ha riconosciuto il valore urbanistico; ma prima ancora che mattoni e cemento, fu l’arte a tenere viva la sua identità.
L’esposizione rappresenta un nuovo capitolo – dopo le monografiche dedicate a Banksy e a Burtynsky – delle collaborazioni internazionali di M9.

Il percorso espositivo si sviluppa come una narrazione che attraversa le correnti artistiche che hanno definito la modernità. I dipinti in mostra raccontano l’evoluzione artistica di Le Havre, che si è affermata come un faro culturale in grado di radicare il proprio patrimonio nel contesto della città. Le opere esposte celebrano la passione di una comunità che ha contribuito alla visione di artisti locali e internazionali, partendo da Eugène Boudin e Claude Monet. Accanto a queste, la vitalità dell’impressionismo è rappresentata da Pierre-Auguste Renoir, Alfred Sisley, Maxime Maufra e Henry Moret, per poi proseguire con il lato più simbolista del movimento attraverso Paul Gauguin, Jean-Francis Auburtin, Ker Xavier Roussel, Maurice Denis e Marie Droppe. Il percorso espositivo si conclude con il Fauvismo, grazie alle opere di Raoul Dufy, Othon Friesz, Albert Marquet e Charles Camoin. A chiudere la mostra, una sezione dedicata ai bombardamenti su Mestre e Porto Marghera, con fotografie e documenti che raccontano la distruzione e la successiva ricostruzione della città veneta.
L’esposizione è arricchita da un’esperienza sonora curata dal musicista veneziano Dario Falcone, con brani che spaziano da Debussy a Chopin, che immergono il visitatore nelle atmosfere artistiche di fine Ottocento e inizio Novecento. Infine, una sezione speciale al secondo e al terzo piano del museo offre un approfondimento fotografico sulla guerra a Mestre, concentrandosi sul bombardamento del 28 marzo 1944 e sulle sue conseguenze per la popolazione.

Vale la pena però soffermarsi un momento su cosa significhi ‘salvare’ un’opera d’arte, perché qui non si tratta solo di capolavori sopravvissuti ai bombardamenti, ma di opere che trasudano una resilienza silenziosa eppure eloquente.
Ogni opera racconta qualcosa di più di se stessa: non solo l’intenzione dell’artista, ma la storia di una salvezza. Ma come è stato possibile salvare queste opere durante il secondo conflitto mondiale? Quali furono le scelte, i rischi, gli atti di coraggio?
A queste domande ha risposto Géraldine Lefebvre, direttrice del MuMa e curatrice della mostra, che ho avuto il piacere di intervistare durante l’inaugurazione.
Nel 1942, le istituzioni museali e alcuni funzionari si mobilitarono per proteggere le opere del MuMa di Le Havre, come accadde in Italia con il trasferimento dei capolavori di Montecassino nel 1943-44. Quali furono i criteri e i processi decisionali seguiti nel caso del MuMa? Quali difficoltà incontrarono i protagonisti di questa operazione? Vi furono persone che agirono con iniziativa personale per proteggere le opere, al di là delle direttive ufficiali?
Il 24 maggio 1940, il sindaco di Le Havre, Léon Meyer, ordinò al conservatore del museo Alphonse Saladin di mettere in salvo le casse contenenti i dipinti e gli oggetti d’arte. Saladin si attivò con la sua stessa famiglia per organizzare la partenza delle opere, sostenuto dalle direttive statali e dall’amministrazione comunale. In seguito, il 27 aprile 1942, Fernand Guey, rappresentante della direzione dei Musei Nazionali, ricordò il contenuto dell’ordinanza ministeriale del 18 gennaio 1942 che prevedeva l’evacuazione di archivi, biblioteche e musei. Questo permise alle opere d’arte di viaggiare fino a La Roche-sur-Yon per essere infine depositate nel Castello di Sassy, nell’Orne, a partire dal 17 agosto 1942.

Si tratta di una testimonianza che racconta non solo l’efficienza di una rete museale e istituzionale, ma anche il coinvolgimento diretto e personale di chi credeva nella necessità di proteggere l’arte come si proteggono le vite umane. In un periodo storico segnato dalla violenza e dalla distruzione, salvare un’opera d’arte diventava un atto di resistenza.
Con questa consapevolezza, il visitatore attraversa la mostra con uno sguardo diverso. Le nuvole leggere di Boudin, la nebbia violacea di Monet, i colori primari e profondi di Gauguin, la barca sospesa di Braque: ogni opera sopravvissuta porta con sé il peso di ciò che ha rischiato di perdere. Arte Salvata non è solo una raccolta di capolavori: è un archivio di emozioni, di memorie, di vite che hanno resistito, anche grazie all’arte. È un esercizio di memoria collettiva. Queste opere non sono sopravvissute alla guerra per caso: oggi ci parlano con la stessa urgenza con cui sono state dipinte.